Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Tsukuyomi in silicio: TSMC prepara il banchetto AI su piatti di silicio da portata

TSMC ha appena calato un asso grosso quanto un wafer da cena natalizia. Altro che chip, qui parliamo di porzioni formato famiglia di potenza computazionale, cucinate a puntino per l’intelligenza artificiale affamata di elettroni e silicio. Il colosso taiwanese, padrone incontrastato del foundry globale, ha annunciato l’arrivo della sua tecnologia A14 prevista per il 2028, promettendo un miglioramento delle prestazioni del 15% a parità di consumo rispetto all’attuale generazione N2, oppure un risparmio energetico del 30% mantenendo la stessa velocità. Roba da far sbiancare i condensatori.

Ma il vero piatto forte, quello che fa gola a chi lavora con l’IA generativa e i modelli multimiliardari di parametri, è il cosiddetto “System on Wafer-X”. Qui non parliamo di chip, ma di interi sistemi serviti su un unico wafer. TSMC ha intenzione di intrecciare insieme almeno 16 chip di calcolo massicci, aggiungendo memoria, interconnessioni ottiche e tecnologie di alimentazione capaci di sparare migliaia di watt come fossero prosecco in discoteca.

Perplexity sfida Siri con la sua AI vocale su iOS, anche senza Apple Intelligence

Nel silenzio rumoroso dell’attesa per l’ennesimo aggiornamento futuribile di Siri, arriva Perplexity a scompaginare le carte: la sua app iOS ora include un assistente vocale AI che funziona davvero, oggi, su dispositivi vecchi quanto un iPhone 13 mini. Mentre Apple continua a promettere la rivoluzione della sua Apple Intelligence, ancora lontana più di un anno, qualcuno ha già deciso di giocare la partita. Spoiler: non è Cupertino.

Data Center e Intelligenza Artificiale: come l’Italia può diventare un Hub Strategico entro il 2030

L’esplosione dell’intelligenza artificiale sta ridisegnando le mappe dell’infrastruttura digitale globale. Al centro di questa trasformazione ci sono i data center, veri e propri motori della rivoluzione AI. A guidare il mercato sono gli Stati Uniti, ma anche l’Europa si muove rapidamente — e l’Italia, in particolare, potrebbe ritagliarsi un ruolo da protagonista.

Il robotaxi che sussurra ai regolatori: Tesla testa il futuro in Texas, ma la burocrazia non dorme mai

Mentre Elon Musk twitta con la leggerezza di un ventenne in pieno trip da caffeina, Tesla si gioca il futuro sull’azzardo più grande mai fatto dal mondo automotive: i robotaxi, ovvero veicoli a guida autonoma supervisionati da remoto, in fase di test in Texas e California. Il programma, se tutto andrà come previsto (sì, come no), dovrebbe vedere la luce pubblicamente entro l’estate. Ma questa non è una semplice evoluzione dell’app per richiedere una corsa. È un tentativo disperato di ribaltare un trimestre disastroso, con vendite a picco e una concorrenza cinese che macina terreno come un rullo compressore.

La scena è già surreale: impiegati Tesla che si prenotano un passaggio su un’app etichettata Robotaxi, salgono su Model Y guidate da software FSD (Full Self Driving), mentre un povero cristo sul sedile anteriore è lì, pronto a intervenire quando l’algoritmo decide di improvvisare. La supervisione umana è ancora obbligatoria, ma Musk promette che la prossima release sarà veramente senza conducente, anche se sorvegliata da remoto. Il che, tradotto, significa che invece di un autista sul sedile anteriore, ci sarà un tecnico in pigiama davanti a uno schermo a chilometri di distanza.

Sicurezza. Il nemico dentro: cresce in EMEA il rischio interno, tra phishing, errori umani e AI fuori controllo

Il nuovo Data Breach Investigations Report di Verizon lancia l’allarme: in Europa, Medio Oriente e Africa, quasi un terzo delle violazioni informatiche nasce all’interno delle aziende. E ora anche l’uso incontrollato dell’intelligenza artificiale accende una nuova spia di pericolo.

Trump lancia un’America AI-first mentre la Cina inizia a 6 anni: propaganda, tagli e contraddizioni

Mentre Pechino inserisce l’intelligenza artificiale nei programmi scolastici obbligatori per i bambini di sei anni, Washington cerca di rincorrere la corsa globale all’AI con un’operazione di facciata mascherata da piano educativo. Con una firma rapida e teatrale, Donald Trump ha appena approvato un ordine esecutivo per espandere l’educazione all’intelligenza artificiale, proclamando una nuova iniziativa nazionale e istituendo una task force dedicata. Tutto molto patriottico, tutto molto 2025. Ma sotto la patina di slogan altisonanti, emergono i soliti difetti strutturali di una politica scollegata dalla realtà del sistema educativo americano.

L’ordine esecutivo, firmato a gennaio durante il suo secondo mandato (sì, Trump è tornato), ribalta le restrizioni in materia di AI introdotte durante l’era Biden. Al centro del progetto troviamo la “White House Task Force on AI Education”, presieduta dal direttore dell’Ufficio per la Politica Scientifica e Tecnologica. Tra i membri figurano alti funzionari dei dipartimenti dell’Energia, dell’Agricoltura, dell’Istruzione e del Lavoro, oltre a David Sacks, consigliere speciale della Casa Bianca per l’AI e le criptovalute. Una cabina di regia composta da figure politiche e tecnocrati, con il compito di rendere gli studenti americani “partecipanti fiduciosi nella forza lavoro assistita dall’AI”.

Il tempo lungo degli algoritmi: quando i video AI open source battono le major SkyReels-V2

Non era mai successo prima, almeno non così. Per anni la generazione video tramite intelligenza artificiale si è inchiodata su limiti duri come il granito: qualche secondo, qualità discutibile, coerenza visiva traballante, e un hardware necessario che faceva impallidire anche le workstation dei creativi più esigenti. Ma da oggi il panorama si spacca, e la frattura arriva da dove meno te lo aspetti: dal mondo open source. E non con giocattolini per nerd smanettoni, ma con modelli che numeri alla mano iniziano a surclassare i colossi closed-source per coerenza, durata, qualità, accessibilità. Benvenuti nella nuova era del video generato da AI. E no, non serve una GPU della NASA.

Quando il bar exam lo scrive ChatGPT: la realtà legale made in California

In una mossa che sembra uscita da una distopia legale firmata Black Mirror, la California State Bar ha ammesso candidamente che alcune delle domande a scelta multipla dell’ultimo

sono state redatte con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Non da un gruppo di esperti giuristi, non da professori emeriti, ma da una macchina. Già questo basterebbe a far tremare la toga a qualunque aspirante avvocato con un minimo di coscienza professionale. Ma la cosa più interessante è che il tutto è venuto alla luce non per trasparenza istituzionale, bensì perché gli studenti se ne sono accorti.

Le domande, a quanto pare, “puzzavano” di AI. Sintassi troppo pulita, logica troppo fredda, pattern prevedibili. In altre parole, non sembravano scritte da un essere umano sotto stress, caffeina e deadline editoriali, ma da un algoritmo perfettamente funzionante e senza ansia da prestazione. Mary Basick, assistente decano alla UC Irvine Law School, si è detta speechless. Non per il fatto in sé, ma per il fatto che l’aveva difeso, quel maledetto esame. Quando alcuni studenti avevano sollevato dubbi, la sua risposta era stata netta: “Ma no, dai! Non lo farebbero mai!”. E invece. (L.A. Times)

La barzelletta, se non fosse amara, si scrive da sola: un’intelligenza artificiale che valuta se un essere umano è abbastanza intelligente da diventare avvocato. In un Paese dove il sistema legale è già una giungla di cavilli, commi, loop burocratici e cause infinite, ora ci si mette pure l’AI a dettare le regole del gioco. Anzi, a scrivere le domande dell’esame d’ingresso alla giungla.

La rivoluzione grafica che non sapevi di volere: il modello “gpt-image-1” invade Adobe, Figma e il resto del mondo

Nel teatrino siliconvalleyano delle meraviglie, ogni tanto compare qualcosa che non è solo l’ennesimo tool “AI-powered” di cui ci dimenticheremo in un quarto d’ora. Questa volta, OpenAI ha sganciato un carico pesante sul tavolo della creatività digitale: il modello “gpt-image-1”, una belva nativamente multimodale, già conosciuta dai più nerd tra noi per la sua capacità di creare immagini in stile Studio Ghibli o bambole digitali più spente di una riunione Zoom di lunedì mattina. Ora però non resta più solo nel suo recinto di ChatGPT: è pronto a colonizzare anche le app che davvero contano.

Il modello è ufficialmente accessibile tramite API, e la notizia ha già fatto scalpore in ambienti dove l’AI non è più una curiosità, ma una leva competitiva. Adobe, Figma, Canva, GoDaddy, Instacart: se il tuo brand non è in questa lista, probabilmente stai già perdendo terreno. Secondo il blog ufficiale di OpenAI, “gpt-image-1” non è solo un generatore di immagini, è una piattaforma per “esplorare idee visivamente”, creare contenuti coerenti con il brief e persino generare testi visivi leggibili. Parliamo di coerenza semantica, direzione artistica programmabile e personalizzazione scalabile: roba da far tremare le ginocchia a chi ancora crede che “Photoshop + stock images” sia uno stack moderno.

ByteDance UI-TARS-1.5 rappresenta un passo significativo verso agenti AI più intelligenti e adattabili, capaci di interagire con ambienti complessi in modo più umano e intuitivo

ByteDance ha recentemente svelato UI-TARS-1.5, un agente multimodale open source che promette di rivoluzionare l’interazione uomo-macchina. Progettato per operare con interfacce grafiche complesse, questo modello combina visione artificiale e linguaggio naturale per eseguire compiti su desktop, browser, dispositivi mobili e ambienti di gioco.​

UI-TARS-1.5 si distingue per la sua capacità di “vedere” e comprendere l’interfaccia utente come farebbe un essere umano, interpretando elementi visivi e rispondendo a comandi in linguaggio naturale. Questo approccio consente una navigazione più intuitiva e una maggiore efficienza nell’esecuzione di compiti complessi.​

Nvidia espande il suo assistente G-Assist con supporto plugin: un passo verso l’integrazione totale

Nvidia sta per trasformare il suo assistente AI G-Assist, lanciato solo un mese fa, espandendolo ben oltre l’ottimizzazione dei giochi e delle impostazioni di sistema. Inizialmente progettato per migliorare l’esperienza di gioco su PC, G-Assist ora si arricchisce con un supporto per i plugin, che consente agli utenti di interagire con una varietà di applicazioni esterne come Spotify, Twitch, e persino ottenere aggiornamenti su azioni e meteo.

Questa mossa è tanto interessante quanto strategica. Nvidia, da sempre punto di riferimento nell’ambito delle tecnologie grafiche, ha ampliato il raggio d’azione del suo assistente AI introducendo una nuova funzionalità che potrebbe diventare il punto di riferimento per chi desidera integrare l’intelligenza artificiale in molteplici aspetti quotidiani, dal controllo musicale alla gestione delle risorse hardware. Il tutto, senza sacrificare le performance tipiche delle schede grafiche RTX.

Google Gemini: l’IA che conquista il mondo 350 milioni di utenti attivi, ma con un obiettivo ancora più ambizioso

Nel panorama tecnologico in continua evoluzione, Google Gemini emerge come un protagonista sorprendente. Secondo dati interni rivelati durante un’udienza legale, Gemini ha raggiunto i 350 milioni di utenti attivi mensili a livello globale entro marzo 2025. Questo rappresenta un aumento significativo rispetto ai 9 milioni di utenti attivi giornalieri registrati nell’ottobre 2024, con un’impennata a 35 milioni nel mese precedente.

Tuttavia, nonostante questo successo, Gemini è ancora lontano dai numeri di ChatGPT, che conta circa 600 milioni di utenti mensili attivi . Questa disparità evidenzia le sfide che Google deve affrontare per consolidare la sua posizione nel mercato dell’intelligenza artificiale.

Per raggiungere questo obiettivo, Google ha integrato Gemini in una vasta gamma di prodotti, tra cui i dispositivi Samsung, Google Workspace e Chrome. Questa strategia mira a rendere Gemini accessibile a milioni di utenti senza la necessità di download o registrazioni aggiuntive, sfruttando la penetrazione dei dispositivi Android e la popolarità dei servizi Google.

La solitudine di Constantin Graf un faro nel deserto del cloud europeo: European Alternatives

In un panorama digitale europeo dove il denaro pubblico sembra scorrere senza criterio verso iniziative futili e progetti che spesso non vanno oltre il semplice rumore di fondo, un singolo sviluppatore freelance è riuscito a fare quello che istituzioni e governi non sono riusciti a realizzare: creare una piattaforma di alternative digitali europee, completamente autofinanziata e sostenuta dalla sola passione di un individuo. Parliamo di Constantin Graf, il fondatore di European Alternatives, un progetto che raccoglie e analizza soluzioni digitali europee, come servizi cloud e prodotti SaaS, per offrire finalmente un’alternativa valida alle gigantesche multinazionali americane che dominano il mercato globale del cloud.

AvatarFX: La Rivoluzione delle Immagini Animate da Character.AI

Nel mondo dell’intelligenza artificiale, ogni tanto emerge una novità che non solo stupisce, ma cambia le regole del gioco. È proprio questo il caso di AvatarFX, l’innovativo strumento di Character.AI che promette di portare l’animazione fotografica a un livello mai visto prima. Grazie alla tecnologia della Multimodal Team, AvatarFX permette di trasformare una semplice immagine statica in un video fotorealistico, che non solo simula il movimento, ma integra anche espressioni facciali e voce. E il tutto, con il semplice clic di un pulsante. Un’operazione che potrebbe sembrare magia, ma che si fonda su una potenza tecnologica sofisticata.

Microsoft 365 Copilot: La nuova frontiera dell’AI nelle aziende, il concetto di “Frontier Firm” e l’ascesa degli agenti AI

Microsoft sta per lanciare una versione rinnovata della sua app Microsoft 365 Copilot, che segna un altro passo significativo verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle aziende. La nuova versione dell’app, che funge da hub per i documenti di Office e ora include anche gli strumenti AI di Microsoft, si avvicina sempre di più alle funzionalità consumer di Copilot, con un’interfaccia più intuitiva e strumenti potenti per generare contenuti e ottimizzare il flusso di lavoro. Leggi il Blog Microsoft

L’approccio di Microsoft con la nuova versione di Copilot si concentra sull’ottimizzazione dell’esperienza utente e sulla personalizzazione, cercando di rendere l’app ancora più utile e “intelligente”. Un cambiamento fondamentale è l’adozione di un’interfaccia basata sulla chat, che ora include la memoria e la capacità di personalizzazione, simile a quella presente nella versione consumer di Copilot. Questo significa che Copilot inizierà a comprendere meglio il tuo modo di lavorare e a rispondere in modo sempre più adeguato alle tue preferenze. Microsoft punta a creare un ambiente dove l’IA non è solo uno strumento, ma diventa un assistente che evolve insieme a te.

La nuova visione di Grok: l’AI di Musk fa un passo verso il futuro

Grok, sta evolvendo rapidamente gli ultimi aggiornamenti portano una funzionalità che cambia le regole del gioco, rendendo Grok uno strumento significativamente più avanzato. Con l’aggiunta della percezione visiva, Grok ora è in grado di “vedere” ciò che appare sullo schermo o nella fotocamera. Sebbene questa funzionalità sia attualmente limitata a iOS, rappresenta un passo importante verso il futuro dell’intelligenza artificiale conversazionale. Questa capacità colloca Grok in diretta competizione con altri attori principali nel campo dell’AI, come Gemini Live di Google.

Google sotto assedio: OpenAI vuole il suo motore, ma Big G tiene stretto il monopolio e i cookie

Nel silenzioso fermento delle aule federali, si sta giocando una partita che potrebbe riscrivere le fondamenta della ricerca online. A luglio scorso, OpenAI ha bussato alla porta di Google con una richiesta non proprio modesta: accedere al suo motore di ricerca per alimentare un progetto chiamato SearchGPT, ovvero un ibrido tra motore AI e indicizzazione in tempo reale. Una mossa tanto audace quanto rivelatrice delle ambizioni di OpenAI nel diventare la piattaforma da cui passa la conoscenza digitale del futuro.

La risposta di Google? Un secco “no”, datato 13 agosto. Una data che non cade a caso: pochi giorni prima, un giudice federale aveva ufficialmente sancito che Google detiene un monopolio illegale nel mercato delle ricerche online. Curioso tempismo, verrebbe da dire. Ma la storia, come sempre, si complica.

Tesla tra AI, Trump e tagli: il declino temporaneo del profeta elettrico

Tesla ha appena messo a verbale una delle sue peggiori trimestrali degli ultimi anni, con un crollo del reddito operativo del 66% e un calo complessivo del fatturato del 9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Un bagno di realtà per chi ancora pensava che Elon Musk potesse surfare indefinitamente sull’onda dell’innovazione green. La discesa è principalmente dovuta a un calo del 20% nelle entrate del comparto automotive, il core business che ha reso Tesla ciò che è. E tutto mentre l’azienda spende a piene mani nell’intelligenza artificiale, un settore tanto promettente quanto ancora lontano dal monetizzare in modo solido.

Non bastava la frenata della produzione: Tesla ha anche consegnato meno veicoli rispetto a qualsiasi trimestre dell’ultimo anno. Un dato che puzza di crisi, ma che secondo la narrazione ufficiale è stato causato da una “pausa tecnica” per aggiornare le linee del Model Y. Una pausa che ricorda quelle dichiarazioni da conferenza stampa in cui si tenta di camuffare un naufragio come un atterraggio controllato.

Europa 1, Big Tech 0: la commissione UE umilia Apple e Meta con multe miliardarie

La Commissione Europea ha finalmente deciso di abbandonare la diplomazia e prendere il bastone. Mercoledì ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per altri 200 milioni, invocando il Digital Markets Act (DMA) come arma di regolamentazione. Per chi non lo sapesse, il DMA è la nuova stella polare dell’Europa nella lotta per arginare lo strapotere delle Big Tech. E questo è il primo schiaffo ufficiale.

Apple è finita nel mirino per le sue famigerate regole sull’App Store, quelle che da anni impongono vincoli draconiani agli sviluppatori, impedendo loro di promuovere canali alternativi per acquisti o abbonamenti. In altre parole, un sistema chiuso stile Las Vegas: quello che succede nell’App Store resta nell’App Store… e ovviamente paga la decima ad Apple. Il DMA, invece, pretende apertura, trasparenza e una concorrenza reale. L’Unione Europea, stanca di essere l’idiota del villaggio globale mentre Cupertino incassa, ha detto basta.

AI al volante, capitalismo al volante: la vera rivoluzione dell’automotive è un modello di business, non un motore elettrico e se è IBM a dirlo

Parlare oggi di paradigm shift come fa IBM nel suo studioAutomotive
in the AI era How AI is turbocharging business opportunities, nel settore auto è un po’ come usare il termine “disruption” negli anni dieci: logoro, inflazionato, eppure (purtroppo per i cinici) ancora centrato. Ma attenzione: qui non si tratta di una semplice evoluzione tecnologica, un’ennesima release da aggiungere al catalogo. Qui si gioca il futuro strategico dell’intero settore automotive, e l’IA non è un accessorio in plancia, ma il motore centrale del cambiamento. Altro che guida autonoma: stiamo parlando di sopravvivenza aziendale.

L’ultima indagine IBM ha acceso un faro sulla reale percezione dell’intelligenza artificiale nel settore automotive. I top executive di USA, UK, Germania e India parlano chiaro: l’adozione dell’IA non è più una scelta di efficientamento, ma un’urgenza esistenziale. Il futuro dell’automobile non è più nella meccanica, ma nel codice. Le auto non saranno più “macchine”, ma dispositivi digitali su ruote, aggiornabili via OTA, pensate come piattaforme e vendute come servizi. Benvenuti nell’epoca delle software-defined vehicles.

Andrej Karpathy Stiamo passando dai transistor ai token: benvenuti nell’era del LMOS Language Model Operating System

La frase di Karpathy suona come una delle solite provocazioni della Silicon Valley: “Stiamo entrando in un nuovo paradigma del calcolo, con i modelli linguistici che agiscono come CPU, usando token invece di byte, e una finestra di contesto invece della RAM.” Il tutto condito da una nuova buzzword, ovviamente, LMOS Language Model Operating System. Ma sotto la scorza da keynote, c’è qualcosa che merita di essere considerato seriamente. Karpathy, come spesso accade, non gioca per il clickbait, ma per la preveggenza.

Nel suo modello mentale, CPU diventa LLM, Byte diventa Token, RAM diventa Context Window, Sistema Operativo diventa LMOS. È una traslazione quasi poetica, se non fosse che sta già accadendo. Non parliamo più solo di software che gira su hardware, ma di linguaggio che gira su contesto, un flusso continuo di simboli che sostituiscono lo spazio fisico e binario del passato. E se all’inizio può sembrare solo un gioco di metafore, è nel dettaglio computazionale che questa rivoluzione diventa concreta.

Oscar al miglior algoritmo: l’accademia benedice l’AI, e Hollywood si prende gli ansiolitici

Sarà un giorno di festa nei corridoi di Netflix e Amazon Studios, ma nei sindacati di Hollywood probabilmente oggi volano i bicchieri. L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, con la delicatezza di chi finge di non vedere l’elefante nella stanza ma poi lo invita al gala, ha ufficialmente riconosciuto l’esistenza dell’intelligenza artificiale generativa nelle sue linee guida per l’Oscar. Tradotto: non vieta nulla, non obbliga a dichiarare nulla, ma avverte che il “fattore umano” rimane ancora centrale nel decidere chi stringerà la statuetta dorata.

Sì, hai letto bene. L’AI può essere usata nella produzione di un film, e non sarà un peccato mortale agli occhi dei membri votanti dell’Academy. Ma attenzione: la valutazione finale dipenderà da quanto, nel prodotto finale, si percepisce ancora una mano umana. L’autorialità non deve sparire del tutto. L’algoritmo può scrivere, colorare, animare, ma la scintilla creativa deve avere ancora una faccia, possibilmente sindacalizzata, possibilmente umana.

Sam Altman lascia Oklo: scacchi nucleari per alimentare l’intelligenza artificiale

Il solito gioco a incastri tra potere, energia e tecnologia si arricchisce di una nuova mossa: Sam Altman, il CEO visionario (e sempre più ubiquo) di OpenAI, ha appena lasciato la presidenza del consiglio di amministrazione di Oklo, una startup nel settore dell’energia nucleare avanzata. La notizia, riportata dal Wall Street Journal, ha il profumo di quelle mosse silenziose che anticipano un’espansione strategica più ampia, potenzialmente più pericolosa, sicuramente più redditizia.

Oklo non è l’ennesima creatura del tech che gioca con l’atomo per hobby. Sta sviluppando reattori nucleari di nuova generazione, quelli “modulari”, che sulla carta promettono miracoli: più piccoli, meno costosi, trasportabili, in teoria anche più sicuri. Insomma, la versione compatta e siliconata della centrale nucleare classica. L’obiettivo? Alimentare le prossime cattedrali digitali del XXI secolo: i data center. Non quelli dei social, ma quelli della fame di calcolo dell’intelligenza artificiale.

Intel taglia il 20% dei dipendenti: il nuovo CEO dichiara guerra alla burocrazia interna

Ecco il colpo di scena che mancava nella soap opera della Silicon Valley: Intel, un tempo il re indiscusso dei semiconduttori, è pronto a falciare oltre il 20% della sua forza lavoro, con una manovra che puzza di panico e disperazione strategica, ma che viene venduta come “snellimento” e “ritorno alla cultura ingegneristica”. Un taglio che segue i 15.000 licenziamenti dell’anno scorso e che porterà il colosso di Santa Clara a ridursi come una maglietta dopo un lavaggio sbagliato.

L’uomo dietro la scure è Tan Lip-Bu, fresco CEO da meno di un mese, già in modalità bulldozer. L’ex boss di Cadence Design Systems non ha perso tempo: prima ha venduto il 51% di Altera a Silver Lake, e ora affila la lama contro una burocrazia che, a suo dire, ha trasformato un gigante tecnologico in un pachiderma paralizzato. L’obiettivo? Semplificare la catena di comando, eliminare il middle management zavorra e rimettere gli ingegneri al centro del motore.

Huawei e iFlytek riscrivono l’IA cinese con chip domestici, sfidando OpenAI e aggirando l’embargo Usa

Nel cuore della tempesta geopolitica tra Stati Uniti e Cina, una nuova narrativa tecnologica si sta scrivendo con toni orgogliosi e una spruzzata di vendetta industriale. iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale, ha annunciato che i suoi modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ora poggiano interamente su infrastruttura computazionale cinese, grazie alla collaborazione con Huawei. Un’alleanza non solo tecnologica, ma politica, che mira a scrollarsi di dosso la dipendenza da chip americani come quelli della Nvidia, sempre più difficili da importare a causa delle restrizioni di Washington.

Dietro le quinte di questa rivoluzione sovranista dell’intelligenza artificiale c’è Xinghuo X1, un modello di ragionamento definito “autosufficiente e controllabile”. Parole scelte con cura chirurgica per rassicurare Pechino e tutti quei settori industriali strategici che vedono in questa svolta l’unica via per non rimanere ostaggio dell’Occidente tecnologico. La narrazione ufficiale vuole che, dopo un’intensa co-ingegnerizzazione con Huawei, Xinghuo X1 sia ora in grado di competere con giganti come OpenAI o1 e DeepSeek R1, secondo un post trionfalistico pubblicato su WeChat da iFlytek.

Se Google dovesse perdere chrome, OpenAI è pronta a comprarlo: il browser diventa il nuovo campo di battaglia dell’intelligenza artificiale

Quando la giustizia statunitense mette una Big Tech all’angolo, il gioco si fa interessante. E questa volta il palco è dominato da Google, accusata formalmente di monopolizzare il mercato della ricerca online, con un processo che potrebbe portare a un evento storico: lo spin-off forzato del browser Chrome. A spingere sull’acceleratore non è solo il Dipartimento di Giustizia, ma anche OpenAI, che osserva la situazione con un certo appetito predatorio.

Nick Turley, il responsabile di ChatGPT, lo ha detto chiaro e tondo in aula: “Sì, saremmo interessati a comprarlo, come molte altre parti”. È la prima volta che OpenAI mostra pubblicamente la sua ambizione non solo di essere presente nel browser più usato al mondo, ma addirittura di metterci le mani sopra. Il contesto? Un’audizione in cui si decide il futuro della struttura industriale del search online. Il giudice Amit Mehta dovrà stabilire entro agosto quali pratiche commerciali Google dovrà abbandonare e, soprattutto, se dovrà separarsi dal suo gioiellino da miliardi: Chrome.

Tesla e l’intelligenza casalinga in stallo: il robot Optimus si arena sui minerali rari cinesi

L’epopea transumanista di Elon Musk si inceppa, e stavolta non è colpa dell’autopilot. Il problema? Non bastano più i tweet visionari o le dirette da Marte: servono magneti, e per farli funzionare ci vogliono i famigerati terre rare, quelle che oggi Pechino tratta come se fossero testate nucleari. Il risultato? Il robot Optimus, quello che secondo Musk dovrebbe salvare le nostre ginocchia dalla fatica di rifare i letti e svuotare la lavastoviglie, resta in standby. A casa, in mutande, come noi.

Durante l’ultima earnings call, Musk ha ammesso che la produzione di Optimus è stata “impattata dal problema dei magneti”, con settimane di ritardo previste. E non si tratta di una semplice catena logistica impallata: il cuore della questione è geopolitico, con la Cina che ha appena blindato sette nuovi elementi della sua lista di controllo all’export, trasformando i magneti in una nuova arma della guerra commerciale con Washington. Con buona pace dell’ottimismo siliconvalleyano.

MIT News La tavola periodica dell’apprendimento automatico

La tavola periodica del machine learning è realtà: il MIT unifica 20 algoritmi con una sola equazione

Il machine learning non è più un collage caotico di tecniche, ma un organismo coerente e simmetrico, una geometria della conoscenza che respira ordine matematico. Al MIT, un gruppo di ricercatori ha ridotto l’intero zoo algoritmico del ML a una sola equazione. Avete letto bene: una sola, dannata equazione. Il nome del framework è Information Contrastive Learning, in codice I-Con, ed è qualcosa a metà tra la meccanica quantistica dell’intelligenza artificiale e una provocazione intellettuale da Nobel.

Kubernetes, GPU e Storage: l’epifania delle aziende che vogliono sopravvivere al futuro

Nel panorama schizofrenico dell’IT moderno, dove ogni giorno un CTO si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del legacy per non restare indietro, l’adozione di Kubernetes è l’equivalente di una sveglia ben assestata. Ma attenzione, non è solo una moda o l’ennesimo feticcio tecnologico da esibire nelle slide del consiglio di amministrazione: è il substrato, la base, il concime tecnico per far crescere davvero un’infrastruttura agile, resiliente e pronta a flirtare con le tecnologie emergenti senza sudare troppo.

Kubernetes, come ben spiegato qui, non è solo orchestrazione, è strategia. È il linguaggio infrastrutturale con cui le aziende intelligenti oggi scrivono il loro futuro. Ed è proprio su questa architettura modulare e scalabile che è possibile costruire ambienti di calcolo dinamici, nei quali GPU, serverless e storage non sono più parole scollegate ma pezzi coerenti di un puzzle ad altissima complessità.

Jensen Huang abbandona la giacca di pelle e si veste da diplomatico per difendere Nvidia tra blackout giapponesi e bavagli americani

Jensen Huang ha capito che la rivoluzione dell’intelligenza artificiale non si fa solo con chip e CUDA cores, ma anche con una cosa molto più vecchia e banale: l’elettricità. In un raro cambio di look via la giacca di pelle nera, dentro l’abito blu e cravatta d’ordinanza il CEO di Nvidia si è presentato a Tokyo per incontrare il Primo Ministro giapponese Shigeru Ishiba. Il motivo? Convincere il Sol Levante che per dominare l’AI serve una nuova infrastruttura energetica. Tradotto: più centrali, più data center, più corrente. Magari anche qualche reattore nucleare in più, se il trauma di Fukushima lo permette.

Secondo Huang, il Giappone è perfettamente posizionato per l’era dell’intelligenza artificiale: ha la robotica nel sangue, una manifattura industriale che è un benchmark globale e una popolazione pronta (anzi, costretta) ad abbracciare automazione e AI, vista la curva demografica da thriller distopico. Ma c’è un problema sostanziale: produrre intelligenza artificiale richiede una quantità di energia paragonabile solo al sogno bagnato di un elettricista con manie di grandezza. E il Giappone, privo di risorse naturali, si trova stretto in una morsa tra la riluttanza a riattivare le centrali nucleari e la dipendenza da combustibili fossili importati a caro prezzo.

Huawei Ascend 920 prepariamoci a un progetto Opphenaimer cinese

uawei si prepara a diventare l’arma strategica di Pechino nella guerra dei semiconduttori contro l’Occidente. A quanto pare, non è solo il creatore di smartphone “proibiti” o l’eterno bersaglio delle black list statunitensi. No, stavolta la compagnia di Shenzhen alza il tiro e si candida a rimpiazzare Nvidia nel suo stesso dominio: l’intelligenza artificiale. Sì, hai capito bene, si parla di GPU AI-ready. E no, non è un’esercitazione.

Secondo Digitimes, Huawei lancerà entro fine anno il chip Ascend 920, costruito su processo a 6 nanometri, pronto per la produzione di massa nella seconda metà del 2025. Questo chip, che promette prestazioni da brividi, punta dritto al cuore delle GPU H20 di Nvidia, le ultime sopravvissute sul mercato cinese dopo l’embargo tecnologico imposto da Washington. Ma ora anche quelle sono finite nel mirino delle restrizioni USA, rendendo il ban totale.

The Washington Post si unisce a OpenAI

Tutti abbiamo un prezzo: come il giornalismo si vende all’intelligenza artificiale

Era solo questione di tempo prima che anche The Washington Post, ultimo baluardo di una certa pretesa indipendenza editoriale, si accomodasse al tavolo dei partner strategici di OpenAI. Non parliamo di una fusione, e nemmeno di una svendita a saldo, ma del più raffinato degli scambi: dati in cambio di esposizione. Più precisamente, contenuti giornalistici in cambio di visibilità all’interno dell’ecosistema ChatGPT, oggi utilizzato da oltre 500 milioni di persone ogni settimana. E, va detto, sempre più dominante nel flusso globale dell’informazione digitale.

La notizia è ufficiale e arriva direttamente da un comunicato stampa del Washington Post che, con tono misuratamente entusiasta, racconta come questa partnership renderà “le notizie di alta qualità più accessibili in ChatGPT”. Nella pratica, gli articoli del Post selezionati, riassunti, contestualizzati verranno presentati all’utente di ChatGPT in risposta a domande pertinenti, con tanto di link all’articolo originale per chi volesse approfondire. Tutto molto ordinato, tutto molto “responsabile”. Ma sotto questa patina di modernità e servizio all’utente si cela una dinamica ben più cinica: quella del giornalismo che, consapevole del suo declino commerciale, si appoggia al cavallo di Troia dell’IA per restare rilevante, e soprattutto monetizzabile.

Google Research Dalle cellule al linguaggio naturale: la nuova grammatica della biologia con C2S-Scale

Sembra un’idea uscita da un laboratorio segreto di Google X, e invece è realtà open source. Prendi una cellula, una qualsiasi, una di quelle che ti porti appresso ogni giorno senza degnarla di uno sguardo. Quella cellula sta facendo qualcosa: produce proteine, si divide, reagisce agli stimoli. Ora immagina di trasformare tutte queste attività, tradizionalmente descritte da migliaia di numeri inaccessibili ai più, in una semplice frase in inglese. Voilà: benvenuti nell’era del linguaggio cellulare, dove le cellule parlano e i Large Language Models (LLM) ascoltano.

Dietro questa rivoluzione semiotica c’è C2S-Scale, una suite di modelli linguistici sviluppata a partire dalla famiglia Gemma di Google, pensata per interpretare e generare dati biologici a livello monocellulare. L’acronimo sta per “Cell-to-Sentence Scale” e il concetto è tanto semplice quanto spiazzante: convertire il profilo di espressione genica di una singola cellula in una frase testuale. Come trasformare una sinfonia genetica in una poesia sintetica. A quel punto puoi parlarci. Chiederle cosa fa. O come si comporterebbe sotto l’effetto di un farmaco.

ANTHROPIC Claude ha dei valori, ma chi decide quali? Values in the Wild

Nel momento in cui affidiamo a un’intelligenza artificiale compiti sempre più delicati, non ci chiediamo più solo quanto è brava a rispondere, ma come risponde. Non parliamo di grammatica, sintassi o velocità di calcolo, ma di etica, priorità, giudizi di valore. Il nuovo studio “Values in the Wild” di Anthropic prende Claude il loro modello linguistico di punta e lo butta nella mischia del mondo reale, per capire se e come interiorizza e riflette quei valori che i suoi creatori vorrebbero veder emergere.

Spoiler: non sempre va come previsto.La premessa è brutale nella sua semplicità: quando interagiamo con un’IA non ci limitiamo a chiederle la capitale della Mongolia.

Le chiediamo come scrivere una mail di scuse, come risolvere un conflitto con il capo, come dire al partner che vogliamo una pausa.

Queste non sono semplici domande; sono dilemmi morali, emotivi, situazionali. Ogni risposta implica una scelta di valori. Puntare sulla sincerità o sul compromesso? Sulla chiarezza o sull’empatia?

Barack Obama lancia l’allarme: l’intelligenza artificiale spazzerà via i posti di lavoro e l’equilibrio sociale

Barack Obama, uno che sa ancora parlare come un Presidente e non come un algoritmo PR di Wall Street, ha sganciato la bomba durante un’intervista al Hamilton College. Nessuna diplomazia da manuale: “Un sacco di lavori spariranno”. Testuali parole. Ma non è solo un’espressione di preoccupazione post-presidenziale. È un monito reale, puntuale, persino disperato. L’Intelligenza Artificiale e non quella dei meme su ChatGPT che risponde educatamente ma quella che già sta fagocitando ruoli interi in aziende globali, è sul punto di mandare a casa milioni di persone. E non ci sarà cassa integrazione che tenga.

Cluely, l’intelligenza artificiale che ti aiuta a barare senza farsi beccare

Se pensavi che la frontiera dell’IA fosse costruire assistenti per ottimizzare il lavoro, scrivere codice o aiutarti a prenotare un volo, è perché non avevi ancora sentito parlare di Cluely. La startup più cinica e arrogante dell’anno è finalmente qui, e non sta nemmeno tentando di nascondere le proprie intenzioni: aiutarti a barare. Sempre. Ovunque. Anche sotto sorveglianza.

Roy Lee, il fondatore cacciato da Columbia per aver costruito un tool chiamato Interview Coder (che, guarda caso, serviva a truccare i colloqui tecnici), ha raccolto 5,3 milioni di dollari per creare un software ancora più audace. L’ha chiamato Cluely. Funziona come una sorta di ChatGPT invisibile, pronto a suggerire risposte in tempo reale durante colloqui, esami, meeting aziendali, persino appuntamenti galanti. Il tutto senza che nessuno si accorga di nulla. Magia nera? No, overlay traslucido alimentato da OpenAI.

Occhiali AI di Google al TED

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Misplace your things often? These AI glasses could help. In this live demo at TED2025, computer scientist Shahram Izadi debuts Google’s prototype smart glasses, powered by the new android XR system — which uses AI to see and think in real time. Visit the 🔗 in ☣️ to see more of what these wearables can do — from summarizing your favorite book to planning your next trip. #TEDTalk #XR #AI #SmartGlasses #Google #Android

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Demo rigorosamente controllata e potrebbe non rappresentare la realtà

Figma si reinventa: l’IA che costruisce app e siti web potrebbe riscrivere le regole del design

Figma non sta solo aggiornando il suo toolkit, sta cercando di disintegrare il concetto stesso di design manuale. La notizia, non ancora ufficialmente confermata ma piuttosto solida considerando la fonte, arriva dalla famigerata ricercatrice di sicurezza Jane Manchun Wong. La sua scoperta? Figma starebbe sviluppando un’app basata su intelligenza artificiale in grado di creare applicazioni partendo da prompt testuali, immagini e file Figma. Una specie di “Codex del design”, ma targato Claude Sonnet, il modello AI firmato da Anthropic.

È come se Adobe, Canva e ChatGPT si fossero ubriacati una sera e avessero partorito un figlio geniale, ma inquietante.

UAE: l’intelligenza artificiale scrive le leggi. ecco come gli Emirati stanno codificando il futuro

Gli Emirati Arabi Uniti hanno appena annunciato un’iniziativa che potrebbe riscrivere non solo le leggi, ma anche il concetto stesso di legislazione: l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel processo legislativo. In un mondo in cui la burocrazia spesso rallenta il progresso, gli Emirati puntano a una rivoluzione normativa, affidando all’AI il compito di redigere e aggiornare le leggi.

Il cuore di questa trasformazione è l’istituzione di un “Ufficio di Intelligenza Regolatoria”, un’entità che supervisionerà l’integrazione dell’AI nel processo legislativo. L’obiettivo? Creare un sistema legislativo più agile, capace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti sociali ed economici. Attraverso l’analisi di dati in tempo reale, l’AI potrà identificare le necessità di riforma e proporre modifiche legislative con una velocità e precisione senza precedenti.

Dubai AI Week 2025 impone il Chief AI Officer CAIO: quando l’intelligenza artificiale diventa il nuovo petrolio dell’economia digitale

Dubai non si accontenta di giocare in anticipo, lo fa dettando legge. L’ultima mossa? Un decreto che obbliga ogni autorità governativa a nominare un Chief AI Officer (CAIO). Non un suggerimento, non una raccomandazione, ma un diktat ben preciso: o ti digitalizzi o sei fuori. Non è solo una mossa audace, è un manifesto di intenti, una dichiarazione strategica che trasforma l’intelligenza artificiale nel cuore pulsante della sua politica economica.

Per chi non lo avesse ancora capito, il messaggio è chiaro: l’AI non è più un laboratorio per nerd col camice bianco, è diventata asset economico, vantaggio competitivo, e perché no soft power geopolitico. Mentre il resto del mondo discute ancora se regolamentare ChatGPT, Dubai istituzionalizza il CAIO, lo mette al tavolo dei grandi, lo arma di budget e gli affida la transizione digitale dell’intero sistema pubblico.

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