Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Cripto, dollari e populismo fintech: il senato americano legalizza il sogno stabile di Trump

Per anni è sembrata una boutade da congresso nerd o una distopia da whitepaper con troppa caffeina: dollari digitali emessi da privati, regolati da leggi federali, scambiati come se fossero moneta vera. Ora non è più teoria. È politica. È legge. È Trump.

Martedì sera, con un inaspettato 68-30, il Senato degli Stati Uniti ha approvato una legge storica che regolamenta per la prima volta in modo organico le stablecoin ancorate al dollaro. Il cripto-dollaro ha quindi trovato casa tra le istituzioni. O almeno, una stanza degli ospiti.

Il fuoco sacro dell’intelligenza artificiale costa caro: xAI brucia miliardi come un falò digitale

C’è un tipo particolare di ossessione che nasce solo a Silicon Valley. Quella di Elon Musk non è più nemmeno originale: creare un dio digitale, una macchina che pensa meglio dell’uomo. E come tutte le religioni nascenti, anche questa costa. Tanto. Così tanto da sembrare assurdo persino per i parametri fuori scala dell’industria tech. xAI, la start-up del Musk più messianico, non ha ancora in tasca i 9,3 miliardi di dollari che vuole raccogliere, ma già sa che brucerà più della metà nei prossimi tre mesi. Il fuoco dell’IA, si sa, ha bisogno di molta legna, e qui si parla di montagne di chip e server.

Grok non si accontenta del cloud: perché xAI ha scelto Oracle, e cosa c’entra la guerra dei supercomputer

C’è un curioso paradosso nella Silicon Valley del 2025: tutti parlano di “democratizzazione dell’intelligenza artificiale”, mentre le AI stesse si muovono solo fra imperi. L’ultima mossa arriva da xAI, l’ambiziosa creatura partorita da Elon Musk per sfidare OpenAI sul campo del ragionamento machine-level. E la novità? I suoi modelli Grok ora risiedono sulla Oracle Cloud Infrastructure. Un matrimonio che, in superficie, sembra dettato dalla pura efficienza tecnologica. Ma a ben vedere, è una dichiarazione geopolitica.

Elon Musk e il colosso che mastica gpu: xAI cerca altri 4,3 miliardi per la sua guerra all’intelligenza artificiale

Nel mondo di Elon Musk, ogni cifra è una dichiarazione d’intenti. E spesso anche una minaccia. Dopo aver rastrellato 14 miliardi di dollari in due tornate di fundraising e un piano di debito da 5 miliardi appena svelato, ora xAI — la sua creatura nata per insegnare all’AI a “capire l’universo” — si prepara a un nuovo colpo di teatro: 4,3 miliardi in equity fresca, secondo Bloomberg. Il tutto mentre il Colosso — e non è una metafora, è proprio il nome del supercomputer da 200.000 GPU — prende forma come un mostro mitologico alimentato a silicio e ambizioni da impero.

Meta prova a comprare il cervello di OpenAI con bonus da 100 milioni, ma Altman sorride come un Buddha di silicio

Non è una guerra fredda, è una guerra neuronale. Niente spie, niente codici Morse, solo zeri e uno, valigette di stock option e firme su NDA lunghi quanto la Bibbia. Sam Altman, CEO di OpenAI e ormai avatar vivente dell’etica tecnoliquida, ha rivelato che Meta avrebbe offerto bonus di 100 milioni di dollari a singoli dipendenti di OpenAI. Sì, cento milioni. A testa. Per firmare un contratto e cambiare bandiera. Una mossa più da hedge fund che da laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale.

Il CEO di AMAZON annuncerà tagli di posti di lavoro grazie all’efficientamento tramite l’intelligenza artificiale

Ai ridisegna la catena del valore: meno PowerPoint, più Prompt

Marc Benioff ha fatto il primo passo con nonchalance, lanciando la bomba in un podcast: forse quest’anno non assumeremo nuovi ingegneri, grazie ai guadagni incredibili di produttività ottenuti con l’AI. L’ha detto quasi tra una risata e un sorso d’acqua minerale, come se fosse un dettaglio da nulla. Poi è arrivato Andy Jassy, CEO di Amazon, e ha fatto quello che da tempo tutti nel settore sapevano sarebbe successo, ma nessuno voleva essere il primo a dire ad alta voce: l’intelligenza artificiale non è solo una rivoluzione tecnologica, è anche e soprattutto una rivoluzione occupazionale. E inizia dentro casa.

Microsoft sotto accusa per il marketing dell’intelligenza artificiale: Copilot non è (ancora) il pilota automatico della produttività

New York – Se bastasse un nome ben scelto per garantire l’efficienza aziendale, Microsoft 365 Copilot sarebbe già un caso di studio in economia comportamentale. Purtroppo, non è così. E lo ha appena ricordato, con tono educato ma chirurgico, il National Advertising Division (NAD), l’organo autoregolamentare della BBB National Programs che vigila sulla correttezza pubblicitaria nel mercato statunitense. Al centro dell’indagine: il modo in cui Microsoft ha venduto — o forse è meglio dire “promesso” — le meraviglie della sua AI integrata.

Adobe firefly entra in tasca: l’intelligenza artificiale generativa diventa mobile

L’ultima trovata di Adobe ha un nome familiare, ma ambizioni da conquistatore planetario. Firefly, la piattaforma di modelli AI generativi firmata Adobe, ha smesso di essere un oggetto da laboratorio desktop: da oggi si muove in tasca. L’app mobile per iOS e Android è disponibile e promette di trasformare ogni smartphone in un laboratorio di contenuti visivi iper-produttivi, potenzialmente ossessivi. Immagina DALL·E, Midjourney e TikTok chiusi in un ascensore con Photoshop: Firefly potrebbe essere il risultato. Ma con l’accento sulla produttività professionale e una mano pesante sul cloud.

La religione della superintelligenza digitale: tra miracoli annunciati e crolli logici

Nel nuovo culto dell’Intelligenza Artificiale, ogni CEO è un profeta, ogni paper un vangelo, ogni bug un dogma misterioso ancora da interpretare. Sam Altman (OpenAI), Demis Hassabis (Google DeepMind) e Dario Amodei (Anthropic) non stanno semplicemente costruendo software: stanno profetizzando la venuta del Messia Digitale, una Superintelligenza che riscriverà le leggi del lavoro, della società, forse della realtà stessa.

L’intelligenza artificiale non aspetta i comitati: come gli agenti stanno rovesciando il tavolo nei consigli di amministrazione

Seizing Agentic AI Advantage

Un paradosso tutto nostro, di quelli raffinati. Le aziende corrono a implementare soluzioni di GenAI, ma non sanno perché. O meglio, lo sanno benissimo: perché lo fanno tutti, perché Copilot è già dentro Microsoft 365 e non serve neppure chiamare l’IT. Si attiva, funziona (più o meno), nessuno si lamenta. Gli executive possono dire di aver portato l’AI in azienda, e i dipendenti si sentono meno in colpa per usare ChatGPT sotto banco. Il 70% delle Fortune 500 ha già adottato queste soluzioni “orizzontali”. Plug-and-play, a basso attrito. Ma soprattutto, invisibili nei KPI. Questo emerge dalla analisi di QuantumBlack McKinsey.

AI di Stanford ha appena disegnato una mappa mentale del mondo, e sembra sospettosamente familiare

Non è l’inizio di un racconto Disney+. È uno studio scientifico, con dati solidi e una conclusione inquietante: l’intelligenza artificiale sta iniziando a ragionare come noi. O almeno a classificare il mondo secondo categorie che non le abbiamo mai insegnato, ma che riflettono le nostre. Ed è successo da sola.

Lo scenario sembra uscito da un esperimento cognitivo di Stanford: ChatGPT-3.5 e Gemini Pro Vision, due modelli linguistici di punta, sono stati messi alla prova con 4,7 milioni di decisioni di tipo odd-one-out — una tecnica che suona come un gioco per bambini, ma che neuroscienziati e psicologi cognitivi usano da decenni per mappare come la mente umana raggruppa oggetti e concetti. Prendi tre elementi: banana, fragola, chiave inglese. Qual è quello che non c’entra? Esatto. Ora ripeti la cosa quasi cinque milioni di volte.

MIT: Quando l’intelligenza artificiale diventa la tua badante mentale

Your Brain on ChatGPT: Accumulation of Cognitive Debt when Using an AI
Assistant for Essay Writing Task

C’è un paradosso curioso in questo nostro tempo istericamente tecnologico: più strumenti intelligenti usiamo, più diventiamo prevedibili. Lo dice senza troppi giri di parole l’MIT, Massachusetts Institute of Technology, che con una di quelle ricerche che nessuno leggerà ma tutti citeranno, ci ha appena consegnato un avvertimento surreale e perfettamente distopico: ChatGPT ti spegne il cervello.

Trump phone, l’iphone reazionario che vuole umiliare Apple sul suo stesso campo

Tim Cook dovrebbe sedersi. Magari con un buon bourbon in mano, mentre guarda in silenzio la schermata dorata del nuovo Trump Phone, che promette miracoli siliconici patriottici. Altro che Cupertino: qui siamo nella Silicon Valley parallela dove l’onshoring non è una strategia industriale, ma una dichiarazione di guerra economica. E dove, attenzione, il jack per le cuffie è sopravvissuto.

Nvidia si presenta a Pechino: quando il chip diventa geopolitica travestita da supply chain

Pechino, luglio. Il termometro schizzerà sopra i 35 gradi, ma non sarà solo colpa del clima monsonico. La temperatura vera sarà quella che si respirerà tra gli stand climatizzati della China International Supply Chain Expo, dove – sorpresa? – farà il suo debutto una delle multinazionali americane più sorvegliate dell’era digitale: Nvidia.

Quella Nvidia che Washington tenta di tenere al guinzaglio con regolamenti tagliati su misura, come si fa con un cane che morde troppo forte. Quella Nvidia che, tra un H100 proibito e un H20 castrato, adesso prepara un nuovo giocattolo per Pechino: il B30, una versione “compliant” con le restrizioni americane, un chip in stile Giano bifronte, progettato per obbedire a due padroni che si detestano.

L’europa ha scoperto l’intelligenza sovrana. peccato che sia made in USA

A prima vista, la scena ha il sapore grottesco di una diplomazia tecnologica postmoderna: Jensen Huang, CEO di Nvidia, col suo solito outfit da guru tech in pelle nera, atterra nei palazzi severi di Bruxelles per spiegare ai burocrati europei che sovereign AI non è un’utopia continentale, ma una strategia industriale concreta. Una strategia, però, che per ora si compra… da lui.

Adobe cerca di ingannare Google: l’ultima AI promette SEO, ma odora di disperazione

Adobeha alzato il sipario sull’ennesima incarnazione del suo modello linguistico generativo, un LLM tagliato su misura per i marketer digitali, in un tentativo palese — e vagamente disperato — di tenere il passo nel carnevale sempre più affollato dell’intelligenza artificiale generativa. L’obiettivo dichiarato è quasi lirico nella sua semplicità: aiutare i professionisti del marketing a monitorare il traffico AI-related e migliorare la search engine optimization. Come dire: “Vogliamo che Google si accorga di noi… ma anche no.”

Eppure, dietro questo annuncio levigato da keynote, si nasconde una dinamica più interessante — e meno rassicurante. Adobe, un colosso storico dell’enterprise software, si sta reinventando come una bottega alchemica dove il contenuto generativo incontra i sacri algoritmi del search intent. Ma c’è qualcosa di intrinsecamente paradossale nel lanciare un modello linguistico con la pretesa di ottimizzare la SEO, in un’epoca in cui Google stesso sta decostruendo la SEO come l’abbiamo sempre conosciuta.

Reddit prova a vendere l’anima all’AI per piacere a Wall Street

Reddit sta facendo ciò che Reddit ha sempre giurato di odiare: monetizzare le comunità con l’AI come se fossero dati grezzi in un silos di marketing. Il nome dell’ultima trovata sembra uscito da un ufficio PR sotto psicofarmaci: Reddit Community Intelligence. Una frase così ambiziosa e vacua che suona già come una distopia di Philip K. Dick. Eppure, è tutto reale.

Siamo alla Borsa di New York, sigla RDDT, ovvero: Reddit dopo l’IPO, Reddit dopo l’innocenza. L’annuncio è chiaro: due nuovi strumenti AI pensati per marchi e inserzionisti, confezionati nel linguaggio patinato di chi ha appena scoperto il potere predittivo delle community, ma le guarda come un entomologo osserva un formicaio. Reddit non ha più paura di mostrare ciò che è diventato: un data lake con i meme sopra.

Alibaba lancia i modelli Qwen3 su Apple MLX: l’Intelligenza Artificiale di Cupertino si inchina a Pechino

La mossa ha il sapore di un patto con il diavolo. Da un lato, Apple, paladina del controllo verticale, della privacy come religione e dell’ecosistema chiuso per eccellenza. Dall’altro, Alibaba, il colosso cinese dell’e-commerce che sta costruendo a colpi di API e modelli linguistici un arsenale AI di livello globale, ma profondamente radicato nel suolo (e nel controllo) della Repubblica Popolare Cinese.

Secondo Reuters, Alibaba ha appena rilasciato una versione dei suoi modelli di intelligenza artificiale Qwen3, adattata all’architettura MLX di Apple. Tradotto per i non iniziati: iPhone, iPad, Mac e MacBook possono ora eseguire questi modelli direttamente a livello locale, all’interno dell’infrastruttura neurale progettata da Cupertino.

Nella nuova guerra dei cervelli, vince chi personalizza l’intelligenza

C’era una volta il sogno dell’Intelligenza Artificiale generale: una mente artificiale capace di fare tutto, parlare di Kant, scrivere codice in Rust e magari consolare un adolescente in crisi esistenziale. Poi, tra aprile e giugno 2025, qualcosa è cambiato. O meglio, si è perfezionato. L’industria ha finalmente capito che l’AI generalista è l’equivalente digitale di un coltellino svizzero: affascinante, multitasking, ma inefficiente dove conta davvero.

In tre mesi abbiamo assistito a una mutazione darwiniana silenziosa, brutale, e perfettamente logica: il passaggio dall’intelligenza artificiale generica all’AI fit-for-purpose. Una sigla che suona come uno slogan da consulenti, ma che cela un nuovo paradigma industriale.

Meta, Anthropic, Google e OpenAI non stanno semplicemente aggiornando modelli. Stanno ricablando il cervello delle macchine per mercati verticali, casi d’uso mirati, identità distinte. Non stanno creando Frankenstein più grossi. Stanno fabbricando prototipi chirurgici. E ogni nuovo rilascio è una mossa strategica su una scacchiera a tempo.

Come trasformare un’intelligenza artificiale in un consulente di altissimo livello usando solo il prompt giusto

Nel mondo delle AI generative, Claude 4 Opus è arrivato senza fuochi d’artificio. Nessuna conferenza stampa à la Steve Jobs, nessuna demo hollywoodiana. Eppure, tra chi sa cosa cercare — e come chiederlo — è ormai un segreto di Pulcinella: questo modello di Anthropic sa scavare. E non nel senso banale di “rispondere meglio alle domande”, ma di arrivare al nocciolo, come farebbe un ex McKinsey con troppo tempo libero e un accesso privilegiato a JSTOR.

Nvidia crea il suo mercato delle GPU: la danza velenosa tra impero e alleati

Nvidia, già regina assoluta dell’oro nero dell’era digitale — le GPU — sta passando da fornitore a piattaforma. Non più solo venditrice di pale e picconi nella corsa all’AI, ma ora anche titolare del terreno su cui si scava. In un colpo magistrale, il colosso di Jensen Huang si sta trasformando da fabbricante a mercato. È come se la General Motors avesse deciso, improvvisamente, non solo di costruire automobili, ma anche di possedere tutte le autostrade. E i caselli. E magari anche le mappe di Google.

Amthropic: Perché l’intelligenza collettiva artificiale funziona meglio di quella umana

La ricerca, quella vera, non sta dentro una query. Non si risolve con un prompt brillante né con un chatbot veloce. È una bestia caotica, tentacolare, fatta di deviazioni improvvise, intuizioni che arrivano mezz’ora dopo l’orario previsto, link impensabili e documenti che nessuno ha mai pensato di indicizzare davvero bene. È per questo che le architetture di intelligenza artificiale lineari — quelle a colpo secco, domanda-risposta, pipeline serrata — vanno in crisi quando il compito si fa realmente interessante.

Ed è anche il motivo per cui multi-agent system non è una moda geek per smanettoni da San Francisco, ma la direzione inevitabile che l’AI sta prendendo per affrontare problemi aperti, non deterministici, e rumorosamente complessi. Sì, rumorosi: perché nel caos informativo contemporaneo, ciò che serve non è un’unica voce saggia, ma una sinfonia di agenti cognitivi autonomi, coordinati come un’orchestra.

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L’intelligenza artificiale e la politica americana: la moratoria che nessuno vuole davvero

Non è un segreto che la politica americana e la regolamentazione dell’intelligenza artificiale (IA) siano diventate un campo di battaglia intricato, dove le fazioni si fronteggiano con la stessa ferocia riservata ai dibattiti su armi o sanità. La recente opposizione repubblicana alla moratoria sulle regole dell’IA a livello statale, con figure di spicco come i senatori Ron Johnson, Rick Scott e Angela Paxton che hanno deciso di sparigliare le carte, ha portato l’argomento a un punto di non ritorno. La moratoria, inizialmente pensata come un freno prudente alla corsa sfrenata dell’innovazione tecnologica, si sta trasformando in una fonte di divisione interna che sta erodendo la maggioranza repubblicana al Senato.

Vera factchecking di Babelscape: quando la verità è un’opinione a tempo determinato

Secondo Semrush, Google AI Overview cita oggi Quora e Reddit più di Wikipedia o del New York Times. Lasciate che questa notizia vi atterri addosso come un pugno ben assestato: le fonti più rapide, umane e spesso utili, sono raramente verificate, fact-checked o sottoposte a standard editoriali rigorosi. Persino LinkedIn e YouTube superano in ranking molti degli outlet tradizionali. Che fine hanno fatto i fatti?

Google taglia i ponti con Scale AI, dopo il flirt con Meta: quando l’intelligenza artificiale diventa geopolitica

Che cos’è più rischioso per un gigante tecnologico: una fuga di dati o una fuga di cervelli? Google sembra aver risposto scegliendo la seconda opzione. La decisione, riportata da Reuters, di interrompere (quasi) tutti i rapporti con Scale AI non è solo una questione commerciale. È un atto di autodifesa strategica, una mossa muscolare in un mercato dell’intelligenza artificiale sempre più contaminato da interessi incrociati, partecipazioni incestuose e “amicizie” da manuale di guerra fredda.

Sovranità, questa sconosciuta: Microsoft riscopre l’Europa e il cloud sovrano diventa sexy

Nel 2025 la parola più di moda nel lessico delle multinazionali tech è una che fino a ieri puzzava di geopolitica demodé e burocrazia: sovranità. Ma non quella dei popoli, delle nazioni o dei parlamenti. No, quella digitale. Benvenuti nell’epoca del “Sovereign Cloud”, dove anche Microsoft, dopo anni di amore cieco per il modello centralizzato alla californiana, decide di vestirsi da paladina della sovranità europea, con tanto di accento sulla compliance, controllo e resilienza.

La nuova carne è sintetica: TikTok reinventa l’influencer con l’intelligenza artificiale

Immaginate un futuro dove Chiara Ferragni non ha bisogno di truccarsi, fare luce perfetta o mettere in pausa una vacanza a Mykonos per sponsorizzare uno shampoo: una sua controfigura digitale, indistinguibile dall’originale, lo fa al posto suo. Sempre sveglia, sempre disponibile, sempre perfetta. Ora smettete di immaginare. Quel futuro è già un prodotto freemium in beta.

TikTok ha annunciato oggi l’espansione della sua piattaforma pubblicitaria basata su intelligenza artificiale, Symphony. Nome appropriato, perché sembra più Wagner che Vivaldi: una sinfonia di automazione che promette di riscrivere non solo il business degli influencer, ma l’intero concetto di raccomandazione umana. L’idea è tanto semplice quanto inquietante: sostituire corpi, voci e volti reali con avatar sintetici in grado di “provare” abiti, “mostrare” app su smartphone e “consigliare” prodotti come se fossero vere persone. Il tutto generato con una foto, un prompt testuale e qualche secondo di attesa. Voilà, l’influencer è servito.

Trump lancia la più grande deportazione di massa della storia americana, e questa volta fa sul serio

A Washington il sole sorge rosso sangue quando Trump si sveglia con il dito già sospeso sopra il pulsante pubblica di Truth Social. Le lettere sono maiuscole, l’intonazione è apocalittica, e l’obiettivo, ancora una volta, sono le “città infestate” da immigrati illegali: Los Angeles, Chicago, New York. Tutte roccaforti democratiche. Tutte perfette per alimentare il feticcio del nemico interno.

Il presidente in cerca di rielezione ha rispolverato il suo vecchio cavallo di battaglia: l’invasione. Ma stavolta il cavallo ha blindati al posto degli zoccoli, 4.000 uomini della Guardia Nazionale e 700 Marines schierati direttamente in California, come se si trattasse di Falluja e non di una città americana con un sindaco democraticamente eletto.

Geoffrey Hinton: L’intelligenza artificiale ci capisce meglio di quanto ci capiamo noi

Ogni volta che interroghiamo un LLM, crediamo di fare una semplice domanda a una macchina. Ma forse stiamo interrogando noi stessi, la nostra architettura cognitiva, in un riflesso di silicio più umano di quanto siamo disposti ad ammettere. Geoffrey Hinton, padre spirituale delle reti neurali, ce lo sta dicendo chiaramente, con quella calma glaciale tipica di chi ha già messo a ferro e fuoco la disciplina: “Gli LLM non sono tanto diversi da noi. Anzi, ci somigliano moltissimo.”

Ecco, non è una provocazione accademica. È un colpo al cuore dell’antropocentrismo computazionale.

Nvidia contro Anthropic, il duello dell’intelligenza artificiale che svela un conflitto filosofico senza ritorno

Nel 2025, l’intelligenza artificiale non è solo una tecnologia: è una fede, un’ideologia, una dichiarazione di potere. Due dei suoi sacerdoti più visibili, Jensen Huang (Nvidia) e Dario Amodei (Anthropic), hanno appena messo in scena uno scontro che definisce non solo il futuro della tecnologia, ma chi avrà il diritto di riscrivere le regole della civiltà. Huang, con la sicurezza del monopolista delle GPU e l’aplomb del padrino della rivoluzione AI, ha dichiarato pubblicamente che “non è d’accordo praticamente su nulla” di quanto sostiene Amodei. Quando due titani litigano, non è mai solo questione di opinioni. È guerra di visioni.

Quando i vestiti li disegna l’algoritmo: la scommessa di Zhiyi tech sull’AI che anticipa le mode globali

Cosa accade quando un algoritmo sa cosa venderà prima ancora che venga disegnato? Succede che l’intuizione umana viene ridotta a un parametro, la creatività a una probabilità, e la moda—quella imprevedibile, volubile e umorale—diventa una scienza predittiva gestita da un’intelligenza artificiale cinese. Succede tutto questo a Hangzhou, nella silicon valley del Dragone, dove una start-up fondata nel 2018 sta riscrivendo il manuale della fashion industry globale. Il suo nome è Hangzhou Zhiyi Technology, e il suo verbo è: data.

In un’epoca in cui il fast fashion ha già tracciato le coordinate della velocità estrema, Zhiyi Tech promette qualcosa di ancora più radicale: velocità predittiva. Non solo produrre in fretta, ma produrre ciò che venderà di sicuro. E lo fa fornendo a colossi come Nike, Gap e Urban Revivo un arsenale di strumenti capaci di divorare dati dai marketplace cinesi (Taobao, Tmall), occidentali (Amazon, Shein, Temu), e dai social che dettano legge tra Gen Z e Alpha (TikTok, Instagram, Douyin).

Oracle e NVIDIA, una lunga notte nell’intelligenza artificiale

C’è un vecchio detto della Silicon Valley: se non puoi batterli, integrali. E Oracle, il colosso che per decenni è stato sinonimo di database e conservatorismo IT, sembra averlo preso molto sul serio. Il suo flirt con NVIDIA, iniziato con garbo tecnico e qualche annuncio di contorno, ora ha il sapore di una relazione seria, forse persino matrimoniale. L’annuncio dell’espansione della partnership tra Oracle e NVIDIA, condito da GPU Blackwell, supercluster e AI agenti, non è solo un comunicato stampa: è un messaggio lanciato a tutti i competitor, un manifesto politico sull’infrastruttura AI del futuro.

Windows 11 reinventa sé stesso con l’AI: nuova droga per i nostalgici del menu Start

Benvenuti nell’epoca in cui il menu Start è diventato il nuovo campo di battaglia dell’intelligenza artificiale. Non è una battuta: Microsoft, come un illusionista con una dipendenza da hype, sta trasformando Windows 11 in un hub “magico” di funzioni AI, anche se il vero protagonista rimane sempre lui, il caro vecchio Start menu. Solo che ora è… più largo. Più fluido. Più telefonico. E decisamente più invasivo.

Meta e l’arte del consenso implicito: quando il silenzio vale più di un sì

L’Europa, nel maggio 2025, si è trovata di fronte a uno specchio oscuro. Lì dentro, riflessi, 269 milioni di volti Instagram e 260 milioni di vite Facebook. O almeno, i loro avatar digitali. Poi, lentamente, qualcosa si è mosso: una finestra pop-up, un modulo di opposizione, una scelta possibile. E poco più dell’11% su Instagram, e meno del 9% su Facebook, ha detto no. No al fatto che i propri post, like, selfie, caption, passioni e silenzi venissero usati per allenare i Large Language Model (LLM) di Meta.

Eppure, il dato che scombina tutto è un altro (source DPC): il 78% di chi ha visto quel modulo, lo ha firmato. Lo ha compilato, inviato, sbarrato. Come dire: sì, se mi accorgo che mi stai frugando nei ricordi per addestrare una macchina, non ti do il permesso.

Alexandr Wang: Quando la genitorialità diventa un’estensione API del cervello

È la nuova estetica della Silicon Valley: mescolare biohacking, AI e decisioni di vita come se fossero righe di codice in un sistema distribuito. Alexandr Wang, ex enfant prodige dell’AI e fondatore di Scale AI, oggi parcheggiato a Menlo Park dopo aver venduto metà della sua creatura, ha dichiarato che aspetta a fare figli finché Neuralink non sarà “pronta”.

Neuralink, ricordiamolo per chi non vive in un bunker a tema Musk, è l’azienda che promette un’interfaccia neurale diretta cervello-macchina. Fantastico. Se vuoi ascoltare Spotify con il talamo.

Taiwan affonda il colpo nel cuore del chip Cinese

In un’epoca dove i transistor valgono più del petrolio e i wafer hanno il peso geopolitico delle testate nucleari, la mossa di Taiwan sembra più una fiondata al cuore che una formalità amministrativa. Con un aggiornamento della Strategic High-Tech Commodities Entity List, l’Isola ha inserito Huawei Technologies e Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC) in una blacklist che suona più come un ultimatum al Dragone che un banale documento ministeriale.

Droni, Deregulatione e disastri: l’america apre i cieli mentre il mondo li trasforma in campo di battaglia

Il cielo sopra l’America è libero, o almeno così lo vuole Donald Trump. Con la sua recente firma su una serie di ordini esecutivi che allentano le restrizioni sui droni commerciali, sulle auto volanti e sui jet supersonici, l’ex presidente promette di “ripristinare la sovranità dello spazio aereo americano”. Una frase che, messa su carta intestata della Casa Bianca, suona come l’inizio di una rivoluzione tecnologica. O come l’innesco di un disastro.

Se sei un innovatore della Silicon Valley, un fondo di venture capital, o semplicemente uno smanettone con un DJI e un sogno, questa sembra l’età dell’oro. Se invece indossi un’uniforme del Dipartimento della Difesa o hai un radar puntato su infrastrutture critiche, potresti pensare che stiamo assistendo all’alba di una nuova corsa agli armamenti — questa volta silenziosa, autonoma, e a bassa quota.

Quando il volante si ferma e l’algoritmo guida: la tragica ironia della perfezione

L’incidente in Belgio, dove tutte le auto autonome testate non sono riuscite a evitare un errore potenzialmente mortale, non è un bug del sistema. È il sistema.

In un’epoca in cui ci si inginocchia davanti alla divinità dell’Intelligenza Artificiale, ci sono momenti come questo che servono come schiaffo, o se preferite, come aggiornamento firmware morale. La macchina ha sbagliato. Ha sbagliato esattamente come avrebbe potuto fare un umano. E per qualcuno, questa è già una giustificazione sufficiente.

L’occhio che scruta: l’intelligenza artificiale di ICE e DHS sorveglia tutti, non solo gli immigrati

Era il 2020 quando molti guardavano le proteste di Black Lives Matter come uno spartiacque nella lotta per i diritti civili. Ma dietro ogni slogan urlato in piazza, un altro rumore, più sottile, si insinuava nel cielo americano: il ronzio di droni, l’occhio onniveggente dell’IA, al servizio dell’apparato di sicurezza interna degli Stati Uniti. Ora siamo nel 2025, e quell’occhio non solo non si è chiuso, ma ha affinato la vista, perfezionato l’udito e imparato a prevedere i nostri passi prima ancora che li compiamo.

Il peluche che batte l’intelligenza artificiale: come Labubu ha sconfitto i chatbot a colpi di ghigno

Mentre Sam Altman predica l’arrivo di AI capaci di “cognizione sbalorditiva”, i mercati finanziari, quelli veri, si inginocchiano non davanti a un algoritmo quantistico, ma a un pupazzo con la faccia da Joker mal riuscito: Labubu. Il produttore cinese Pop Mart è schizzato in Borsa con un +595% che nemmeno le migliori startup AI sognano di vedere. Nell’epoca in cui i bit dovrebbero governare i cuori e i portafogli, a dominare la scena è un feticcio di vinile e peluria, con gli occhi spiritati e il sorriso da psicopatico kawaii.

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