Jack Ma è tornato. No, non con un IPO o una rivoluzione del mercato. È riapparso a Hangzhou campus, badge da impiegato al collo come fosse un giovane neoassunto, per arringare le truppe del suo impero ormai focalizzato non più sullo shopping online, ma sull’intelligenza artificiale. E, come ogni buon fondatore che si rispetti dopo anni di silenzio e auto-esilio semi-volontario, ha fatto ciò che solo i grandi imprenditori-filosofo sanno fare: parlare di tecnologia con parole da poeta zen, sfiorando il misticismo. Ma dietro la retorica, c’è una mutazione darwiniana in atto dentro Alibaba, e va analizzata senza inciampare nei petali del suo Blossom Project.
Jack Ma, 60 anni, uno dei simboli dell’era d’oro tech cinese, ha dichiarato che l’AI non dovrebbe puntare a “conquistare galassie e oceani”, ma a proteggere il “fumo e il fuoco del mondo mortale”. Tradotto per chi non legge i classici cinesi al mattino: l’AI serve a migliorare la vita concreta delle persone, non a costruire Skynet o sogni da tech-evangelisti della Silicon Valley. È un appello tanto nobile quanto, diciamolo, strategicamente calcolato. Perché mentre in Occidente si lotta tra open e closed source, copyright e regolazioni etiche, Alibaba punta a posizionarsi come il provider umano e responsabile dell’intelligenza artificiale in Cina.