Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Grok sotto indagine in europa: il gioco pericoloso di Elon Musk con i dati degli utenti

L’Irlanda, terra di folletti, di San Patrizio e headquarters tech europei, ha deciso di non farsi incantare dalle magie di Elon Musk. Il suo nuovo giocattolo, Grok, l’intelligenza artificiale sviluppata da xAI, è ufficialmente sotto indagine da parte del Data Protection Commission (DPC) irlandese. E come sempre, non si parla di dettagli tecnici ma di privacy, la moneta più preziosa nell’economia dell’attenzione.

Il cuore della questione è la presunta violazione del GDPR, quel famigerato regolamento europeo che ogni CEO americano sembra conoscere solo per sentito dire, ma che puntualmente riesce a ignorare finché non arriva una sanzione milionaria. Secondo l’autorità irlandese, Grok sarebbe stato addestrato usando i post degli utenti europei su X, la piattaforma social ex-Twitter, di proprietà dello stesso Musk. Il problema? Quei dati potrebbero essere stati utilizzati senza un consenso esplicito e informato, come richiesto dalla normativa comunitaria. In altre parole: “Caro Elon, non puoi usare i nostri tweet per insegnare al tuo robottino a parlare, se prima non ci chiedi il permesso.”

Eric Schmidt serve più energia o più cervello?

A Washington si è celebrata l’ennesima seduta teatrale mascherata da audizione congressuale, dove il sipario si è alzato su un paradosso tutto americano: per dominare il futuro dell’intelligenza artificiale, bisogna consumare il passato dell’energia. Una corsa al primato tecnologico che brucia elettricità come se fosse carbone dell’Ottocento, mentre la questione climatica viene elegantemente ignorata come un cameriere troppo zelante a un gala di miliardari.

Eric Schmidt, ex CEO di Google e oggi nuovo profeta dell’IA sotto le vesti del suo think tank “Special Competitive Studies Project”, ha scodellato la nuova verità: “Abbiamo bisogno di energia in tutte le forme, rinnovabili o meno, subito e ovunque”. Una chiamata alle armi energetica che sa tanto di manifesto industriale più che di politica nazionale.

Durante l’audizione della Commissione Energia e Commercio della Camera, la parola d’ordine è stata una sola: “dominanza”. Dominanza sull’energia. Dominanza sull’IA. Dominanza sulla Cina. E se per raggiungerla bisogna mettere in pausa il pianeta, pazienza. Quattro ore di interventi bipartisan dove repubblicani e democratici si sono annusati e ignorati a turno, uniti da un’ansia esistenziale: perdere la corsa contro Pechino.

Nvidia porta l’intelligenza artificiale in USA: 500 miliardi per smarcarsi da Pechino e accarezzare Trump

L’amministrazione Trump ritratta sulla decisione di bloccare l’esportazione delle GPU Nvidia H20 HGX verso la Cina, a seguito di un incontro tra il CEO dell’azienda, Jensen Huang, e l’ex presidente americano. Durante una cena esclusiva presso il resort Mar-a-Lago, Huang avrebbe garantito ingenti investimenti nelle infrastrutture di intelligenza artificiale negli Stati Uniti, spingendo l’amministrazione a riconsiderare la propria posizione.

La Silicon Valley si trova ora alle porte di una rivoluzione senza precedenti, con Nvidia al centro della scena come leader indiscusso dei chip per l’AI. Con l’ombra di una potenziale guerra commerciale e le crescenti tensioni geopolitiche con la Cina, Nvidia ha scelto di puntare tutto sulla produzione domestica americana. Non si tratta di un semplice gesto simbolico, ma di un impegno concreto: Huang ha annunciato un investimento colossale di mezzo trilione di dollari per sviluppare infrastrutture Made in USA.

E non stiamo parlando di cavilli contabili o buyback travestiti da innovazione. Si tratta di un piano di industrializzazione da far tremare le vene ai polsi: un milione di metri quadrati tra Phoenix, Dallas e Houston dedicati a produrre chip Blackwell e supercomputer per alimentare la corsa globale all’AI. Questo non è reshoring, è un atto di guerra commerciale camuffato da patriotismo tecnologico. Il messaggio è chiaro: il futuro dell’AI si costruisce negli States. Il resto è rumore.

Alibaba svela il suo piano per dominare l’intelligenza artificiale nell’industria automobilistica, Nio, BMW e potenzialmente Tesla

Alibaba Group sta intensificando il suo impegno nel settore automobilistico con un piano che prevede l’integrazione di tecnologie di intelligenza artificiale (AI) nelle automobili, raggiungendo accordi significativi con alcuni dei principali attori globali, tra cui Nio, BMW e potenzialmente Tesla. La mossa arriva in un momento cruciale per la tecnologia cinese, che punta ad affermarsi come il fulcro dell’innovazione nel settore dell’auto intelligente. Ma ciò che potrebbe sembrare un semplice passo verso il futuro, nasconde sotto la superficie una strategia ben più profonda e ambiziosa. Vediamo come Alibaba sta pianificando di conquistare il mercato dell’auto intelligente, e perché potrebbe avere tutte le carte in regola per farlo.

La Nato adotta il Maven Smart System di Palantir

Palantir Technologies ha appena ottenuto un contratto significativo con la NATO, con l’adozione del suo sistema Maven Smart System (MSS NATO), un sistema di comando e controllo alimentato dall’intelligenza artificiale. Questo accordo, finalizzato il 25 marzo, è stato descritto come uno dei più rapidi nella storia della NATO, con un tempo di acquisizione di soli sei mesi.

Il sistema Maven è già ampiamente utilizzato dalle forze armate statunitensi e ora verrà implementato nel quartier generale delle operazioni alleate della NATO, con l’obiettivo di migliorare la consapevolezza situazionale sul campo di battaglia aggregando dati provenienti da numerose fonti per generare un quadro operativo unificato.

L’adozione del sistema Maven da parte della NATO segna un passo significativo verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari alleate. Analisti come Louie DiPalma di Barrington Research hanno interpretato l’accordo come geopoliticamente significativo, suggerendo una continua dipendenza europea dai sistemi di difesa statunitensi. Questo sviluppo potrebbe rafforzare la posizione di Palantir nel settore della difesa, con implicazioni potenzialmente positive per le sue prospettive future.

Il futuro incerto di OpenAI: ex dipendenti si oppongono alla trasformazione in società a scopo di lucro

La lotta legale in corso tra Elon Musk e OpenAI sta assumendo contorni sempre più drammatici, con una nuova e rilevante memoria legale depositata da un gruppo di ex dipendenti dell’organizzazione. Questo gruppo di ex collaboratori, tra cui figure di spicco come Daniel Kokotajlo e William Saunders, ha espresso in modo chiaro e fermo il proprio disappunto riguardo ai cambiamenti strutturali proposti, che potrebbero trasformare radicalmente l’organizzazione da no-profit a un’entità a scopo di lucro.

Il cuore della questione ruota attorno alla missione originaria di OpenAI, creata con lo scopo di garantire che l’intelligenza artificiale avanzata fosse sviluppata a beneficio dell’umanità. Gli ex dipendenti, che hanno firmato una memoria a sostegno della causa intentata dal CEO di Tesla, sostengono che qualsiasi modifica radicale che vada a ridurre il controllo dell’entità no-profit comprometterebbe non solo la missione iniziale, ma anche la fiducia riposta da donatori, dipendenti e altre parti interessate. La critica che si leva contro la trasformazione in società a scopo di lucro si fonda sull’idea che tale scelta contraddirebbe i principi fondanti dell’organizzazione, violando l’impegno verso il bene comune e mettendo a rischio la credibilità stessa dell’azienda.

Meta assume ex consigliere di Trump e CEO di Stripe: perché no, il consiglio di amministrazione mancava proprio di “diversità”

Venerdì, in un audace tentativo di dimostrare che il concetto di “coerenza” è ormai obsoleto, Meta ha annunciato l’ingresso nel suo board di due personaggi dal curriculum perfettamente in linea con la sua missione di “connettere le persone”: Dina Powell McCormick, ex consigliera di Donald Trump e bancaria di alto livello, e Patrick Collison, CEO di Stripe, perché, si sa, quando pensi a “etica e responsabilità sociale”, Stripe è la prima cosa che ti viene in mente.

Mark Zuckerberg, con la solita faccia da poker, ha dichiarato: “Patrick e Dina portano un’esperienza unica nel supportare aziende e imprenditori” – sottintendendo: “Soprattutto quelli che pagano bene o hanno amici potenti”. McCormick, che oltre ad aver servito nell’amministrazione Trump ora gestisce i servizi clienti globali di BDT & MSD Partners, porterà sicuramente quella delicatezza diplomatica che mancava a Meta dopo le varie accuse di manipolazione politica.

Trump esenta smartphone e laptop dagli aumenti tariffari

(Perché anche i tiranni hanno bisogno del loro iPhone)

Che tenero gesto da parte del nostro amato leader supremo, Donald “Tariff Man” Trump, che ha deciso di graziare smartphone e laptop dalla sua personale crociata economica contro la Cina. Venerdì sera, mentre il mondo si chiedeva se i dazi del 145% fossero un errore di battitura o una follia calcolata, l’amministrazione ha annunciato con magnanimità: “Nah, su questi no, grazie, li usiamo troppo.”

Tra i fortunati esentati ci sono iPad, smartwatch e TV a schermo piatto – perché, diciamocelo, anche un protezionista ha diritto al suo binge-watching su Netflix. Apple, HP, Dell e compagnia bella possono tirare un sospiro di sollievo, mentre i consumatori potranno continuare a comprare l’ultimo MacBook senza dover vendere un rene. Peccato per i marchi cinesi come TCL e Lenovo, che dovranno ancora capire se la loro merce è abbastanza americana per sfuggire alla furia tariffaria.

Google Classroom e il nuovo strumento AI per la creazione automatica di quiz: una rivoluzione per gli insegnanti?

Nel panorama dell’educazione moderna, dove la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale sono ormai una realtà consolidata, Google Classroom fa un passo importante con l’introduzione di uno strumento AI che promette di semplificare e potenziare il processo di creazione dei quiz. L’annuncio, fresco di roll-out, riguarda l’integrazione di Gemini AI, un motore avanzato di intelligenza artificiale che, a partire da file caricati o testo inserito manualmente, è in grado di generare domande di quiz in modo completamente automatico.

Il concetto di base è semplice: gli insegnanti, grazie a Gemini AI, possono creare domande mirate che coprono diverse competenze e conoscenze, risparmiando tempo prezioso. Non si tratta solo di generare domande generiche, ma di personalizzarle in modo che siano in linea con gli obiettivi educativi specifici. L’IA permette anche una selezione precisa delle abilità che si vogliono testare, un aspetto fondamentale per ottenere un feedback dettagliato sul progresso degli studenti.

Gemini Blog: https://workspaceupdates.googleblog.com/2025/04/use-gemini-in-google-classroom-to-generate-questions-from-text.html

Sabotare l’IA con ritmi da mal di testa: Benn Jordan e il suono avversario

Nel mondo della musica digitale e dell’intelligenza artificiale, Benn Jordan ha lanciato una sfida che sembra destinata a scuotere le fondamenta della produzione musicale automatizzata. Utilizzando una tecnica chiamata “adversarial noise”, Jordan ha trovato un modo per sabotare i generatori musicali basati su IA, creando quello che lui stesso definisce un “attacco di avvelenamento” che rende la musica generata non solo inutilizzabile, ma potenzialmente dannosa per il sistema stesso. Questo concetto di sabotaggio sonoro sta aprendo un nuovo capitolo nell’intersezione tra arte e tecnologia, dove il confine tra creatività umana e potenza dell’IA è sempre più sfumato.

Il trucco dietro il “Poisonify” di Benn Jordan è tanto semplice quanto geniale: l’aggiunta di rumore avversario a file audio che, per l’orecchio umano, suonano perfettamente normali. Tuttavia, per i modelli di IA, questi file non sono ciò che sembrano. Il rumore avversario agisce come un “veleno” sonoro che destabilizza l’apprendimento della macchina, facendo sì che i generatori musicali non siano più in grado di produrre musica coerente. Il risultato è devastante: non solo la musica diventa “non allenabile”, ma l’intero modello rischia di essere compromesso.

Google sviluppa un’intelligenza artificiale per decifrare il linguaggio dei delfini: DolphinGemma, la nuova frontiera della comunicazione animale

Google ha messo in campo una delle sue creazioni più sorprendenti: un modello di intelligenza artificiale, soprannominato DolphinGemma, sviluppato per analizzare e decifrare i suoni dei delfini. La notizia ha suscitato una curiosità generale, aprendo un nuovo capitolo nella comprensione del mondo animale e nel tentativo, ormai quasi ossessivo, di creare ponti tra le forme di comunicazione non umane e la tecnologia. Ma cosa c’è veramente dietro questo progetto?

Meta e il futuro dell’IA: Formazione sui dati degli utenti dell’UE o nuova era di sorveglianza?

Meta ha recentemente annunciato che prevede di allenare la propria intelligenza artificiale sui dati degli utenti dell’Unione Europea, incluse informazioni da piattaforme come Facebook e Instagram. Questo annuncio non arriva certo come una sorpresa, considerando il crescente interesse dell’azienda per l’AI, ma ci sono implicazioni più profonde che vanno oltre la semplice giustificazione di migliorare i modelli di IA. Meta ha messo in luce che si tratta di un passo necessario per perfezionare l’interazione dell’IA con il pubblico europeo, ma ciò solleva inevitabili interrogativi sul rispetto della privacy, sulle possibili ripercussioni legali e sull’accesso che l’azienda avrà ai dati degli utenti.

I senatori repubblicani chiedono abrogazione dell’AI Diffusion Rule

Il 14 aprile 2025, sette senatori repubblicani hanno inviato una lettera al Segretario al Commercio Howard Lutnick, chiedendo l’abrogazione della “AI Diffusion Rule“, una normativa introdotta dall’amministrazione Biden che limita l’esportazione globale di chip per l’intelligenza artificiale.

Secondo i senatori, questa regola potrebbe danneggiare la leadership degli Stati Uniti nel settore dell’IA, creando incertezza per le aziende americane e ostacolando gli investimenti e le partnership tecnologiche globali. La normativa classifica i paesi in tre livelli, con solo 18 nazioni che godono di un accesso facilitato alla tecnologia americana, mentre la maggior parte, inclusi alleati come Israele, affronta restrizioni significative.

I senatori avvertono che tali limitazioni potrebbero spingere i paesi del secondo livello a rivolgersi a soluzioni cinesi, indebolendo l’influenza tecnologica degli Stati Uniti. Microsoft ha espresso preoccupazioni simili, affermando che la regola potrebbe dare alla Cina un vantaggio strategico nella diffusione della propria tecnologia IA.

Il Segretario Lutnick ha dichiarato che è necessario impedire alla Cina di utilizzare la tecnologia americana per costruire i propri sistemi IA. La questione evidenzia le divisioni interne al Partito Repubblicano su come gestire le esportazioni tecnologiche in un contesto di crescente competizione con la Cina.

OpenAI rilancia la sfida: gpt-4.1 abbassa i costi, alza l’asticella e guarda dritto agli sviluppatori

OpenAI ha appena lanciato GPT-4.1, e se ti stavi ancora leccando le dita con GPT-4o, forse è il momento di rimettere la sedia sotto la scrivania. No, non è GPT-5, e sì, è una mossa calcolata. Più strategia da CEO che show da keynote. Perché la verità è che questo nuovo rilascio – GPT-4.1, con le sue varianti Mini e Nano – è un prodotto che profuma meno di demo spettacolare e più di macchina da guerra per sviluppatori che hanno bisogno di potenza, efficienza e costi sotto controllo.

Kevin Weil, Chief Product Officer di OpenAI, si è lasciato andare in un livestream che sa di “state of the union”, affermando senza mezzi termini che questi nuovi modelli “sono migliori di GPT-4o in quasi tutte le dimensioni” e riescono a “eguagliare o superare GPT-4.5 in molti aspetti chiave”. Boom. Questo è uno statement. Soprattutto se consideriamo che il modello di punta della generazione precedente veniva ancora percepito come il non plus ultra.

Sovranità digitale e AI: perché il DDL Meloni è l’inizio di una rivoluzione strategica per l’Italia

C’è una certa retorica che, quando si parla di tecnologia e pubblica amministrazione, tende a oscillare tra l’allarmismo catastrofista e l’idealismo tecno-utopico. Il DDL sull’intelligenza artificiale, noto come Atto 1146, approvato dal Senato il 20 marzo 2025, ha acceso entrambe le micce. Eppure, al netto del rumore, c’è una verità semplice: per la prima volta, l’Italia sta tentando di scrivere una strategia industriale coerente in un ambito — quello dell’AI e del cloud, in cui finora abbiamo giocato solo da comparse.

Certo, il dibattito si è acceso in particolare sull’articolo 5 del disegno di legge, che stabilisce che “lo Stato e le altre autorità pubbliche” devono orientare le proprie piattaforme di e-procurement verso fornitori di AI che garantiscano la localizzazione e l’elaborazione dei dati strategici su data center in Italia. Non è un vezzo autarchico, ma un segnale preciso: i dati strategici, come l’energia o la difesa, non possono essere affidati a chiunque. Pretendere che il cloud della PA risieda in territorio nazionale significa affermare un principio di accountability e controllo operativo che non è più rimandabile. E non è affatto una provocazione: è una scelta politica e tecnologica matura.

Elon e Zuck nei semafori: l’AI che sussurra al tuo attraversamento pedonale

I sistemi vocali normalmente servono a guidare i pedoni non vedenti, avvertendoli di attendere o attraversare. Ma da venerdì, a Palo Alto, 12 incroci del centro hanno cominciato a vomitare frasi deliranti del tipo “Vuoi essere mio amico? Ti do un Cybertruck” oppure “È normale sentirsi violati mentre forziamo l’AI in ogni aspetto della tua esperienza cosciente”. Tutto questo con la voce di Elon o di “The Zuck”. Aggiungici una guest star con voce alla Trump che sussurra a Musk “Sweetie, torna a letto”, ed eccoci in pieno territorio deepfake theatre.

Kawasaki presenta Corleo: il cavallo robotico alimentato a idrogeno

Kawasaki Heavy Industries ha recentemente svelato Corleo, un concetto futuristico di veicolo a quattro zampe alimentato a idrogeno, progettato per affrontare terreni difficili con agilità e sostenibilità. Presentato il 4 aprile 2025 all’Expo Osaka Kansai, Corleo rappresenta l’incontro tra l’esperienza di Kawasaki nella robotica e nella tecnologia motociclistica.

La nuova trovata: Tariffe settoriali e paranoia industriale, la crociata di Trump contro l’Asia tech

Benvenuti nel nuovo episodio della soap opera Tariff Wars: Made in America, dove ogni giorno è una roulette russa per le supply chain globali. Howard Lutnick, Segretario al Commercio USA e fedele araldo del trumpismo 2.0, ha rivelato in un’intervista alla ABC che l’amministrazione ha deciso di separare i destini tariffari dei prodotti tech – smartphone, computer, semiconduttori e altra elettronica di prima fascia – da quelli soggetti ai dazi “reciproci” annunciati ad aprile. Ora, questi prodotti rientreranno sotto una nuova categoria: le “tariffe settoriali”.

Sam Altman come John Lennon? “OpenAI è più famosa di Dio”, “Qualcosa come il 10% della popolazione mondiale usa i nostri sistemi”

Se John Lennon nel 1966 aveva scioccato il mondo dicendo che i Beatles erano “più famosi di Gesù Cristo”, Sam Altman oggi sembra rilanciare lo stesso tipo di provocazione, ma in chiave post-umana: Qualcosa come il 10% della popolazione mondiale usa i nostri sistemi. Diciamolo: se Dio esiste, probabilmente ora sta facendo il login su ChatGPT.

Durante il TED 2025, Altman si è fatto intervistare da Chris Anderson, e non ha perso tempo per gettare benzina sul fuoco già divampante del culto di OpenAI. Altman ha affermato candidamente che gli utenti della startup hanno toccato gli 800 milioni. Un numero che vale da solo una parabola. O una IPO.

L’ascesa di OpenAI: Un viaggio tra successi e conflitti

Nel dicembre del 2015, un gruppo di visionari fondò OpenAI con un obiettivo che sembrava impossibile da realizzare: sviluppare un’intelligenza artificiale che potesse beneficiare l’umanità. Con la creazione di strumenti rivoluzionari come GPT e ChatGPT, la compagnia ha cambiato radicalmente il panorama tecnologico, influenzando non solo l’industria dell’intelligenza artificiale, ma anche l’intera società. Tuttavia, questo viaggio non è stato privo di ostacoli, tensioni e decisioni difficili. La trasformazione di OpenAI da una missione no-profit a una delle realtà meglio finanziate della Silicon Valley è una delle storie più affascinanti del nostro tempo.

Alibaba sorpassa ByteDance nella corsa all’intelligenza artificiale: Quark è il nuovo padrone cinese dei super assistenti AI

In un mercato che si trasforma più velocemente di quanto la burocrazia riesca a normarlo, Alibaba ha piazzato un colpo chirurgico alla concorrenza: il suo assistente AI potenziato, Quark, è ufficialmente l’app di intelligenza artificiale più utilizzata in Cina. Non si tratta di una vittoria estetica o di un semplice restyling da PR, ma di un sorpasso strategico e pesantemente indicativo: Quark ha raggiunto i 150 milioni di utenti attivi mensili, superando Doubao di ByteDance e DeepSeek, ferme rispettivamente a 100 e 77 milioni, secondo i dati tracciati da Aicpb.com.

Sì, Alibaba possiede il South China Morning Post, ma qui i numeri parlano chiaro anche senza media embedded.

Pete Hegseth e la vendetta del contabile: cancella 5 miliardi di “aria fritta” al Pentagono e fa tremare l’impero della consulenza

Nel cuore dell’apparato più costoso del pianeta, una scure si è finalmente abbattuta. Pete Hegseth, arrivato da FoxNews ad essere Segretario alla Difesa con il ghigno dell’uomo d’azione e la contabilità nel sangue, ha mandato al macero oltre 5 miliardi di dollari in contratti IT, cloud e consulenze considerate “superflue”. Il bersaglio? I soliti noti: Accenture, Deloitte, Booz Allen Hamilton e l’intera burocrazia-parassita incistata nelle viscere del Pentagono. Quella che per anni ha lucrato sulla nebbia decisionale dell’apparato difensivo, presentando fatture da 500 dollari l’ora per PowerPoint su come “diversificare le riunioni” o “ottimizzare la supply chain con l’empatia”. Vedi il Memo.

“Abbiamo bisogno di questi soldi per investire in una migliore assistenza sanitaria per i nostri militari e le loro famiglie, invece di spenderli per consulenti di processi aziendali da 500 dollari all’ora,” ha detto Hegseth. “Sono davvero tanti soldi per consulenze.”

Sette strumenti e prompts che i CEO intelligenti usano ogni giorno per decidere senza finire nel panico

Nella giungla del decision-making moderno, chi dirige un’azienda non può permettersi di affidarsi all’istinto o a LinkedIn posts con frasi motivazionali. Serve metodo, visione, e sì, anche un certo cinismo. Ecco perché i tool strategici non sono solo “tool”: sono salvagenti cognitivi per non affogare in un mare di priorità, problemi e opportunità che puzzano di rischio. Nessun bullet point, solo ragionamento strutturato.

Microsoft scommette 80 miliardi nel cloud: Noelle Walsh dietro le quinte del nuovo impero AI

Noelle Walsh, tra i volti chiave dietro l’espansione muscolare dell’infrastruttura cloud di Microsoft, ha celebrato i 50 anni dell’azienda lo scorso 4 aprile con un tono da dichiarazione di guerra industriale. Un messaggio che suona più come una risposta diretta alle crescenti pressioni di mercato che come un brindisi istituzionale: Microsoft ha raddoppiato la capacità dei suoi datacenter negli ultimi tre anni, con il 2024 che già promette di essere l’anno più bulimico di sempre. E per il 2025, prepariamoci a un nuovo record. Il tutto condito da una cifra che si stampa in fronte: 80 miliardi di dollari di investimenti solo quest’anno, destinati a rafforzare il colosso cloud e AI che Redmond sta trasformando in una sorta di “Azure-centrismo” globale.

L’Ascesa degli Agenti IA Autonomi: Una Nuova Era per l’Intelligenza Artificiale

Negli ultimi tempi, mi sono trovato a rispondere a una domanda che sembra stuzzicare sempre di più la curiosità delle persone: qual è la differenza tra Generative AI, AI Agents e Agentic AI? Lasciatemi spiegare, senza entrare nel terreno paludoso del gergo tecnico, come distinguo solitamente queste categorie di intelligenza artificiale.

Generative AI: L’assistente ultra-intelligente ma senza iniziativa

La Generative AI è probabilmente ciò che la maggior parte delle persone pensa quando sente parlare di “AI”. È quella tecnologia che permette di generare contenuti: scrivere articoli, creare immagini, aiutare nella scrittura di codice e molto altro. Questi strumenti sono, essenzialmente, come assistenti super-intelligenti, ma con un grande limite: agiscono solo quando vengono sollecitati. Non prendono iniziativa, non hanno memoria e non possiedono obiettivi propri. Gli esempi classici di Generative AI sono ChatGPT, Claude, GitHub Copilot, e simili.

Questi strumenti sono fantastici per eseguire compiti specifici, ma la loro intelligenza è passiva, limitata a ciò che gli viene chiesto. Non sono in grado di proseguire da soli una volta che il comando viene eseguito. Non c’è evoluzione del processo e nessuna capacità di adattamento. È come avere un assistente brillante, ma che necessita sempre di input diretti.

Hypnocracy e il filosofo che non esiste: come Jianwei Xun ha ipnotizzato il pensiero europeo con l’AI, grazie Andrea Colamedici

Quando una narrazione troppo perfetta puzza di falso, c’è spesso un motivo. Jianwei Xun, presunto filosofo di Hong Kong, autore del controverso ma acclamato Hypnocracy, non è mai esistito. O, per meglio dire, è esistito solo come idea. Ologramma culturale. Fantasma performativo dell’intelligenza artificiale.

Dietro questa maschera orientaleggiante, evocativa e calibrata per scivolare nei cataloghi di filosofi cosmopoliti da festival, c’era invece Andrea Colamedici editore italiano e illusionista concettuale coadiuvato da Claude di Anthropic e ChatGPT di OpenAI. Due cervelli sintetici per confezionare un pensiero altrettanto sintetico, costruito ad arte per sedurre un Occidente affamato di verità mistiche e distopiche.

La truffa non è nemmeno stata ben mascherata. Basta dare un’occhiata alla scheda del libro su Amazon, o alle prime versioni del sito ufficiale del “filosofo”, salvate diligentemente dalla Wayback Machine: una biografia scritta con lo stesso tono con cui si generano i profili LinkedIn da manuale. Nato a Hong Kong, studi a “Dublin University” — che, a proposito, non esiste — e un pensiero a metà tra il taoismo 2.0 e Foucault impastato con gli hallucination dell’IA.

RAG non è intelligenza aumentata, è solo un modo elegante per sbagliare più in fretta

RAG, Retrieval-Augmented Generation, ha iniziato come una promessa. Doveva essere la chiave per far sì che i modelli LLM non si limitassero a rigurgitare pattern statistici, ma attingessero da basi di conoscenza vive, aggiornate e specifiche. Ma la realtà è più triste di un Monday morning senza caffè: il 90% delle implementazioni RAG sono solo fetcher travestiti. Roba da casting per un reboot scadente di Clippy, altro che AI aumentata.

La colpa non è dell’idea, ma di chi la implementa. La maggior parte dei team considera il retrieval come un banale processo backend, una chiamata a Pinecone o FAISS e via, come se la parte retrieval fosse una formalità tra il prompt e la risposta. Un po’ come costruire un razzo e dimenticarsi del carburante.

La fine dell’era dei chatbot ciechi: Model Context Protocol di Anthropic e l’intelligenza artificiale che finalmente “agisce”

Quando si parla di AI generativa nel 2025, il vero problema non è più la creatività dei modelli, ma la loro drammatica incapacità di interagire col mondo reale. Fino a ieri, chiedere a un LLM il prezzo attuale delle azioni Apple equivaleva a interpellare un indovino con amnesia cronica. Ottimo a parlare, pessimo a fare. Ora, Anthropic cambia le regole del gioco con il suo Model Context Protocol (MCP), un’infrastruttura che segna l’inizio di una nuova era: quella degli agenti AI operativi, contestuali, e – per una volta – utili davvero.

Il principio alla base è brutalmente semplice, ma incredibilmente potente. Un Large Language Model non è più un oracolo chiuso nella sua scatola nera addestrata mesi fa, ma un agente intelligente che può usare strumenti in tempo reale, decidere cosa fare in base al contesto, rispettare policy aziendali, chiedere approvazioni, e tornare con un output operativo e affidabile.

OpenAI lancia l’Accademy e nessuno se ne accorge: gratis, potente, e molto più di un corso

Mentre l’attenzione globale è polarizzata su GPT-5, sulle AI multimodali e sugli ennesimi drammi da conferenza stampa, OpenAI ha sganciato una bomba silenziosa: si chiama OpenAI Academy, è online, completamente gratuita, e se non sei già dentro… sei in ritardo.

È la versione di Stanford fatta da una startup da miliardi: snella, interattiva, pensata per far impennare la curva di apprendimento sull’intelligenza artificiale. Una piattaforma educativa che riesce a parlare sia a chi sta ancora cercando di capire come si accende ChatGPT, sia a chi sviluppa agenti personalizzati con API e prompt avanzati. Nessuna barriera d’ingresso: zero codice obbligatorio, solo contenuti su misura e una UX che ti fa venir voglia di imparare roba che Coursera si sogna di notte.

Quantum (QIS) o spia? il grande gioco invisibile dietro la scienza dell’informazione quantistica

La Quantum Information Science and Technology (QIS) è la nuova frontiera del potere globale, ma non quella che vedi nei comunicati stampa dorati delle big tech o negli slogan dei summit governativi. Dietro la patina patinata dell’innovazione scientifica si nasconde una corsa armata silenziosa, feroce, e sempre più sporca. Il principio è semplice: usare le regole della fisica quantistica per manipolare, archiviare e trasmettere informazione. Ma come ogni tecnologia realmente rivoluzionaria, la QIS è anche una perfetta leva geopolitica, economica e militare.

Se la Silicon Valley è stata la culla della rivoluzione digitale, la QIS è il campo minato dove si giocherà il prossimo dominio planetario.

La fisica quantistica, nella sua natura più bizzarra e poetica, offre concetti come la sovrapposizione, l’entanglement e la coerenza. Astratti, certo, ma potentissimi. Un bit classico è o uno o zero, ma un qubit può essere entrambi contemporaneamente, aprendo possibilità computazionali impensabili per i sistemi tradizionali. Ora, metti questa capacità nelle mani di chi ha la chiave del tuo conto bancario, dei tuoi algoritmi di difesa, dei tuoi dati sanitari o dei tuoi brevetti aziendali. Vedi il problema?

AI Shoring: il declino silenzioso del make or buy e l’ascesa dell’impresa aumentata RaaS

Per anni, le aziende hanno puntato su offshoring, pionere e gigante fu EDS e nearshoring Accenture, IBM, HPE per delegare attività digitali complesse a regioni con costi contenuti. Tuttavia, con l’avvento delle straordinarie capacità dell’intelligenza artificiale, stiamo forse entrando in una nuova era: l’AI shoring. Questo concetto prevede che, anziché affidare compiti manuali come il monitoraggio degli avvisi bancari o le verifiche di conformità a team umani ubicati all’estero, le aziende inizino a sfruttare agenti di intelligenza artificiale e algoritmi di apprendimento automatico (ML). Questa transizione potrebbe rivoluzionare profondamente il modo in cui le organizzazioni affrontano attività ripetitive e basate su processi, aprendo la strada a un futuro più efficiente e automatizzato.

Mentre i piani industriali ancora puzzano di slide PowerPoint e decisioni da comitato, fuori dalla sala riunioni si sta consumando una rivoluzione. Invisibile, distribuita, automatica. Una terza via si sta affacciando oltre le classiche dicotomie strategiche del “make or buy”, ed è molto più subdola, molto più efficiente, e soprattutto non dorme mai: delegare attività operative e decisionali agli agenti AI. Battezziamola pure AI shoring, perché suona bene e inquieta quanto basta.

Alphabet e Nvidia scommettono sull’IA estrema Safe Superintelligence (SSI): il nuovo colpo da $32 miliardi di Ilya Sutskever scuote la Silicon Valley

La Silicon Valley, si sa, ama gli enfant prodige. Ma quando l’ex chief scientist di OpenAI, Ilya Sutskever, si mette in proprio per fondare un’azienda chiamata Safe Superintelligence (SSI), con l’intento non tanto velato di creare un’Intelligenza Artificiale “super” ma anche “sicura”, l’élite tech reagisce come i venture capitalist davanti al nuovo Steve Jobs: tirando fuori i portafogli prima ancora che il pitch sia finito.

Secondo fonti vicine alla questione (la versione moderna del “un amico mi ha detto”), Alphabet e Nvidia – due entità che solitamente non giocano nella stessa sandbox senza stringere i pugni hanno deciso di unirsi a un round di finanziamento che ha catapultato SSI a una valutazione di 32 miliardi di dollari. Il round è stato guidato da Greenoaks, uno dei soliti noti nel panorama del venture capital high-stakes, quelli che scommettono forte e spesso sulle scommesse più pericolose: modelli AI di frontiera, che bruciano chip come fossero carbone in una locomotiva dell’Ottocento.

Sensetime rilancia la sfida dell’AI cinese con petaflops, chip patriottici e asset leggeri

SenseTime, la startup che da tempo ha smesso di comportarsi come tale, sta per far saltare il banco dell’intelligenza artificiale con una mossa tanto prevedibile quanto spregiudicata: moltiplicare a tre cifre la sua capacità di calcolo entro i prossimi due anni, spingendo sul pedale dei chip domestici in piena guerra tecnologica con gli Stati Uniti.

Yang Fan, co-fondatore di SenseTime e gran manovratore della divisione SenseCore, ha messo le carte sul tavolo. La capacità computazionale crescerà tra l’“alto doppia cifra” e il “tripla cifra” su base annua nei prossimi 24 mesi. Tradotto in numeri, nel 2024 si parla di un +92% rispetto all’anno precedente, con un totale che ha sfondato i 23.000 petaflops. Ma dietro ai numeri c’è molto di più: un progetto strategico per svincolarsi dalla dipendenza da chip statunitensi e una corsa dichiarata al profitto per il 2026. Il tutto, con una certa voglia di provocazione tecnologica made in China.

Netflix mette l’intelligenza artificiale nel telecomando: la nuova ricerca “emotiva” powered by OpenAI

Netflix ha deciso di rovesciare il tavolo ancora una volta, e stavolta lo fa alzando l’asticella dell’esperienza utente con un motore di ricerca alimentato da OpenAI. Non più solo “azione”, “thriller” o “con Will Smith”, ma qualcosa di molto più profondo: “voglio qualcosa di malinconico ma con un finale ottimista”, oppure “una serie che mi faccia compagnia mentre cucino con il gatto sulle ginocchia”. Fantascienza? No, Australia e Nuova Zelanda su iOS, ora. Presto anche negli Stati Uniti. Il futuro dell’intrattenimento non è nei contenuti: è nel modo in cui li cerchi.

Netflix sta testando questa nuova funzione in una modalità opt-in, il che significa che solo chi accetta di provarla potrà accedere a questa nuova frontiera del consumo digitale. Il test è già partito in due mercati culturalmente distanti da Hollywood, un segnale interessante: Netflix non vuole solo capire come funziona la ricerca semantica, ma come diverse culture interagiscono emotivamente con l’intrattenimento. Il fatto che il rollout sia solo su iOS, e non ancora previsto su Android o TV, non è casuale: Apple rappresenta il pubblico “premium”, quello che Netflix vuole profilare per primo. Il risultato? Una massa critica altamente segmentata e ad alto valore che permetterà al sistema di affinare i prompt e le risposte.

Google (lay off) taglia in silenzio: la dieta nascosta di Big G per sopravvivere all’era dell’intelligenza artificiale

Mentre il mondo tech continua a rotolare tra bolle di hype e delusioni strutturali, Google sta affinando la sua arte preferita: licenziare senza far troppo rumore. Dopo il teatrale taglio del 2023, quando 12.000 dipendenti furono mandati a casa in un solo colpo (il 6,4% della forza lavoro), oggi Mountain View ha imparato a fare il macellaio con il silenziatore. Niente più fuochi d’artificio, niente più comunicati stampa epocali. Solo tagli chirurgici, distribuiti nel tempo, a colpi di “qualche centinaio di persone” qua e là. Più discreto, meno PR tossica, ma altrettanto letale.

La strategia è semplice, quasi elegante nella sua brutalità. Colpire ogni area con piccole ondate: vendite pubblicitarie, hardware, ingegneria, assistente virtuale, cloud, il reparto X da sempre specializzato in sogni impossibili (e costi altrettanto visionari), e – ultimo ma non meno importante – l’intero comparto Android, Chrome e Pixel. Tradotto: tagli ovunque ci siano muscoli che non portano più valore immediato.

Youtube inventa la colonna sonora del futuro: addio copyright, benvenuto AI jukebox

Nel grande circo degli strumenti di content creation, YouTube sta silenziosamente spingendo i creator verso una nuova era, una dove non è più necessario pregare l’algoritmo di non falciarti il video con una segnalazione per copyright. Secondo quanto riportato da TechCrunch, la piattaforma di Google sta lanciando una nuova funzione chiamata Music assistant, un tool basato su intelligenza artificiale che permette di generare basi musicali strumentali su richiesta, totalmente gratuite e – cosa più importante – libere da ogni incubo legale.

La demo è stata presentata da Lauren sul canale Creator Insider, una specie di “dietro le quinte” ufficiale di YouTube dove le novità vengono spiegate con quel tono da Silicon Valley che cerca disperatamente di suonare umano, ma finisce per sembrare sempre un po’ Google Assistant con empatia. Nella dimostrazione, Lauren mostra una nuova tab all’interno della beta di Creator Music, dove compare il già battezzato Music assistant. Scrivi una frase come “dammi una musica motivazionale per un montaggio di allenamento” e voilà, l’algoritmo ti sforna una lista di tracce pronte all’uso. Clic, scarichi, editi il video, e nessuno ti tocca.

Chatgpt e il fenomeno della figurina virale Action Figure: quando l’AI diventa un giocattolo da esposizione

Non c’è niente di più LinkedIn-core del trasformarsi in un action figure e raccontare al mondo che la tua “arma” è una tazza di caffè e il superpotere una tastiera. Se ti stavi chiedendo qual è il nuovo passatempo digitale del branco di marketer, recruiter e aspiranti thought leader, eccoti servito: l’ultima mutazione dell’ego professionale si materializza in plastica (digitale), blister e accessori personalizzati. È la tendenza delle “AI Action Figure”, figli illegittimi dell’ultima ondata virale generata da ChatGPT, dopo il delirio visivo in stile Studio Ghibli.

Nel panorama inarrestabile dei trend figli di prompt scritti male e pixel disegnati troppo bene, il giocattolo personalizzato è l’ennesima forma di autocelebrazione travestita da contenuto creativo. Con il suo packaging da scaffale Walmart e le pose da finto modesto imprenditore del secolo, l’action figure AI non è altro che la versione 3.0 del biglietto da visita con sfondo motivazionale. Ovviamente, tutto questo ha trovato il suo habitat naturale su LinkedIn, dove ogni post è una TED Talk mancata e ogni like un’autoconferma esistenziale.

La trappola dorata dell’AI: perché i big tech stanno spendendo troppo e gli investitori iniziano a inquietarsi

È affascinante osservare come l’industria tech, in particolare i titani del settore, continui ad avventurarsi in quella che sembra una corsa all’oro digitale: l’intelligenza artificiale. Ma mentre scavano a mani nude con badili d’oro in cerca della prossima “general intelligence”, qualcosa comincia a scricchiolare nella narrazione. Gli investitori – quei bastardi razionali – stanno iniziando a porsi domande che fino a ieri sembravano eresia: “E se stessero spendendo troppo?”

Robert Ruggirello, CIO di Brave Eagle Wealth, ha messo il dito nella piaga con una dichiarazione chirurgica: se i mega-cap tech rallentano la corsa al capex sull’AI, potrebbe addirittura essere visto come un segnale positivo dai mercati. In un mondo in cui ogni CFO è ossessionato dal burn rate, un taglio mirato agli investimenti può far lievitare le quotazioni più di una trimestrale da record. Perché? Perché la vera arte non è crescere, ma crescere con grazia, senza dissanguarsi.

E invece Alphabet – nella sua eterna guerra contro la fisica dei server – ha appena giurato di investire 75 miliardi di dollari per costruire infrastrutture data center. Per dare un’idea della scala: nel solo Q4 2024, l’azienda ha speso 14 miliardi, spalmati su Google Services, Google Cloud e la sempre affamata DeepMind. Il tutto mentre l’intero settore – tra Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft – si prepara a gonfiare il proprio capex a 322 miliardi, circa il 40% in più rispetto alle aspettative dell’anno.

Apple e Siri: La sfida di rendere l’assistente virtuale intelligente, ma non troppo

Apple sta cercando di riscrivere la storia del suo assistente vocale Siri, ma il cammino è tutt’altro che lineare. Secondo quanto riportato dal New York Times, l’azienda della Mela prevede di lanciare una versione aggiornata di Siri entro la stagione delle vacanze 2025, con nuove funzionalità intelligenti e personalizzate che avrebbero dovuto essere implementate già in iOS 18. Tra queste, la possibilità di editare e inviare foto su richiesta, un passo in avanti significativo rispetto alla Siri che conosciamo oggi. Non solo un aggiornamento tecnologico, ma un tentativo di recuperare il terreno perso nei confronti dei suoi concorrenti, che da anni offrono assistenti vocali decisamente più avanzati.

L’illusione dell’intelligenza artificiale gratuita finirà male

Quando forse dopo i DAZI 🙂 Benvenuti nell’età dell’ipocrisia algoritmica, dove tutti si stanno innamorando follemente dell’AI come se fosse una droga sintetica: economica, disponibile ovunque, apparentemente innocua. ChatGPT, Claude, Gemini, Copilot: tutti lì, pronti a sussurrarti la risposta perfetta, il testo magico, la presentazione impeccabile. Solo che sotto la superficie liscia e lucida della nuova era digitale, si sta preparando una trappola industriale degna delle più raffinate manipolazioni del capitalismo predatorio. E sì, inquieta davvero che nessuno faccia i controlli.

Ci hanno venduto l’illusione dell’AI come bene pubblico, gratuito o a basso costo, come se il genio uscito dalla lampada fosse lì solo per farci risparmiare tempo e neuroni. Ma improvvisamente le aziende stanno iniziando a cambiare tono: “Attenzione, l’AI costa energia, non è sostenibile, dovremo aumentare i prezzi”. Ma dai? Chi l’avrebbe mai detto che far girare milioni di parametri su server sparsi in data center energivori tra Arizona, Norvegia e Cina non fosse la cosa più sostenibile del mondo?

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