Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Kawasaki presenta Corleo: il cavallo robotico alimentato a idrogeno

Kawasaki Heavy Industries ha recentemente svelato Corleo, un concetto futuristico di veicolo a quattro zampe alimentato a idrogeno, progettato per affrontare terreni difficili con agilità e sostenibilità. Presentato il 4 aprile 2025 all’Expo Osaka Kansai, Corleo rappresenta l’incontro tra l’esperienza di Kawasaki nella robotica e nella tecnologia motociclistica.

La nuova trovata: Tariffe settoriali e paranoia industriale, la crociata di Trump contro l’Asia tech

Benvenuti nel nuovo episodio della soap opera Tariff Wars: Made in America, dove ogni giorno è una roulette russa per le supply chain globali. Howard Lutnick, Segretario al Commercio USA e fedele araldo del trumpismo 2.0, ha rivelato in un’intervista alla ABC che l’amministrazione ha deciso di separare i destini tariffari dei prodotti tech – smartphone, computer, semiconduttori e altra elettronica di prima fascia – da quelli soggetti ai dazi “reciproci” annunciati ad aprile. Ora, questi prodotti rientreranno sotto una nuova categoria: le “tariffe settoriali”.

Sam Altman come John Lennon? “OpenAI è più famosa di Dio”, “Qualcosa come il 10% della popolazione mondiale usa i nostri sistemi”

Se John Lennon nel 1966 aveva scioccato il mondo dicendo che i Beatles erano “più famosi di Gesù Cristo”, Sam Altman oggi sembra rilanciare lo stesso tipo di provocazione, ma in chiave post-umana: Qualcosa come il 10% della popolazione mondiale usa i nostri sistemi. Diciamolo: se Dio esiste, probabilmente ora sta facendo il login su ChatGPT.

Durante il TED 2025, Altman si è fatto intervistare da Chris Anderson, e non ha perso tempo per gettare benzina sul fuoco già divampante del culto di OpenAI. Altman ha affermato candidamente che gli utenti della startup hanno toccato gli 800 milioni. Un numero che vale da solo una parabola. O una IPO.

Alibaba sorpassa ByteDance nella corsa all’intelligenza artificiale: Quark è il nuovo padrone cinese dei super assistenti AI

In un mercato che si trasforma più velocemente di quanto la burocrazia riesca a normarlo, Alibaba ha piazzato un colpo chirurgico alla concorrenza: il suo assistente AI potenziato, Quark, è ufficialmente l’app di intelligenza artificiale più utilizzata in Cina. Non si tratta di una vittoria estetica o di un semplice restyling da PR, ma di un sorpasso strategico e pesantemente indicativo: Quark ha raggiunto i 150 milioni di utenti attivi mensili, superando Doubao di ByteDance e DeepSeek, ferme rispettivamente a 100 e 77 milioni, secondo i dati tracciati da Aicpb.com.

Sì, Alibaba possiede il South China Morning Post, ma qui i numeri parlano chiaro anche senza media embedded.

Pete Hegseth e la vendetta del contabile: cancella 5 miliardi di “aria fritta” al Pentagono e fa tremare l’impero della consulenza

Nel cuore dell’apparato più costoso del pianeta, una scure si è finalmente abbattuta. Pete Hegseth, arrivato da FoxNews ad essere Segretario alla Difesa con il ghigno dell’uomo d’azione e la contabilità nel sangue, ha mandato al macero oltre 5 miliardi di dollari in contratti IT, cloud e consulenze considerate “superflue”. Il bersaglio? I soliti noti: Accenture, Deloitte, Booz Allen Hamilton e l’intera burocrazia-parassita incistata nelle viscere del Pentagono. Quella che per anni ha lucrato sulla nebbia decisionale dell’apparato difensivo, presentando fatture da 500 dollari l’ora per PowerPoint su come “diversificare le riunioni” o “ottimizzare la supply chain con l’empatia”. Vedi il Memo.

“Abbiamo bisogno di questi soldi per investire in una migliore assistenza sanitaria per i nostri militari e le loro famiglie, invece di spenderli per consulenti di processi aziendali da 500 dollari all’ora,” ha detto Hegseth. “Sono davvero tanti soldi per consulenze.”

La fine dell’era dei chatbot ciechi: Model Context Protocol di Anthropic e l’intelligenza artificiale che finalmente “agisce”

Quando si parla di AI generativa nel 2025, il vero problema non è più la creatività dei modelli, ma la loro drammatica incapacità di interagire col mondo reale. Fino a ieri, chiedere a un LLM il prezzo attuale delle azioni Apple equivaleva a interpellare un indovino con amnesia cronica. Ottimo a parlare, pessimo a fare. Ora, Anthropic cambia le regole del gioco con il suo Model Context Protocol (MCP), un’infrastruttura che segna l’inizio di una nuova era: quella degli agenti AI operativi, contestuali, e – per una volta – utili davvero.

Il principio alla base è brutalmente semplice, ma incredibilmente potente. Un Large Language Model non è più un oracolo chiuso nella sua scatola nera addestrata mesi fa, ma un agente intelligente che può usare strumenti in tempo reale, decidere cosa fare in base al contesto, rispettare policy aziendali, chiedere approvazioni, e tornare con un output operativo e affidabile.

AI Shoring: il declino silenzioso del make or buy e l’ascesa dell’impresa aumentata RaaS

Per anni, le aziende hanno puntato su offshoring, pionere e gigante fu EDS e nearshoring Accenture, IBM, HPE per delegare attività digitali complesse a regioni con costi contenuti. Tuttavia, con l’avvento delle straordinarie capacità dell’intelligenza artificiale, stiamo forse entrando in una nuova era: l’AI shoring. Questo concetto prevede che, anziché affidare compiti manuali come il monitoraggio degli avvisi bancari o le verifiche di conformità a team umani ubicati all’estero, le aziende inizino a sfruttare agenti di intelligenza artificiale e algoritmi di apprendimento automatico (ML). Questa transizione potrebbe rivoluzionare profondamente il modo in cui le organizzazioni affrontano attività ripetitive e basate su processi, aprendo la strada a un futuro più efficiente e automatizzato.

Mentre i piani industriali ancora puzzano di slide PowerPoint e decisioni da comitato, fuori dalla sala riunioni si sta consumando una rivoluzione. Invisibile, distribuita, automatica. Una terza via si sta affacciando oltre le classiche dicotomie strategiche del “make or buy”, ed è molto più subdola, molto più efficiente, e soprattutto non dorme mai: delegare attività operative e decisionali agli agenti AI. Battezziamola pure AI shoring, perché suona bene e inquieta quanto basta.

Alphabet e Nvidia scommettono sull’IA estrema Safe Superintelligence (SSI): il nuovo colpo da $32 miliardi di Ilya Sutskever scuote la Silicon Valley

La Silicon Valley, si sa, ama gli enfant prodige. Ma quando l’ex chief scientist di OpenAI, Ilya Sutskever, si mette in proprio per fondare un’azienda chiamata Safe Superintelligence (SSI), con l’intento non tanto velato di creare un’Intelligenza Artificiale “super” ma anche “sicura”, l’élite tech reagisce come i venture capitalist davanti al nuovo Steve Jobs: tirando fuori i portafogli prima ancora che il pitch sia finito.

Secondo fonti vicine alla questione (la versione moderna del “un amico mi ha detto”), Alphabet e Nvidia – due entità che solitamente non giocano nella stessa sandbox senza stringere i pugni hanno deciso di unirsi a un round di finanziamento che ha catapultato SSI a una valutazione di 32 miliardi di dollari. Il round è stato guidato da Greenoaks, uno dei soliti noti nel panorama del venture capital high-stakes, quelli che scommettono forte e spesso sulle scommesse più pericolose: modelli AI di frontiera, che bruciano chip come fossero carbone in una locomotiva dell’Ottocento.

Sensetime rilancia la sfida dell’AI cinese con petaflops, chip patriottici e asset leggeri

SenseTime, la startup che da tempo ha smesso di comportarsi come tale, sta per far saltare il banco dell’intelligenza artificiale con una mossa tanto prevedibile quanto spregiudicata: moltiplicare a tre cifre la sua capacità di calcolo entro i prossimi due anni, spingendo sul pedale dei chip domestici in piena guerra tecnologica con gli Stati Uniti.

Yang Fan, co-fondatore di SenseTime e gran manovratore della divisione SenseCore, ha messo le carte sul tavolo. La capacità computazionale crescerà tra l’“alto doppia cifra” e il “tripla cifra” su base annua nei prossimi 24 mesi. Tradotto in numeri, nel 2024 si parla di un +92% rispetto all’anno precedente, con un totale che ha sfondato i 23.000 petaflops. Ma dietro ai numeri c’è molto di più: un progetto strategico per svincolarsi dalla dipendenza da chip statunitensi e una corsa dichiarata al profitto per il 2026. Il tutto, con una certa voglia di provocazione tecnologica made in China.

Netflix mette l’intelligenza artificiale nel telecomando: la nuova ricerca “emotiva” powered by OpenAI

Netflix ha deciso di rovesciare il tavolo ancora una volta, e stavolta lo fa alzando l’asticella dell’esperienza utente con un motore di ricerca alimentato da OpenAI. Non più solo “azione”, “thriller” o “con Will Smith”, ma qualcosa di molto più profondo: “voglio qualcosa di malinconico ma con un finale ottimista”, oppure “una serie che mi faccia compagnia mentre cucino con il gatto sulle ginocchia”. Fantascienza? No, Australia e Nuova Zelanda su iOS, ora. Presto anche negli Stati Uniti. Il futuro dell’intrattenimento non è nei contenuti: è nel modo in cui li cerchi.

Netflix sta testando questa nuova funzione in una modalità opt-in, il che significa che solo chi accetta di provarla potrà accedere a questa nuova frontiera del consumo digitale. Il test è già partito in due mercati culturalmente distanti da Hollywood, un segnale interessante: Netflix non vuole solo capire come funziona la ricerca semantica, ma come diverse culture interagiscono emotivamente con l’intrattenimento. Il fatto che il rollout sia solo su iOS, e non ancora previsto su Android o TV, non è casuale: Apple rappresenta il pubblico “premium”, quello che Netflix vuole profilare per primo. Il risultato? Una massa critica altamente segmentata e ad alto valore che permetterà al sistema di affinare i prompt e le risposte.

Youtube inventa la colonna sonora del futuro: addio copyright, benvenuto AI jukebox

Nel grande circo degli strumenti di content creation, YouTube sta silenziosamente spingendo i creator verso una nuova era, una dove non è più necessario pregare l’algoritmo di non falciarti il video con una segnalazione per copyright. Secondo quanto riportato da TechCrunch, la piattaforma di Google sta lanciando una nuova funzione chiamata Music assistant, un tool basato su intelligenza artificiale che permette di generare basi musicali strumentali su richiesta, totalmente gratuite e – cosa più importante – libere da ogni incubo legale.

La demo è stata presentata da Lauren sul canale Creator Insider, una specie di “dietro le quinte” ufficiale di YouTube dove le novità vengono spiegate con quel tono da Silicon Valley che cerca disperatamente di suonare umano, ma finisce per sembrare sempre un po’ Google Assistant con empatia. Nella dimostrazione, Lauren mostra una nuova tab all’interno della beta di Creator Music, dove compare il già battezzato Music assistant. Scrivi una frase come “dammi una musica motivazionale per un montaggio di allenamento” e voilà, l’algoritmo ti sforna una lista di tracce pronte all’uso. Clic, scarichi, editi il video, e nessuno ti tocca.

Chatgpt e il fenomeno della figurina virale Action Figure: quando l’AI diventa un giocattolo da esposizione

Non c’è niente di più LinkedIn-core del trasformarsi in un action figure e raccontare al mondo che la tua “arma” è una tazza di caffè e il superpotere una tastiera. Se ti stavi chiedendo qual è il nuovo passatempo digitale del branco di marketer, recruiter e aspiranti thought leader, eccoti servito: l’ultima mutazione dell’ego professionale si materializza in plastica (digitale), blister e accessori personalizzati. È la tendenza delle “AI Action Figure”, figli illegittimi dell’ultima ondata virale generata da ChatGPT, dopo il delirio visivo in stile Studio Ghibli.

Nel panorama inarrestabile dei trend figli di prompt scritti male e pixel disegnati troppo bene, il giocattolo personalizzato è l’ennesima forma di autocelebrazione travestita da contenuto creativo. Con il suo packaging da scaffale Walmart e le pose da finto modesto imprenditore del secolo, l’action figure AI non è altro che la versione 3.0 del biglietto da visita con sfondo motivazionale. Ovviamente, tutto questo ha trovato il suo habitat naturale su LinkedIn, dove ogni post è una TED Talk mancata e ogni like un’autoconferma esistenziale.

Apple e Siri: La sfida di rendere l’assistente virtuale intelligente, ma non troppo

Apple sta cercando di riscrivere la storia del suo assistente vocale Siri, ma il cammino è tutt’altro che lineare. Secondo quanto riportato dal New York Times, l’azienda della Mela prevede di lanciare una versione aggiornata di Siri entro la stagione delle vacanze 2025, con nuove funzionalità intelligenti e personalizzate che avrebbero dovuto essere implementate già in iOS 18. Tra queste, la possibilità di editare e inviare foto su richiesta, un passo in avanti significativo rispetto alla Siri che conosciamo oggi. Non solo un aggiornamento tecnologico, ma un tentativo di recuperare il terreno perso nei confronti dei suoi concorrenti, che da anni offrono assistenti vocali decisamente più avanzati.

L’illusione dell’intelligenza artificiale gratuita finirà male

Quando forse dopo i DAZI 🙂 Benvenuti nell’età dell’ipocrisia algoritmica, dove tutti si stanno innamorando follemente dell’AI come se fosse una droga sintetica: economica, disponibile ovunque, apparentemente innocua. ChatGPT, Claude, Gemini, Copilot: tutti lì, pronti a sussurrarti la risposta perfetta, il testo magico, la presentazione impeccabile. Solo che sotto la superficie liscia e lucida della nuova era digitale, si sta preparando una trappola industriale degna delle più raffinate manipolazioni del capitalismo predatorio. E sì, inquieta davvero che nessuno faccia i controlli.

Ci hanno venduto l’illusione dell’AI come bene pubblico, gratuito o a basso costo, come se il genio uscito dalla lampada fosse lì solo per farci risparmiare tempo e neuroni. Ma improvvisamente le aziende stanno iniziando a cambiare tono: “Attenzione, l’AI costa energia, non è sostenibile, dovremo aumentare i prezzi”. Ma dai? Chi l’avrebbe mai detto che far girare milioni di parametri su server sparsi in data center energivori tra Arizona, Norvegia e Cina non fosse la cosa più sostenibile del mondo?

Protetto: Microsoft 365 Copilot: l’ennesima “innovazione” che ci costa un botto ?

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Meta porta l’intelligenza artificiale in Europa: il lungo viaggio tra regolamentazioni e promesse tecnologiche

Meta ha finalmente annunciato il lancio delle sue funzionalità di intelligenza artificiale (AI) su Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger in Europa. Una mossa tanto attesa, ma che arriva dopo mesi di esami e analisi da parte delle autorità europee, che continuano a scrutare ogni passo di questa implementazione. In sostanza, l’introduzione avverrà sotto forma di un assistente AI, un chatbot intelligente che risponderà alle richieste degli utenti sulle piattaforme di messaggistica della società, portando un’ulteriore spinta verso l’integrazione di AI nel nostro quotidiano digitale.

Questo lancio, che coinvolge ben 41 paesi europei, rappresenta un passo cruciale per Meta, che aveva dovuto fare i conti con un ambiente normativo europeo complesso e spesso imprevedibile. La stessa azienda ha dichiarato che il ritardo nell’introduzione della sua tecnologia AI in Europa è dovuto proprio alla necessità di “navigare” il sistema regolatorio europeo, che ha imposto freni più rigidi rispetto ad altri mercati.

Google lancia Firebase Studio: l’IDE basato su web per costruire applicazioni full-stack con intelligenza artificiale

Google ha recentemente introdotto Firebase Studio, un potente ambiente di sviluppo web-based che promette di rivoluzionare il modo in cui vengono create e distribuite applicazioni di intelligenza artificiale full-stack. Integrando in un’unica piattaforma Project IDX, Genkit e Gemini, Firebase Studio fornisce agli sviluppatori un set di strumenti avanzati per progettare, costruire e distribuire applicazioni con un’efficienza senza precedenti. La funzionalità più interessante? Un agente di prototipazione delle app che può generare automaticamente applicazioni complete a partire da semplici prompt o disegni, riducendo drasticamente il tempo di sviluppo.

OpenAI, la corsa cieca all’IA: quando la sicurezza diventa un optional

Nel 2023, OpenAI sembrava incarnare il paradigma della responsabilità etica nella corsa all’intelligenza artificiale. Sei mesi di test per GPT-4, un impegno pubblico verso la trasparenza e persino collaborazioni con istituzioni governative per garantire che la nuova tecnologia non si trasformasse in un’arma nelle mani sbagliate. Ma quell’immagine da tech-samaritani sembra già roba da archivio storico. Oggi, il nuovo modello “o3” viene lanciato dopo appena pochi giorni di valutazioni. Una marcia forzata al rilascio che ha tutta l’aria di una sindrome da IPO imminente o da guerra fredda tra colossi dell’IA. O entrambe.

Dietro questa virata non ci sono misteri: pressione competitiva, fame di mercato, e un culto ossessivo per il “first mover advantage” stanno spingendo OpenAI ad accelerare brutalmente il ciclo di sviluppo dei suoi modelli. Il problema? Che questi modelli non stanno diventando solo più intelligenti, ma anche più pericolosi. E il tempo per verificarlo si è drasticamente ridotto.

No Wafer No Party, Chips di guerra: la Cina ridefinisce l’origine dei semiconduttori e silura il piano di Trump

Quando si parla di guerre commerciali, si tende a pensare a dazi, ritorsioni e mercati in affanno. Ma in realtà, in ballo ci sono sempre definizioni. E stavolta, è la definizione di “origine” che sta facendo tremare le fondamenta dell’industria globale dei semiconduttori. La Cina, in un colpo da maestro di strategia geoindustriale, ha ufficializzato che l’origine doganale di un chip sarà determinata dal luogo in cui viene effettuata la wafer fabrication, ovvero la fase chiave in cui nasce fisicamente il semiconduttore, indipendentemente da dove venga impacchettato o testato. La notizia è stata diffusa dalla China Semiconductor Industry Association (CSIA) con un messaggio molto chiaro: chi fabbrica il wafer, vince.

Questa mossa, a prima vista meramente tecnica, è in realtà una bomba geopolitica travestita da comunicato doganale. Il suo effetto immediato? Spostare l’ago della bilancia verso le fonderie cinesi come SMIC e Hua Hong, che hanno registrato un balzo azionario rispettivamente del 5,9% e 14% subito dopo l’annuncio. In altre parole, un “boost” di fiducia che difficilmente si compra con una campagna pubblicitaria.

Debug Gym – AI sa scrivere ma non sa correggersi: perché gli LLM sono ancora lontani dal pensare come uno sviluppatore

Secondo uno studio MSFT 25% del codice nuovo scritto da Google è generato da AI. Non lo dice un anonimo post su Hacker News, lo dice Sundar Pichai in persona. Mark Zuckerberg, non certo noto per la moderazione nei suoi entusiasmi, vuole strumenti AI di coding ovunque dentro Meta. OpenAI e Anthropic stanno già infilando i loro modelli nei flussi di lavoro degli sviluppatori. Ma c’è un dettaglio fastidioso che rovina la festa: questi modelli sanno scrivere codice, ma non sanno correggerlo. O meglio, si perdono in bug che uno stagista al primo mese sistemerebbe in due minuti. Così, mentre ci illudiamo che la prossima frontiera sia il prompt che ti scrive l’app da solo, la realtà è che passiamo ancora la maggior parte del tempo a fare debugging. A mano. Come nell’era pre-AI.

Pechino suona la carica, Li Qiang a Ursula von der Leyen : “abbiamo gli strumenti per resistere alla guerra commerciale di Trump”

Nel teatro sempre più grottesco dell’economia globale, dove le regole del gioco sembrano essere scritte con l’inchiostro simpatico dell’interesse nazionale americano, la Cina ha deciso di mostrare i muscoli ma con il guanto bianco della diplomazia. Li Qiang, Premier della Repubblica Popolare, ha alzato la cornetta e parlato con Ursula von der Leyen per recitare un copione che sa di calma glaciale e determinazione sistemica: “abbiamo abbastanza strumenti politici in riserva” e “siamo pienamente in grado di contrastare gli shock esterni”.

Tradotto dal mandarino: Trump può pure giocare a Risiko con i dazi, noi giochiamo a Go con decenni di pianificazione centralizzata. Il messaggio è chiaro, e non è solo per l’Europa: Pechino non ha intenzione di piegarsi alla nuova ondata protezionistica partorita dalla Casa Bianca. Anzi, rilancia con il solito mantra del “difendere l’equità internazionale” un concetto che fa sorridere se pronunciato da un Paese che tiene in piedi il più sofisticato sistema di capitalismo di Stato mai concepito.

Sensetime sfida OpenAI: il colosso cinese lancia un modello AI che “ragiona meglio” SenseNova V6 e V6 Reasoner

In un mercato sempre più saturo di fuffa e slide patinate, dove tutti si dichiarano pionieri dell’intelligenza artificiale, SenseTime ha deciso di alzare la voce e i numeri. L’azienda cinese ha lanciato due nuove versioni della sua suite AI, SenseNova V6 e V6 Reasoner, con una dichiarazione che ha il sapore del guanto di sfida: siamo meglio di OpenAI, punto.

Mentre in Occidente ci si perde tra conferenze stampa dal retrogusto evangelico e annunci scritti come se fossero la quarta sinossi di un film Marvel, in Cina si lavora. E i risultati, per quanto tutti da verificare sul campo, iniziano a diventare ingombranti. SenseTime afferma che il nuovo modello V6, equipaggiato con 600 miliardi di parametri una cifra che fa impallidire anche GPT-4o – ha surclassato il rivale americano in discipline fondamentali per l’AI del presente e del futuro: fact-checking, ragionamento numerico, analisi e visualizzazione dei dati. Tutte aree dove la precisione conta, e il marketing si ferma alla porta.

Xu Li, CEO e chairman del gruppo, ha snocciolato i risultati facendo riferimento a TableBench, una piattaforma indipendente che si propone come metro di paragone neutrale nel Far West dell’AI. Secondo questi benchmark, il V6 Reasoner non solo ha “ragionato meglio”, ma ha anche consumato meno risorse, offrendo il miglior costo-performance del settore. Una frecciatina nemmeno tanto velata a chi in Occidente punta su modelli da miliardi di dollari ma ancora allergici alla logica più spicciola.

Trump ordina un’indagine sull’ex capo della cybersicurezza: vendetta o strategia preventiva?

Quando l’ex presidente Donald Trump firma un ordine esecutivo, non lo fa mai a cuor leggero. Mercoledì ha messo nero su bianco un attacco frontale a Christopher Krebs, ex direttore dell’Agenzia per la sicurezza informatica e delle infrastrutture (CISA), oggi dirigente di SentinelOne, società privata di cybersecurity. Sì, proprio lui, lo stesso che dopo le elezioni del 2020 ebbe l’ardire di smentire pubblicamente le teorie trumpiane sul presunto “furto” elettorale. Il prezzo? Ora si ritrova al centro di un’indagine ordinata dallo stesso uomo che l’aveva già licenziato con una mossa spettacolare e mediatica.

Trump, in questo nuovo ordine esecutivo, ha revocato il nulla osta di sicurezza a Krebs, etichettandolo di fatto come una minaccia all’apparato statale. Ma attenzione: non si tratta di un’azione isolata. Il tycoon è nel pieno di una campagna di rivincita sistematica contro individui, studi legali e università che a suo dire lo avrebbero danneggiato o screditato. Questo comportamento paranoico, o forse solo estremamente strategico, ci racconta più del modus operandi trumpiano che dell’effettiva pericolosità di Krebs.

La scelta di prendere di mira un esperto riconosciuto a livello internazionale, che aveva semplicemente affermato che le elezioni del 2020 furono “le più sicure nella storia americana”, non è solo un atto vendicativo, ma un segnale politico ben preciso. Siamo nel pieno del 2024 e Trump ha bisogno di polarizzare l’attenzione, consolidare la base e riscrivere la narrativa in vista delle prossime elezioni. Quale modo migliore se non riesumare i fantasmi del 2020 e attaccare chi, con freddezza e competenza tecnica, ha osato contraddirlo?

Amazon premia il suo CEO: Andy Jassy incassa 40 milioni, mentre i dipendenti fanno i pacchi

Andy Jassy, il successore designato di Jeff Bezos e oggi CEO di Amazon, ha incassato solo 40,1 milioni di dollari nel 2024. La cifra, rivelata nel proxy statement di Amazon pubblicato giovedì, rappresenta un aumento del 37% rispetto ai 29,2 milioni del 2023. Un bel balzo, considerando che non ha ricevuto nuove azioni da quando ha preso il timone nel 2021. Ma si sa, a Wall Street anche l’immobilismo può essere una strategia, se il mercato fa il lavoro al posto tuo.

Il grosso del compenso deriva da stock option che si sono “vestite” Vested termine che nel gergo finanziario fa sembrare la cosa più sexy di quanto non sia grazie alla fiammata del titolo Amazon in Borsa. La società ha sottolineato come Jassy abbia in realtà avuto il 6% in meno di azioni rispetto all’anno precedente. Ma quando il prezzo delle azioni vola, anche il paracadute d’oro si gonfia da solo.

Ursula von der Leyen e la guerra dei pixel: perché una tassa europea sulla pubblicità digitale è una mina sotto il cloud delle Big Tech


Non è una guerra commerciale, è una partita a Risiko giocata da boomer vestiti da statisti, con le aziende tech americane al centro del bersaglio. Apple si è già beccata il primo colpo, ma ora anche Meta e Google rischiano di vedere i loro margini evaporare tra i fumi di ritorsioni e nuove fantasiose imposte pensate a Bruxelles, con la stessa lucidità con cui si sceglie il karaoke di fine anno in un ente pubblico.

Ursula von der Leyen, che evidentemente ha deciso di iniziare la campagna elettorale con l’eleganza di un colpo di mazza sul tavolo delle relazioni transatlantiche, ha proposto una tassa sui ricavi pubblicitari delle aziende statunitensi. Non sui profitti, attenzione, ma sui ricavi. Il che, per chi mastica un po’ di business, è come tassare l’aria condizionata di un ristorante e non il conto. È una misura punitiva, non una riforma. È una provocazione fiscale mascherata da giustizia economica, e come ogni provocazione, rischia di ottenere l’effetto opposto.

L’età dell’alluminio Agibot: Peng Zhihui, il prodigio dei robot umanoidi, ora nel club degli eletti di Pechino

Ne sentiremo parlare.

In un Paese che ha reso l’iperbole una forma d’arte politica, quando il Premier cinese Li Qiang ti chiama a raccolta tra un economista della logistica e un magnate del trasporto marittimo, qualcosa di simbolico sta accadendo. Peng Zhihui, classe 1993, fondatore della start-up AgiBot e ex enfant prodige di Huawei, è stato convocato tra le giovani speranze della tecnologia nazionale per un simposio a porte chiuse a Pechino. Un palcoscenico istituzionale che somiglia a un’investitura, più che a una riunione operativa.

Sotto il volto liscio del socialismo high-tech si nasconde un sottotesto chiarissimo: Pechino ha bisogno di nuovi idoli, possibilmente con un background da ingegneria applicata e un portfolio di robot bipedi pronti a spostare scatole o conquistare TikTok. E Peng, con il suo curriculum da sceneggiatura Marvel un braccio robotico alla Iron Man, un nickname virale (“Zhihuijun”), e un passato nei reparti AI di Huawei e Oppo è perfetto per la parte. Non un semplice imprenditore, ma un totem narrativo per una Cina che vuole ribadire che la partita dell’intelligenza artificiale non è a esclusivo appannaggio della Silicon Valley.

La guerra dei dazi diventa guerra di nervi: Trump e Xi al bivio di un duello strategico globale

Il sipario si è alzato sul secondo atto della guerra commerciale USA-Cina e stavolta non si tratta solo di dazi. È un confronto strategico, una partita a scacchi geopolitica, con Washington e Pechino incastrati in una dinamica di escalation reciproca che trascende il semplice commercio. Trump, tornato alla Casa Bianca con la sottile eleganza di un bulldozer in cristalleria, ha innalzato i dazi al +125% (quindi in totale dovrebbero essere 145%) contro la Cina. Una mossa che sa più di vendetta che di strategia economica, mentre a tutti gli altri partner commerciali ha concesso una graziosa tregua di 90 giorni. Per Pechino, invece, nessun salvacondotto.

Non siamo più nel 2018. Oggi, con le supply chain globali già fratturate e l’economia mondiale in modalità “survival”, la mossa di Trump appare come un tentativo di rianimare il suo brand politico attraverso il nazionalismo economico più tossico (Monroe). Ma la Cina non è quella che era. Non c’è più l’ombra di un compromesso tattico: Pechino ha messo in chiaro che è pronta a pagare qualsiasi prezzo pur di non piegarsi. Lo ha detto Zhao Minghao, esperto del Centre for American Studies di Shanghai, e lo ha ribadito ogni funzionario cinese coinvolto: questa è una guerra di risolutezza, non di numeri.

OpenAI dà memoria a ChatGPT: l’AI ti conosce, ti ricorda e ti risponde meglio di tua madre

Era solo questione di tempo prima che l’intelligenza artificiale smettesse di soffrire d’amnesia digitale. Oggi, OpenAI ha annunciato il rollout di un aggiornamento che porta ChatGPT dal ruolo di pappagallo iper-efficiente a quello di compagno digitale capace di ricordare tutta la tua storia con lui. Sì, tutta. Passato remoto, congiuntivo incluso.

Questa nuova “memoria aumentata” è in fase di rilascio per gli utenti paganti del piano Pro, trasformando radicalmente il paradigma dell’interazione uomo-macchina. Fino a ieri, ChatGPT poteva ricordare quello che gli dicevi solo se glielo salvavi manualmente. Oggi, invece, può recuperare il contesto da qualunque conversazione precedente e usarlo per rispondere come se avesse seguito la tua vita digitale in tempo reale. Tipo un assistente personale, ma senza lo stipendio, senza pause caffè, e senza sindacato.

Canva sfida l’impero di Microsoft e Google: l’attacco definitivo parte dal Visual Suite 2.0

Canva ha appena lanciato la bomba nucleare contro l’oligarchia del software aziendale. Mentre Microsoft si aggrappa disperatamente a Teams e Copilot, e Google continua a impilare fogli, slide e documenti in un’interfaccia che sa di decennio scorso, Canva si presenta con un piano tanto semplice quanto ambizioso: fagocitare tutto. Design, produttività, AI generativa, gestione dei team, fogli di calcolo, codice, foto, siti, presentazioni. In una sola parola? Total domination.

La nuova versione di Visual Suite non è solo un update, è una dichiarazione di guerra. L’obiettivo? Trasformare Canva da quello strumento da marketer fighetti e freelance creativi a vera alternativa alle suite collaudate di Microsoft 365, Google Workspace e pure una bella fetta di Adobe Creative Cloud.

Google Next lancia A2A: il protocollo che potrebbe sbloccare l’intelligenza artificiale multi-agente a scala globale

Leggi l’annuncio ufficiale di Google

In un mondo dove l’intelligenza artificiale viene ancora gestita come una collezione di agenti autistici — intelligenti sì, ma ognuno chiuso nel proprio silo tecnologico — arriva A2A, l’Agent-to-Agent Protocol di Google, come una telefonata improvvisa nel silenzio assordante. Lanciato ieri con tanto di benedizione open source, A2A potrebbe rappresentare lo strato mancante che rende finalmente operativa, interoperabile e scalabile l’intelligenza artificiale multi-agente. Non è la solita iniziativa “alpha-only” con puzza di lock-in, ma un ecosistema già supportato da oltre 50 partner, da Salesforce a LangChain, fino a SAP. Quando si muovono questi, forse qualcosa di grosso bolle davvero in pentola.

Il protocollo A2A è, in estrema sintesi, una lingua franca tra agenti AI. Un set di regole e convenzioni che permette a software intelligenti di comunicare, coordinarsi, passarsi lavoro e completare task senza dover riscrivere ogni volta la Torre di Babele del middleware. Un agente riceve un compito, lo passa a un altro che ha le competenze per completarlo, e voilà: niente più API spaghetti, nessun vendor lock-in, zero pareti proprietarie. Il sogno bagnato di chiunque abbia passato gli ultimi cinque anni cercando di orchestrare architetture modulari senza impazzire.

Trump rilancia la guerra fredda del Pacifico: un trilione di dollari, dazi al 125% e una strategia che puzza di guerra commerciale più che di deterrenza

Benvenuti nell’era del trilione di dollari. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca come un fantasma che non vuole saperne di restare nel passato, ha promesso – con l’immancabile petto gonfio da comandante in capo – un budget per la difesa da 1.000 miliardi di dollari. Una cifra colossale, mai vista prima, che rappresenta un incremento vertiginoso rispetto agli 892 miliardi appena approvati per il 2024. E mentre a Washington tagliano a colpi d’accetta tutto ciò che non sa di guerra, Trump e il nuovo Segretario alla Difesa Pete Hegseth piazzano il pentolone bollente della deterrenza sul fornello dell’Indo-Pacifico. Il messaggio è chiaro, urlato con il solito megafono mediatico: la Cina è il nemico designato, e bisogna spendere per stare al passo.

Avatar in aula: quando l’IA diventa l’avvocato (senza dirlo a nessuno)

Certe volte la realtà supera la fantascienza. E altre volte, la supera, la investe, e poi fa retromarcia. Prendete Jerome Dewald, 74 anni, imprenditore seriale e visionario dell’intelligenza artificiale, che ha pensato bene di mandare Jim, un avatar AI “grande, bello e maschio alfa”, a rappresentarlo in tribunale durante un’udienza. Sì, avete letto bene. Un avatar generato da una piattaforma chiamata Tavus, usato per tenere un’arringa legale in un’aula della Corte Suprema dello Stato di New York.

Ora, si potrebbe anche apprezzare l’intento se fosse stato chiaro. Ma Dewald non ha avuto la brillante idea di informare preventivamente la corte che l’uomo in video, con voce baritonale e mascella scolpita, non era un avvocato in carne e ossa, né tanto meno lui. Il dettaglio, a quanto pare, era secondario. Peccato che la giudice Sallie Manzanet-Daniels non abbia esattamente gradito la sorpresa, interrompendo il video dopo la prima frase pronunciata da Jim e chiedendo se quella fosse la parte legale del caso.

Amazon spara in orbita la sfida: Project Kuiper punta 27 satelliti contro Starlink

Nel teatro sempre più affollato dell’internet satellitare, Amazon accende i motori e si prepara a lanciare il suo guanto di sfida contro SpaceX. Mercoledì sera, dal pad di Cape Canaveral, 27 satelliti della costellazione Kuiper prenderanno il volo a bordo di un razzo Atlas V della United Launch Alliance, la joint venture tra Boeing e Lockheed Martin. Non si tratta più di test o prove tecniche di trasmissione: questa è la prima vera infornata operativa, quella che segna il passaggio dal laboratorio all’arena commerciale.

Il battesimo del fuoco segue il volo di due prototipi messi in orbita lo scorso anno, piccoli precursori lanciati per testare le fondamenta della rete Kuiper. Adesso si fa sul serio. I satelliti sono destinati a diventare le prime pedine concrete nella gigantesca scacchiera cosmica dove Amazon ambisce a posizionare oltre 3.200 unità. Obiettivo? Copertura internet globale, low-latency e a banda larga, in una guerra fredda dello spazio che si combatte a colpi di gigabit, orbite basse e frequenze radio.

Grok 3 via Api, l’intelligenza artificiale secondo Musk: cara e pronta a mordere

Elon Musk non ama giocare in difesa. Dopo le cannonate su OpenAI e il suo distacco (tra scontri legali e teatrini su X), ora mette sul tavolo la sua personale versione dell’IA generativa: Grok 3. L’API del modello di punta della sua startup xAI è ufficialmente online, con tanto di listino prezzi – che, neanche a dirlo, è un manifesto ideologico prima ancora che commerciale.

Per chi si fosse perso qualche puntata, Grok è il nome della famiglia di modelli sviluppati da xAI. A detta di Musk, rappresentano “la vera alternativa open alla censura woke”. Al netto delle sparate di marketing, Grok 3 arriva in quattro versioni: il modello base, la versione Mini, e per entrambe l’upgrade con capacità di “reasoning” il che oggi significa poco, visto che anche i modelli dei competitor ormai spacciano per ragionamento ciò che è solo inferenza statistica mascherata da logica.

La Mossa di Trump sull’AI: Carbone o Energia Pulita?

Un capitolo piuttosto inusuale si è appena aggiunto al dibattito sull’energia per l’intelligenza artificiale (AI) negli Stati Uniti. Il giorno prima che diversi leader tecnologici di spicco fossero convocati al Congresso per discutere come ottenere più energia per l’industria dell’AI in forte crescita, il presidente Donald Trump ha preso una decisione audace per affrontare la crisi firmando un ordine esecutivo volto a rilanciare la produzione di carbone. L’ordine, facente parte di un pacchetto di iniziative più ampio pensato per rilanciare l’industria del carbone americana, cerca di rispondere alle crescenti necessità energetiche dei centri di elaborazione dati per l’AI, facendo affidamento su quelle che Trump ha definito le “belle risorse di carbone pulito” degli Stati Uniti.

L’ordine firmato da Trump, che affronta specificamente le esigenze energetiche dell’AI, incarica i Dipartimenti del Commercio, dell’Energia e degli Interni di condurre studi per determinare se le infrastrutture alimentate a carbone possano supportare i centri di dati per l’AI. Con l’AI destinata a diventare una forza onnipresente in tutto, dalla sicurezza nazionale alle attività quotidiane, la questione di come alimentare i vasti e affamati di energia centri di elaborazione dati che sostengono queste tecnologie è diventata centrale. Il problema è innegabile: l’AI richiederà più energia che mai, e l’industria tecnologica è alla ricerca di soluzioni per soddisfare tale domanda.

Quando l’ignoranza istituzionale diventa pedagogia nazionale

Fa quasi tenerezza, se non fosse drammatico. La Segretaria all’Istruzione degli Stati Uniti, Linda McMahon, già nota più per il wrestling che per la pedagogia, ha partecipato a un panel dedicato all’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. Fin qui nulla di nuovo. Il problema? Ha ripetutamente chiamato “AI” acronimo universalmente noto per “Artificial Intelligence” con un convintissimo “A1”. Sì, come la salsa per bistecche. Uno scivolone lessicale che, se fosse uscito dalla bocca di un comico da stand-up, avrebbe strappato una risata. Ma quando arriva dalla persona che dovrebbe dirigere il futuro educativo di una nazione, il retrogusto è quello dell’angoscia.

Certo, potremmo cavarcela con una battuta: magari pensava che l’“A1” fosse un miglioramento delle scuole di “serie B”. Oppure che fosse una nuova sigla per un programma proteico destinato ai cervelli adolescenti. Ma dietro la gaffe si nasconde qualcosa di ben più serio: l’inquietante incompetenza della classe dirigente rispetto alle tecnologie che stanno ridefinendo l’intera struttura della società.

Adobe punta sull’intelligenza artificiale creativa: Photoshop e Premiere Pro diventano (finalmente) intelligenti

Adobe ha deciso di mandare in pensione il concetto romantico di “editing manuale” e ha fatto coming out con la sua nuova religione: l’agentic AI. Un nome che sa più di buzzword da pitch per venture capitalist che di rivoluzione, ma il succo è chiaro. Photoshop e Premiere Pro stanno per diventare strumenti che non solo eseguono comandi, ma li capiscono, li anticipano e soprattutto – li fanno al posto tuo. Addio alle notti insonni passate a mascherare dettagli pixel per pixel. Benvenuti nell’era del creative agent, dove il mouse serve più per sentirsi creativi che per esserlo davvero.

A spiegare l’ennesima mossa di Adobe nel campo dell’IA è Ely Greenfield, CTO del Digital Media di Adobe, che in un blog pubblicato oggi ha raccontato con toni visionari – e un certo gusto per la retorica futuristica – come funzioneranno questi nuovi agenti. Si parte da Photoshop: una nuova interfaccia galleggiante, chiamata Actions panel, che analizza la tua immagine, ti suggerisce interventi estetici (tipo: “vuoi che sparisca quella comitiva di turisti sullo sfondo?”) e poi se gli dici sì – lo fa. Senza chiederti dove vuoi salvare il file.

Trump fa marcia indietro sui chip Nvidia in Cina: la politica estera ora si decide a cena a Mar a Lago

Donald Trump, il maestro del colpo di teatro e delle trattative condite da bistecche ben cotte a Mar-a-Lago, ha appena riscritto il copione della geopolitica tecnologica globale. Secondo un’esclusiva riportata da NPR, l’ex Presidente e probabile futuro candidato ha deciso di sospendere le nuove restrizioni sui chip AI venduti da Nvidia alla Cina, dopo un tête-à-tête serale con l’AD Jensen Huang, noto più per il suo giubbotto di pelle che per l’amore verso la diplomazia.

La vicenda ha i tratti di un western high-tech, dove le sanzioni USA, ideate per bloccare il progresso dell’IA cinese, vengono messe in pausa non da un consiglio di sicurezza o da un’analisi strategica del Pentagono, ma da una conversazione informale con un CEO. Huang avrebbe promesso a Trump “significativi investimenti” in data center di nuova generazione negli Stati Uniti, ovviamente a condizione di mantenere aperto l’accesso al lucroso mercato cinese. D’altronde, Huang non è nuovo ai giochi di equilibrio geopolitici: Nvidia vende chip avanzatissimi che fanno gola a entrambi i lati del Pacifico.

Google Cloud Next 2025 quando il cloud è più volatile della borsa l’illusione della stabilità

A Las Vegas, sotto i riflettori abbaglianti di un centro congressi troppo freddo per caso, Thomas Kurian, CEO di Google Cloud, ha tenuto il suo sermone da novanta minuti sul futuro dell’IA, il tutto mentre fuori dalla bolla siliconata soffiava un vento economico da tempesta perfetta. Wall Street rimbalzava sull’ultima trovata di Trump in politica tariffaria, e nel frattempo Sundar Pichai, con la calma di un monaco benedettino e la fermezza di un CFO in piena negazione, ci ricordava che Google continuerà a investire 75 miliardi di dollari in spese capitali, recessione o no. E nel backstage, probabilmente, qualcuno aggiornava freneticamente le previsioni finanziarie su un foglio Google Sheets.

Guerra dei Titani: OpenAI contro Elon Musk, un duello legale tra egomania, dollari e intelligenze artificiali

OpenAI ha deciso che non era più tempo di silenzi o PR accomodanti. Mercoledì, ha lanciato la sua controffensiva legale contro Elon Musk, accusandolo apertamente di “una campagna di molestie” sistematica, portata avanti a colpi di post, cause, richieste fasulle e un tentativo farsa di acquisizione, con l’unico scopo neanche troppo velato – di sabotare la transizione dell’ex sua creatura in una macchina da profitti. Il tutto, ovviamente, con Musk nel ruolo di spettatore interessato e potenziale conquistatore.

Il teatro dello scontro è la Corte distrettuale federale della California del Nord, ma la posta in gioco va ben oltre una questione legale: c’è in ballo il futuro della più discussa e influente azienda di AI del pianeta, impegnata in una corsa contro il tempo per chiudere un round di raccolta fondi da 40 miliardi di dollari entro fine anno. E, come sempre in queste faccende, non è questione di morale, ma di potere e controllo.

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