Quando Microsoft e la Singapore Academy of Law si mettono insieme per scrivere un manuale di Prompt Engineering per avvocati, non lo fanno per sport. Lo fanno perché hanno capito che l’unico modo per convincere una professione ostinatamente conservatrice a dialogare con l’intelligenza artificiale, è quello di mostrarle che non c’è nulla da temere… e tutto da guadagnare. Il documento in questione non è un trattato teorico né una marketta da vendor: è un compendio tecnico, pratico, e maledettamente necessario su come usare l’IA generativa nel diritto senza fare disastri etici o figuracce professionali. Ecco perché è interessante: perché non parla dell’IA, ma con l’IA. E lo fa con uno stile educato ma pragmatico, come dovrebbe fare ogni buon avvocato.

Nel primo capitolo, gli autori smantellano con eleganza la narrativa ansiogena: l’IA non ruba lavoro, ma tempo sprecato. Il messaggio è chiaro: l’avvocato che usa l’IA non è un fannullone, è un professionista che si libera dalle catene della burocrazia testuale. Revisioni contrattuali, due diligence, ricerche giurisprudenziali… tutte attività dove l’IA non solo non nuoce, ma esalta la qualità umana, perché consente di dedicarsi a ciò che davvero conta: pensare, decidere, consigliare. Non automatizzare l’intelligenza, ma liberarla.