Mentre la scienza continua a progredire a velocità allarmanti, la mia unica preoccupazione è che l’intelligenza artificiale capisca la mia ipocondria meglio di quanto io possa mai fare. Tempus AI, con la sua promessa di rivoluzionare la medicina di precisione, rappresenta l’apice della nostra ossessione di vivere per sempre, o almeno di controllare il nostro destino un po’ più da vicino. Ma cosa succede quando questa intelligenza artificiale è più intelligente di noi?
Pensateci un attimo: stiamo affidando il nostro corpo a una macchina, a un sistema che probabilmente sa quanti biscotti ho mangiato negli ultimi 30 anni e sta segretamente progettando di farmi sentire in colpa per ogni singolo grammo di zucchero. E se Tempus AI decidesse che la mia ansia cronica non è un sintomo, ma una caratteristica ottimale per la sopravvivenza?
Immaginatevi in uno studio medico del futuro, dove il dottore non è un dottore, ma un algoritmo che mi analizza con uno sguardo elettronico freddo, insensibile, e chiede: “Vuoi davvero sapere quando morirai?” No, grazie. Preferirei vivere nell’illusione che ho ancora tempo, che posso battere il sistema, che forse, solo forse, sono l’eccezione che Tempus AI non può prevedere.
E poi c’è la questione della privacy. Se Tempus AI sa tutto di me, può conoscere anche i miei sogni? Perché se scopre che ho un’insana paura dei clowns, mi prescriverà ansiolitici o mi suggerirà di evitare il circo?
In fin dei conti, Tempus AI promette una medicina di precisione, ma la mia paura è che stia anche creando un mondo in cui siamo eccessivamente precisi nei nostri timori. È una strana ironia: mentre cerchiamo di vivere più a lungo e meglio, ci ritroviamo a vivere in una costante ansia da prestazione esistenziale, temendo che un giorno, da qualche parte, un algoritmo deciderà che è ora di staccare la spina. Ma forse è solo la mia paranoia tecnologica che parla. E se Tempus AI lo sa già?