Intel Foundry. Suona bene, vero? Sembra qualcosa di epico, industriale, solido. Ma come direbbe il barista sotto casa mia: “bella l’insegna, peccato che dentro vendono fumo”. Perché il gigante di Santa Clara, quello che dominava i microprocessori come un dio greco ubriaco di silicio, oggi arranca come un pachiderma con le ginocchia rotte nel tentativo disperato di diventare il TSMC d’Occidente. E no, la keyword principale non è “successo”, ma committed volume, o meglio, la sua totale irrilevanza.
David Zinsner, il CFO con lo sguardo fisso e il lessico da medico legale, l’ha detto chiaro a Boston durante la J.P. Morgan Global Technology Conference: i volumi confermati da clienti esterni per la futura tecnologia produttiva di Intel sono “non significativi”. Tradotto dal gergo da conferenza: non ci sta credendo nessuno. E sì, a livello semantico siamo immersi fino al collo nelle parole chiave: foundry model, chip AI, 18A node… Tutte belle etichette per un contenuto reale che al momento fa acqua da tutte le parti.