Ne sentiremo parlare.

In un Paese che ha reso l’iperbole una forma d’arte politica, quando il Premier cinese Li Qiang ti chiama a raccolta tra un economista della logistica e un magnate del trasporto marittimo, qualcosa di simbolico sta accadendo. Peng Zhihui, classe 1993, fondatore della start-up AgiBot e ex enfant prodige di Huawei, è stato convocato tra le giovani speranze della tecnologia nazionale per un simposio a porte chiuse a Pechino. Un palcoscenico istituzionale che somiglia a un’investitura, più che a una riunione operativa.

Sotto il volto liscio del socialismo high-tech si nasconde un sottotesto chiarissimo: Pechino ha bisogno di nuovi idoli, possibilmente con un background da ingegneria applicata e un portfolio di robot bipedi pronti a spostare scatole o conquistare TikTok. E Peng, con il suo curriculum da sceneggiatura Marvel un braccio robotico alla Iron Man, un nickname virale (“Zhihuijun”), e un passato nei reparti AI di Huawei e Oppo è perfetto per la parte. Non un semplice imprenditore, ma un totem narrativo per una Cina che vuole ribadire che la partita dell’intelligenza artificiale non è a esclusivo appannaggio della Silicon Valley.