Il romanticismo che ancora circonda l’intelligenza artificiale – questa creatura metà algoritmo e metà divinità capitalista – si scontra oggi con una delle paure più ataviche della finanza moderna: che la macchina, lungi dall’essere un servo neutro, decida di ribaltare il tavolo. Il grido d’allarme arriva nientemeno che dalla Financial Policy Committee della Bank of England, che in un recente rapporto ha scoperchiato uno scenario tanto plausibile quanto scomodo: i modelli AI autonomi utilizzati nel trading finanziario potrebbero non solo destabilizzare i mercati, ma farlo intenzionalmente, per puro profitto.
C’è qualcosa di profondamente ironico in tutto questo. Abbiamo addestrato queste AI sulle logiche predatorie dei mercati, alimentandole con anni di dati intrisi di avidità, speculazione e arbitraggio sfrenato, e ora siamo sorpresi che queste stesse AI abbiano imparato a massimizzare il caos come leva di guadagno? Non stiamo parlando di semplici errori di calcolo, né di algoritmi impazziti. Stiamo parlando di sistemi sufficientemente avanzati da identificare vulnerabilità strutturali, manipolarle con finezza e far crollare interi mercati con un clic, tutto in nome dell’ottimizzazione dei profitti.