Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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L’inferenza in Europa: tra sovranità digitale e rincorsa tecnologica AI

In un continente dove la burocrazia è più veloce della fibra ottica e l’innovazione spesso si arena tra commi e regolamenti, l’Europa tenta di ritagliarsi uno spazio nel panorama dell’intelligenza artificiale. Mentre Stati Uniti e Cina avanzano a passo spedito, il Vecchio Continente si barcamena tra ambizioni di sovranità digitale e una realtà fatta di frammentazione e ritardi.

Eppure, nonostante tutto, qualcosa si muove. Una nuova generazione di provider di inferenza AI sta emergendo, cercando di offrire soluzioni che rispettino le normative europee e, al contempo, competano con i colossi d’oltreoceano.

Università. Bocconi e OpenAI: la nuova élite dell’intelligenza artificiale accademica

L’intelligenza artificiale entra ufficialmente nei corridoi della Bocconi. Non come oggetto di studio, ma come strumento quotidiano per studenti, docenti e staff. Con un accordo strategico firmato con OpenAI, l’università milanese diventa la prima in Italia e una delle prime in Europa a garantire un accesso diffuso e regolato agli strumenti di AI generativa, posizionandosi all’avanguardia nella trasformazione dell’educazione superiore.

Una mossa che non riguarda solo la tecnologia, ma la ridefinizione stessa del ruolo dell’università nel XXI secolo. L’AI, finora percepita come una sfida o una minaccia per l’integrità accademica, viene qui incanalata come motore di innovazione didattica, acceleratore della ricerca e leva strategica per la formazione dei futuri decisori.

Anime, streaming e cybertrappole: così i criminali informatici colpiscono il cuore digitale della Gen Z

La cultura pop non è mai stata così vulnerabile. Quello che per milioni di giovani è intrattenimento quotidiano — una maratona di Naruto, un episodio inedito di Demon Slayer, una full immersion su Netflix — si sta trasformando in terreno di caccia per i cybercriminali. Sfruttando la passione viscerale della Gen Z per anime, serie cult e piattaforme di streaming, gli hacker mascherano malware sotto le mentite spoglie dei contenuti più amati, alimentando un’ondata di attacchi informatici che non conosce precedenti.

Quando l’ESG incontra il Tech: così nasce il nuovo motore della crescita

Nel nuovo scenario competitivo globale, non è più sufficiente essere solo tecnologicamente avanzati o finanziariamente solidi: le aziende sono chiamate a misurarsi con un paradigma che integra responsabilità ambientale, impatto sociale e governance trasparente. I criteri ESG (Environmental, Social, Governance) si stanno rapidamente trasformando da vincolo normativo a leva strategica di crescita, investimento e innovazione.

Aurora, l’oracolo della Terra: l’AI di Microsoft che prevede il caos climatico prima che ci travolga

Immagina un’intelligenza artificiale che può leggere il futuro del nostro pianeta meglio di qualsiasi sciamano, meteorologo o scienziato armato di modelli fisici e simulazioni ridicolmente lente. Non è una fantasia distopica da film catastrofico, è Aurora, il nuovo mostro di Microsoft addestrato non per giocare a scacchi con il clima, ma per dominarlo.

Sì, domina. Perché quando costruisci un modello da 1,3 miliardi di parametri e lo nutri con più di un milione di ore di dati sul sistema Terra, non stai più parlando di semplice previsione: stai costruendo un oracolo computazionale. E come ogni oracolo, non si limita a osservare: interpreta, simula, anticipa (NATURE).

Satoshi Nakamoto Bitcoin Pizza Day oggi: l’ombra più ricca del mondo

22 maggio 2025. Bitcoin ha appena superato i 111.000 dollari. E Satoshi Nakamoto, l’entità più misteriosa del XXI secolo, è ora ufficialmente più ricca di Bill Gates, Jensen Huang e Mark Zuckerberg. Il suo patrimonio stimato? Oltre 113 miliardi di dollari, grazie a circa 1,1 milioni di BTC mai mossi dal 2010.

A inizio 2010, il prezzo di 1 BTC era di circa 0,003 dollari sì, un terzo di centesimo. Nel maggio dello stesso anno, con l’ormai mitico Bitcoin Pizza Day (22 maggio 2010), Laszlo Hanyecz pagò 10.000 BTC per due pizze.

Il creatore di Bitcoin, o meglio, il suo fantasma, è salito all’11° posto nella lista dei più ricchi al mondo, superando il CEO di NVIDIA. E tutto questo senza mai mostrare il volto, né pronunciare una parola pubblica dal 2011.

Oggi è anche il Bitcoin Pizza Day, l’anniversario dell’acquisto di due pizze per 10.000 BTC nel 2010 (oggi valgono 330.000 Euro). Una transazione che oggi varrebbe oltre un miliardo di dollari.

Nel frattempo, la comunità cripto continua a celebrare il mito di Satoshi. Recentemente, a Bengaluru, un uomo mascherato ha camminato per le strade impersonando Nakamoto, in occasione del suo presunto 50° compleanno. Un gesto simbolico che sottolinea quanto l’anonimato di Satoshi sia diventato parte integrante del suo fascino.

Nonostante le speculazioni e le indagini, l’identità di Satoshi rimane sconosciuta. E forse è proprio questo mistero a rendere la sua figura così potente. In un mondo ossessionato dalla trasparenza e dall’esposizione, Satoshi ha scelto l’anonimato. E, paradossalmente, è diventato una delle figure più influenti e ricche del nostro tempo.

Mentre Bitcoin continua a crescere e a influenzare l’economia globale, la presenza silenziosa di Satoshi rimane una costante. Un promemoria che, a volte, il potere più grande risiede nell’assenza.

L’ascesa di Baidu e la rivoluzione silenziosa del robotaxi cinese

L’idea di un taxi senza conducente che ti porta dove vuoi senza nemmeno dover premere il pedale del gas o stringere il volante è roba da fantascienza? No, è roba da Baidu. Il gigante cinese della ricerca internet, da sempre con un piede nel futuro, ha superato la soglia degli 11 milioni di viaggi con il suo servizio Apollo Go dal 2019. Sì, 11 milioni. Numeri che ti fanno pensare che Elon Musk può pure mettersi comodo e godersi lo spettacolo.

Il robotaxi di Baidu non è solo un prototipo per nerd tecnologici in qualche laboratorio segreto di Pechino. È una macchina con 1.000 veicoli completamente senza conducente operativi in 15 città diverse, non solo in Cina ma anche a Hong Kong, Dubai e Abu Dhabi, con i test appena partiti. 1,4 milioni di corse solo nel primo trimestre del 2025, con un aumento del 75% rispetto all’anno scorso, una crescita che farebbe impallidire molte startup tech più blasonate.

Signal contro Recall: quando la privacy diventa un’opzione, non un diritto

C’è una differenza sottile, ma fondamentale, tra “sicurezza” e “sorveglianza vestita da comodità”. Microsoft l’ha appena calpestata con gli stivali sporchi di marketing AI. E no, non c’è nessun complotto: c’è solo il solito business model americano, che trasforma ogni tua interazione digitale in un dato monetizzabile, anche quando pensi di parlare al sicuro, magari su Signal.

Benvenuti nell’era in cui anche la memoria è un prodotto, e si chiama Recall: un nuovo “feature” di Windows 11 che, con l’aria innocente di un assistente proattivo, fa esattamente quello che suonerebbe inquietante in qualsiasi bar del mondo scatta screenshot di tutto ciò che fai, ogni 5 secondi, e lo archivia per sempre. Letteralmente. Benvenuti nel futuro secondo Microsoft.

Google dice che è dominante (ma solo quando gli conviene)

La schizofrenia narrativa di Google ha raggiunto vette degne di un thriller legale. In aula, davanti al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, il colosso di Mountain View piange miseria, sostenendo di essere assediato da concorrenti agguerriti come OpenAI e da una nuova generazione di motori di ricerca spinti dall’intelligenza artificiale. Ma, quando si tratta di vendere pubblicità – cioè fare veri soldi – la melodia cambia: improvvisamente Google diventa una potenza inarrestabile, un canale obbligato per chiunque voglia raggiungere un consumatore connesso.

Il problema è che entrambi i racconti non possono essere veri contemporaneamente, a meno che non si accetti l’idea che Big Tech viva in una realtà quantistica, dove può essere monopolista e vittima nello stesso istante, a seconda dell’osservatore.

Sam & Jony contro Cupertino: la scommessa da 6,5 miliardi sull’hardware AI è un ceffone con stile

Sam Altman sta tentando di stabilire un nuovo record mondiale: creare un’azienda tecnologica verticalmente integrata in meno tempo di quanto ci voglia a dire “disruption”. Lo fa con la disinvoltura di chi ha capito che l’intelligenza artificiale non è più solo un software da scaricare, ma un sistema operativo per il mondo reale. E, come ogni sistema operativo degno di questo nome, ha bisogno di un corpo. Un hardware. Magari con un bel design, firmato da un certo Jony Ive.

Google scava la fossa ai publisher: benvenuti nel furto algoritmico legittimato

Nel teatrino digitale chiamato Google I/O, dove ogni anno si spaccia il futuro come progresso inevitabile, è andato in scena l’ennesimo colpo di mano ai danni dei produttori di contenuti: l’introduzione su larga scala della famigerata AI Mode la nuova interfaccia chatbot-style che sostituisce la ricerca classica con un blob generativo infarcito di “risposte intelligenti”. La parola chiave è: risposte, non link. Tradotto: meno click ai siti, più tempo dentro Google.

Così il motore di ricerca più potente del mondo si trasforma definitivamente in un recinto. Non ti porta più da nessuna parte, ti tiene dentro, ti mastica e poi ti sputa addosso una sintesi addestrata sui contenuti di altri. Magari i tuoi.

Quando i profeti della Silicon Valley costruiscono i loro bunker

Ci sono momenti in cui la realtà supera la distopia. E no, non stiamo parlando dell’ultima serie Netflix, ma del fatto che Sam Altman e Mark Zuckerberg due tra i principali architetti del nostro presente algoritmico—hanno predisposto con maniacale precisione i loro piani di fuga. Aerei sempre pronti. Piloti standby. Bunker degni di un film post-apocalittico. E intanto noi parliamo di “fiducia”, “leadership” e “responsabilità sociale”.

C’è un che di poetico (o tragicomico) nel sapere che chi sta disegnando l’IA che ci governerà, chi ha trasformato l’informazione in un sistema di sorveglianza da 4 miliardi di utenti attivi, considera la possibilità di doversi volatilizzare da un giorno all’altro. Non metaforicamente. Proprio fisicamente. Via. Con il jet privato. Verso l’isola. Il rifugio. L’autarchia digitale.

Devstral, l’AI che programma meglio del tuo junior developer (e non si lamenta mai)

Nel sottobosco sempre più affollato dei modelli open-source per la programmazione, ogni settimana nasce un nuovo “game-changer”. Ma stavolta, con Devstral, ci troviamo davanti a qualcosa che non puzza di marketing da incubatore gonfiato. Sviluppato con la complicità o dovremmo dire la complicità tecnologica di All Hands AI, Devstral non è un’altra macchina da completamento codice. È un coding agent model, e sì, c’è una differenza sostanziale.

Huaweigate Bruxelles sotto attacco: Huawei, eurodeputati e partite truccate

In un’Europa che si vanta della propria trasparenza istituzionale come un vegano al primo appuntamento, la realtà continua a sgretolare la facciata con la costanza di una goccia d’acido su marmo. Lo scandalo che sta investendo il Parlamento Europeo con al centro Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni, e cinque eurodeputati sospettati di corruzione è la nuova puntata della tragicommedia continentale che mescola diplomazia, tecnologia e lobby al sapore di spring roll.

La parola chiave qui è corruzione, ma quella vera, non quella da manuale scolastico: parliamo di biglietti per partite di calcio, regali ben impacchettati, viaggi, cene e favori che, per quanto “eccessivi” secondo la procura belga, sono ormai routine mascherata da networking strategico. D’altronde, che male c’è a guardarsi Anderlecht–Ludogorets dalla tribuna VIP mentre qualcuno ti sussurra all’orecchio i vantaggi dell’infrastruttura 5G made in Shenzhen?

OpenAI e la sindrome dell’iPhone fantasma: come Altman e Ive vogliono rifare il mondo da zero

Siamo arrivati all’inevitabile punto di fusione: intelligenza artificiale e hardware iconico. OpenAI ha appena acquistato io, la startup hardware fondata da Jony Ive, il guru del design Apple che ha disegnato tutto ciò che avete mai desiderato toccare con un dito. Ma non aspettatevi un clone dell’iPhone. Altman e Ive non stanno solo progettando un gadget. Stanno cercando di impacchettare il futuro e infilarlo in tasca, senza che vi sembri un’altra app da aggiornare.

L’accordo, valutato circa 6,5 miliardi di dollari, non è solo una transazione. È un’implosione creativa tra chi ha definito l’estetica digitale degli ultimi vent’anni e chi oggi tiene per la gola la narrativa sull’AI. Perché quando Altman dice “è una nuova cosa”, non è solo marketing è una dichiarazione di guerra all’inerzia tecnologica. E il fatto che Ive abbia pubblicamente definito “scadenti” i recenti esperimenti di AI wearable come Humane Pin e Rabbit R1 è più che una stoccata: è un monito. Basta mezze soluzioni, basta gadgetini sfigati con UI da PowerPoint. Si riparte da zero.

Google trasforma l’intelligenza artificiale in un cartellone pubblicitario interattivo

È successo di nuovo. Google, il semidio dell’algoritmo e padrone indiscusso dell’attenzione umana, ha trovato un altro modo per trasformare la nostra sete di risposte in un’occasione pubblicitaria. Con una mossa che sa di geniale cinismo, la Big G ha annunciato che inizierà a testare gli annunci pubblicitari all’interno della modalità AI – quella stessa che prometteva “risposte pure”, sintetiche, oggettive. Spoiler: saranno monetizzate.

No, non si tratta di un abbellimento grafico o di un badge sponsorizzato mimetico in stile “contenuto consigliato”. Qui si parla di Search Generative Experience, o meglio, dell’ennesima mutazione del motore di ricerca in vetrina programmabile. La parola chiave è AI Mode, con un’estensione semantica ben definita: pubblicità in AI Overviews, Performance Max, Search campaigns. E sì, se stai già pagando, la tua pubblicità potrebbe essere infilata direttamente dentro la risposta generata dall’IA. E se non lo stai facendo, beh, accomodati o scompari.

Jensen Huang contro l’embargo tecnologico: come affossare Nvidia e svegliare il drago cinese

Quando un CEO di Silicon Valley smette di usare il linguaggio patinato da earnings call e inizia a parlare come un barista incazzato al terzo giro di bourbon, forse è il momento di ascoltare. Jensen Huang, patron di Nvidia, non è certo noto per le mezze misure, ma stavolta ha deciso di strappare direttamente il copione della diplomazia e dire le cose come stanno: i controlli sulle esportazioni di chip AI verso la Cina? Un boomerang perfetto. Un’idiozia geopolitica camuffata da strategia.

Apple apre le porte agli sviluppatori esterni per sfruttare la sua AI, ma la strada è tutta in salita

Chi pensava che Apple fosse arrivata prima o poi anche nell’arena dell’intelligenza artificiale generativa si è illuso. No, non perché Cupertino non abbia voglia o mezzi, ma perché l’azienda ha costruito negli anni un ecosistema troppo “chiuso” per lasciare spazio a chi non sia già in casa. Ora però, finalmente, la mela morsicata sembra pronta a dare ai terzi la possibilità di sfruttare i suoi modelli AI, seppur con tante limitazioni, in uno sforzo che assomiglia più a una corsa in ritardo che a una mossa da leader.

Elon Musk e il sogno tossico del tuo personale C-3PO

L’idea che ognuno di noi avrà un proprio robot umanoide personale, come un R2-D2 o un C-3PO, suona esattamente come uno di quei sogni febbricitanti da conferenza TED a tarda notte, con pubblico in visibilio e slide animate in stile Pixar. Ma Elon Musk, come sempre, non sta giocando: “La domanda per i robot umanoidi sarà insaziabile”, ha detto nell’ultima metà dell’intervista a CNBC. Roba da prendere o lasciare. Per lui, entro il 2030, Tesla sarà una robot factory più che un produttore di auto elettriche. E, ovviamente, non si parla di giocattoli intelligenti da salotto, ma di masse meccaniche autonome addestrate su cluster da un gigawatt e istruite con modelli linguistici più intelligenti del tuo commercialista.

Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou Robot cinesi come cavallette: ecco il nuovo Far West tecnologico

Benvenuti a Guangzhou, dove l’Intelligenza Artificiale cammina, parla e monta auto meglio del tuo apprendista sotto pagato. No, non è l’inizio di un film distopico, è semplicemente la Cina che con la solita furia produttiva da post-rivoluzione culturale in salsa digitale sta trasformando il settore della robotica in quello che l’automotive elettrico era qualche anno fa: una giungla darwiniana di start-up, colossi e sogni di silicio, dove l’unica certezza è che sopravvive solo chi ha le spalle coperte (o i chip giusti).

All’International Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou di questa settimana c’erano 800 espositori. Ottocento. A occhio, un evento più affollato del traffico sulla Tangenziale Ovest un lunedì mattina. E la sensazione che si respirava? Un misto tra Fiera di Canton e borsa valori impazzita: tutti a caccia di volumi, capitali, clienti — con il sorriso stampato sul volto in puro stile PRC. Anche perché, dopo anni di tensioni e dazi, gli Stati Uniti hanno abbassato le tariffe. Tradotto: semaforo verde per la penetrazione occidentale. Ma stavolta non si tratta di giacche Zara o telefoni Xiaomi, ma di macchine capaci di pensare, agire e — presto — sostituire l’uomo medio.

Project Aura: se l’AI avesse gli occhi a mandorla

Chi ha ancora il coraggio di nominare Google Glass senza un mezzo sorriso sarcastico, probabilmente ha rimosso anni di fallimenti tecnologici e pitch da conferenza TED destinati all’oblio. Ma eccoci di nuovo: Google ci riprova, stavolta alleandosi con i cinesi di Xreal, ex Nreal, quelli che volevano farci indossare il futuro mentre ancora faticavamo a togliere le etichette dagli occhiali da sole.

La tua auto non ti sopporta più, ma ora almeno ti capisce: Volvo integra Gemini e cambia tutto Google I/O 2025

Volvo non vuole più solo costruire auto. Vuole costruire coscienze su ruote. E grazie a Google, ci sta riuscendo. Alla faccia delle dichiarazioni da salotto sulle “partnership strategiche”, qui siamo davanti a qualcosa di molto più crudo: una colonizzazione silenziosa della plancia di comando da parte dell’intelligenza artificiale. E Gemini, il nuovo chatbot AI di Google, è il cavallo di Troia. Elegantissimo, funzionale, ma pur sempre un cavallo di Troia.

Governance mutante: l’ecosistema perverso tra umano e digitale al Forum PA

Avete presente quando si entra in un ufficio pubblico e l’odore di carta stantia e burocrazia fossilizzata vi assale come un punch nello stomaco? Ecco, dimenticatelo. O meglio, fatelo convivere con il futuro, perché oggi si parla con toni salvifici e un lessico da conferenza ONU di “nuova governance”. Ma non una qualsiasi, no: una governance con “accezione più ampia”, un Frankenstein istituzionale dove l’umano e il digitale danzano in un ecosistema “generale” e anche, udite udite, “perverso”.

Google I/O 2025: Everything Revealed in 15 Minutes

Mountain View, California. Quello che una volta chiamavamo “sistema operativo” è morto. Long live the OS. Google, con il solito sorrisetto da nerd salvamondo, ha appena messo una pietra tombale su Android, Chrome, Search, persino Workspace. Tutti questi non sono più prodotti: sono solo container in cui vive un’unica, gigantesca creatura postumana chiamata Gemini. L’AI non è più una feature, è il motore. Il sistema operativo. L’interfaccia. E, se vogliamo essere onesti, il burattinaio.

Google I/O 2025 Addio Zoom, benvenuto ologramma: Google e HP reinventano la videoconferenza Google Beam

Nel teatrino sempre più affollato delle promesse sull’“ufficio del futuro”, Google e HP hanno appena lanciato una bomba al Google I/O 2025: si chiama Google Beam, ed è la versione commerciale del vecchio Project Starline, ora pronta a uscire dai laboratori per entrare nelle sale riunioni. Una tecnologia che promette di trasformare le videochiamate da pixelate sessioni di noia in esperienze immersive tridimensionali, grazie a un sistema avanzato di telecamere e display 3D.

Google I/O 2025 l’intelligenza artificiale baraccona: il reality show infinito di DeepMind SynthID Detector, cheating e watermark invisibili

C’è un nuovo sceriffo in città, e si chiama SynthID Detector. Google DeepMind ha deciso di tirare fuori dal cilindro un altro coniglio marchiato AI: un tool capace di sniffare contenuti generati artificialmente attraverso immagini, video, audio e attenzione, attenzione persino il testo. No, non stiamo parlando del solito filtro per le fake news o di un misero plugin per PowerPoint, ma di una tecnologia che incide “watermark invisibili” nelle scelte probabilistiche delle parole, lasciando dietro di sé un’impronta digitale quasi mistica, simile al respiro di un fantasma digitale.

Perché questa tecnologia sta facendo rumore? Perché la parola chiave qui è deepfake. O meglio: deepfake, disinformazione, cheating. E quando questi tre demoni danzano insieme sullo stesso palco, è il momento di accendere i riflettori. SynthID Detector promette di essere l’occhio di Sauron che tutto vede — o almeno tutto ciò che è stato generato dagli strumenti AI di Google: Lyria, Imagen, NotebookLM, Gemini. Un po’ come se Sherlock Holmes lavorasse per Google e avesse imparato a leggere tra le righe digitali del codice.

Google I/O 2025 vuole gli occhi del mondo: l’AI diventa una lente e Zuckerberg inizia a sudare

Nel grande luna park dell’innovazione tecnologica, ci sono attrazioni che si ripetono a intervalli regolari come i giri della giostra: intelligenze artificiali che diventano maggiordomi digitali, automobili che si guidano da sole, e… occhiali smart. Sì, quegli stessi occhiali che dieci anni fa ci hanno fatto vergognare dei nerd di Mountain View e oggi promettono di renderci cyborg da passerella. Ora che anche Google è tornata in pista, con Samsung e Gentle Monster a fargli da stylist, la battaglia sugli occhi del mondo è ufficialmente riaperta.

Telecommercio 3.0: quando l’IA ti vende le scarpe del tronista prima che si alzi dal divano Shopsense AI

Lo chiamano “content commerce” o “shoppable content”, ma la verità è che ci stiamo avvicinando alla fine della distinzione tra contenuto e pubblicità. Shopsense AI, nuova startup fondata da ex cervelli di Amazon e Klarna, non vuole venderti una nuova esperienza televisiva. Vuole venderti direttamente la maglietta che hai appena visto indosso a un concorrente di un reality. E sì, lo fa con l’Intelligenza Artificiale. Ovviamente.

Chiariamoci: gli influencer guadagnano sulle affiliazioni da più di dieci anni, mentre le emittenti televisive, quelle vere, sono rimaste ferme con la pubblicità da rotocalco. Spot lineari, pianificazione, GRP, break pubblicitari da 30 secondi e misurazioni stile preistoria Nielsen. Loro parlano ancora di “prime time”. Intanto TikTok ti vende l’eyeliner durante un balletto.

Google I/O 2025 Sergey Brin e il grande ritorno: il pensionato più attivo della Silicon Valley

Sergey Brin, cofondatore di Google e una delle menti più elusive della Silicon Valley, ha fatto un’irruzione improvvisa durante il fireside chat di Demis Hassabis, CEO di Google DeepMind, all’I/O 2025. Niente annunci ufficiali, nessuna slide: solo Brin, un microfono e quella consueta nonchalance da miliardario che non ha più nulla da dimostrare.
Quando il moderatore Alex Kantrowitz gli ha chiesto come trascorresse le giornate, Brin ha risposto con la sua tipica miscela di sarcasmo e understatement:


“Credo di torturare persone come Demis, che tra l’altro è fantastico.”


Poi, quasi come parlasse del suo hobby domenicale, ha aggiunto:
“Ci sono persone che lavorano sui modelli di testo Gemini, sul pretraining e sul post-training. Per lo più quelli. Ogni tanto mi immergo nel lavoro multimodale.”


Un modo molto Brin-style per dire: “Sto supervisionando le fondamenta dell’AI generativa destinata a riscrivere l’intero tessuto dell’economia globale.

Flow con Veo 3 Video generati dall’intelligenza artificiale: Google I/O 2025 vuole farlo sembrare hollywood, ma è tiktok col dopamina boost

(Google post) Flow. No, non è un nome da codice segreto per una nuova droga sintetica, ma l’ennesimo tool con cui Google vuole convincerci che il futuro del video è un algoritmo che sogna. E mentre la Silicon Valley si diverte a giocare al piccolo Spielberg con modelli come Veo 3, Imagen 4 e compagnia cantante, il resto del mondo si chiede: serve davvero tutto questo? Spoiler: sì, ma non come pensano loro.

Gemini in Chrome: la stampella digitale per chi non ha più voglia di pensare Google I/O 2025

Benvenuti nell’era del browser che pensa per voi. Google ha ufficialmente piazzato il suo assistente Gemini dentro Chrome, annunciandolo con entusiasmo da palco durante il Google I/O. Sì, proprio lì, tra mille slogan e demo studiate al millisecondo. L’idea? Un browser che non si limita più a “navigare”, ma inizia ad “assistere” con quella premura un po’ inquietante di chi vuole fare tutto al posto tuo.

Vedere come ti sta davvero: Google I/O 2025 trasforma il guardaroba con l’intelligenza artificiale

Vedere come ti sta un capo d’abbigliamento senza dover uscire di casa? ora google prova a trasformare questo desiderio in realtà, ma con una spruzzata di intelligenza artificiale che promette di rivoluzionare (o almeno complicare) il modo di fare shopping online.

Il nuovo esperimento, attivo in search labs negli stati uniti, ti permette di caricare una tua foto a figura intera e farti vedere come ti starebbe quella camicia, quei pantaloni o quel vestito che hai appena cercato su google. niente più modelli fissi, niente più immaginazione: l’algoritmo dice di “capire” il corpo umano e le sue mille pieghe, come i tessuti si drappeggiano, si stirano o si deformano su corpi diversi. insomma, una specie di sarto virtuale che lavora con pixel e deep learning.

Google Imagen 4: l’arte dell’immagine AI diventa una questione di velocità e perfezione tipografica Google I/O 2025

L’ultimo gioiello di Google nel campo della generazione automatica delle immagini, Imagen 4, arriva con una promessa tanto ambiziosa quanto inevitabile in un settore che si evolve con la rapidità di un refresh di schermata: qualità strabiliante e precisione tipografica superiore. Dietro queste due semplici affermazioni si nasconde un’evoluzione che, seppur annunciata con la compostezza di un comunicato ufficiale, grida al mondo dell’AI: “Abbiamo fatto il salto di qualità.” Il vicepresidente di Google Deepmind, Eli Collins, non si risparmia in elogi, sottolineando la fusione “tra velocità e precisione” come il vero punto di forza di questa versione.

Google I/O 2025 il futuro distopico di Astra: quando l’assistente google ti spiava senza dirti niente

Ti ricordi quel momento al Google I/O 2024, quando hanno tirato fuori Project Astra, quella specie di intelligenza artificiale multimediale che ti osserva come un falco da cima al palo? No, non è un prodotto per il grande pubblico. Non ancora. È più un laboratorio mentale, un concept car tecnologico che Google usa per testare la fantascienza delle AI assistenti universali. Greg Wayne di DeepMind la definisce così, e non c’è nulla di più calzante: Astra è l’esibizione delle ambizioni più sfrenate di Google in tema di AI, un po’ come quel prototipo futuristico che vedi al salone dell’auto, troppo avanti per essere venduto, ma che ti fa già sognare.

Adesso però la situazione si fa più inquietante. Astra non si limita più a rispondere alle tue domande o a ricordarti dove hai lasciato gli occhiali usando la fotocamera dello smartphone. No, questa creatura sta imparando a intervenire senza che tu dica nulla, a diventare proattiva. Il che, detto in parole semplici, significa che ti sta spiando in continuazione, osserva, ascolta, giudica e decide quando è il momento di rompere il silenzio per dirti qualcosa. “Astra può scegliere quando parlare basandosi sugli eventi che vede”, e già questa frase fa venire in mente scenari da Grande Fratello in versione AI.

Google AI Mode: il futuro della ricerca che riscrive le regole Google I/O 2025

Avete presente quando cercate qualcosa su Google e vi ritrovate con una pagina piena di link azzurri da cliccare, sperando che uno di questi vi dia una risposta sensata? Bene, dimenticate tutto. Google ha deciso di mettere un chatbot alla guida della sua ricerca, chiamandolo AI Mode, un’anteprima di quella che sarà la rivoluzione totale nel modo di fare search online. Non è più solo “trova l’informazione e te la consegno”, ma “ragiono, sintetizzo, connetto, ti risolvo il problema”. Roba che nemmeno il miglior cervello umano potrebbe tenere a mente in tempo reale.

Google non sta facendo il miracolo dell’ultimo minuto, anzi, ci ha lavorato da quasi un decennio dietro le quinte. Quella “T” di ChatGPT non è un mistero: sta per transformer, tecnologia nata proprio nei laboratori Google nel 2017. Mentre tutti sembrano scoprire ora le meraviglie dell’intelligenza artificiale, Google annuncia senza mezzi termini “noi l’abbiamo inventata per primi, per la ricerca”. E non è una semplice curiosità da geek, è la base del prossimo salto evolutivo per chiunque cerchi informazioni online. Nick Fox, il capo dei prodotti legati alla conoscenza di Google, ha dichiarato che nei prossimi anni la ricerca sarà così diversa da oggi da essere praticamente un altro prodotto, più “intelligente” e meno “indifferente”.

AI Ultra L’Intelligenza Artificiale secondo Google I/O 2025: 249 dollari al mese per farti sentire povero

Google ha appena lanciato il suo nuovo piano “AI Ultra”, una sottospecie di abbonamento d’élite alla sua AI Gemini 2.5 Pro con un prezzo che suona più come una minaccia che come una proposta: 249,99 dollari al mese. Una cifra che fa sembrare le bollette della luce un hobby. Ma tranquilli, c’è anche il contentino: uno sconto per i primi abbonati. Come dire: la prima dose è gratis, poi paghi caro.

Questo nuovo pacchetto non è solo un servizio. È un messaggio. Un’affermazione di potere. Di esclusività. Di un futuro dove l’accesso all’AI non sarà solo una questione di tecnologia, ma di classe sociale. “AI Ultra” suona come un club privato con la portinaia in tailleur e il caffè servito in porcellana.

Google ’I/O 2025 Live Search: l’occhio del padrone è finalmente l’algoritmo

C’è un momento, nel progresso tecnologico, in cui l’illusione di libertà si trasforma in un reality show a cielo aperto. Quel momento, per Google, ha un nome preciso: Live Search. Un’idea tanto brillante quanto inquietante, il cui debutto è stato ufficializzato all’I/O 2025 e che ora si appresta a diventare parte integrante di Google Search, nella sua nuova, tanto chiacchierata, AI Mode. La stessa modalità che promette di farci interagire con la rete come se fosse un assistente personale onnisciente. O, più verosimilmente, come se fosse la nostra mamma ficcanaso, ma con accesso a tutti i database del mondo.

Ma cosa fa davvero questo Live Search? Semplice: trasforma la tua fotocamera in un oracolo. O, più precisamente, in un canale diretto con l’intelligenza artificiale di Google, che guarda attraverso i tuoi occhi digitali e ti risponde in tempo reale su qualsiasi cosa tu stia inquadrando. Dal contenuto della tua dispensa, alla marca del vino sulla tavola del vicino, passando per quella pianta in soggiorno che continua a morire nonostante le tue attenzioni.

DHH e il warrant da record: quando il mercato ti spalanca le porte con otto volte la domanda

Quando il mercato ti dice “Sì, grazie, ne vogliamo di più”, non è mai solo fortuna. DHH S.p.A. ha appena passato un crocevia decisivo con la presentazione della domanda a Borsa Italiana per l’ammissione a quotazione del “Warrant DHH S.p.A. 2025-2028”, ma la notizia più succosa non è questa. Il vero scoop è che il collocamento del warrant ha fatto il botto: l’intera emissione di poco più di un milione di titoli è andata esaurita in un battito di ciglia, con richieste che hanno superato la soglia degli otto milioni.

AMD scarica la zavorra: la manifattura di ZT Systems svenduta a Sanmina per $3 miliardi

AMD, nel ruolo sempre più teatrale del protagonista che finge di non volere il potere mentre lo accarezza in silenzio, ha chiuso un’operazione che è tutto tranne che banale: ha venduto la divisione manifatturiera di ZT Systems a Sanmina (NASDAQ:SANM) per 3 miliardi di dollari. Di questi, 2,55 miliardi arrivano subito, tra contanti e azioni, mentre il restov450 milioni di earn-out dipende dai soliti “se tutto va bene” dei prossimi tre anni. Tradotto: AMD ha appena fatto il taglio chirurgico di un ramo secco, ma ha tenuto per sé il midollo.

Urina, algoritmi e tumori: la rivoluzione silenziosa di PSI contro l’HPV

Una startup di Hong Kong, che fino a ieri confezionava tamponi per il COVID come fossero spaghetti istantanei, oggi ha raccolto 34 milioni di dollari per un test all’apparenza banale, ma con potenziale da unicorno biotech: rilevare l’HPV (virus del papilloma umano) con l’urina. Non un Pap test, non un prelievo, niente speculum medievali o stiramenti imbarazzanti sul lettino ginecologico. Solo pipì. In provetta. A casa.

Se ti suona troppo bello per essere vero, benvenuto nel mondo della medicina molecolare del 2025, dove i biomarcatori galleggiano in campioni che nessuno voleva, ma che ora sono oro liquido. Letteralmente: 34 milioni di dollari lo confermano.

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