L’industria tecnologica, pur galleggiando in un oceano di modelli linguistici titanici, continua a inciampare sulle stesse ingenuità concettuali. Più cresce il rumore attorno all’intelligenza artificiale, più diventano fragili le convinzioni collettive su cosa essa sia realmente.
Basta ascoltare le parole di Stuart Russell, uno dei pochi che ha trascorso più di quarant’anni a dissezionare l’essenza del pensiero artificiale, per accorgersi che molte delle certezze che circolano oggi non reggono nemmeno l’urto di una conversazione seria.
La keyword centrale qui è intelligenza artificiale, accompagnata dall’asse semantico di modelli linguistici e apprendimento automatico, che sembrano già suggerire quanto sia urgente riportare la discussione su un terreno meno ingenuo e più analitico. Russell avverte da tempo che le narrazioni semplicistiche non ci stanno facendo un favore, e dire che lo fa con una calma accademica da veterano del pensiero critico non ne attenua l’impatto.

