Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Nuove prospettive su come la tecnologia ai sta plasmando il futuro del business e della finanza

Il lato oscuro della silicon valley: Z.AI, entità proibita e trionfo open source

Nel momento in cui Washington scrive liste nere, Pechino firma assegni. Z.ai, già nota come Zhipu AI, sforna modelli open source che mettono in imbarazzo l’Occidente, proprio mentre la Casa Bianca la inserisce tra i cattivi ufficiali sulla famigerata “Entity List”. Il motivo? Supporto al complesso militare cinese. Il risultato? Una delle migliori AI open source del pianeta, GLM-4.5, battezza con il botto l’era del “dissenso computazionale”.

Il gioco si fa sottile, quasi perfido. Gli americani impongono restrizioni commerciali, ma nel frattempo Z.ai riceve 1.5 miliardi di dollari da entità statali cinesi, fondi regionali e colossi tech come Tencent e Alibaba. Tutti allineati in una danza geopolitica dove il codice diventa soft power e l’open source la nuova arma strategica. Per ogni embargo, Pechino risponde con parametri. E ne attiva 32 miliardi su un’architettura da 355. Il risultato? Efficienza da Mixture of Experts, prestazioni da primato e una licenza MIT che rende tutto liberamente scaricabile su Hugging Face. San Francisco osserva, mentre il suo primato comincia a scricchiolare.

Figma verso l’IPO: la creatura gentile del design software entra nella fossa dei leoni

Dylan Field, con la sua aria da ragazzo della porta accanto e un profilo Twitter degno di un product manager in incognito, sta per scoprire cosa vuol dire giocare in serie A. Figma, il suo enfant prodige del design collaborativo, ha alzato il prezzo. Non in senso figurato. L’intervallo del pricing IPO è passato da 25–28 dollari a 30–32. In cima alla forchetta, parliamo di una valutazione di 18,7 miliardi di dollari, impacchettata con un bow-tie che ne vale 17,2 in termini di enterprise value. Per chi ancora fa finta di non capirlo, Wall Street sta dicendo “Ci piace. Tanto”

More for Less: AI come chiave del debito Americano

Gli Stati Uniti, quel grande laboratorio dove le crisi fiscali diventano sport olimpico, stanno flirtando ancora una volta con il dramma del debito pubblico. E proprio quando il sipario sembrava calare sul solito teatrino del tetto alzato e del default evitato per miracolo, ecco spuntare un attore inaspettato: l’intelligenza artificiale. Secondo Torsten Slok, chief economist di Apollo Global Management, l’AI non solo potrebbe contribuire a risolvere il problema, ma potrebbe esserne la chiave. Sì, la chiave. Quella parola abusata che solitamente finisce nella bocca di chi promette rivoluzioni senza sapere nemmeno dove sia il lucchetto.

Google ha già vinto. La competizione generativa è un’ossessione per chi non capisce il potere della noia

La cosa più pericolosa nel mondo della tecnologia non è l’innovazione. È la distrazione. E mentre il mondo intero fissa il cielo aspettando che OpenAI liberi l’AGI come se fosse l’Apocalisse Digitale, Google stampa 28 miliardi di dollari di profitto con la freddezza glaciale di un adulto che osserva un’adolescente agitato fare breakdance al centro di una sala riunioni.

I numeri, come sempre, non mentono. Nel secondo trimestre del 2025 Alphabet ha riportato 96,4 miliardi di dollari di ricavi, in crescita del 14% anno su anno. La ricerca, quel dinosauro che secondo certi commentatori sarebbe ormai estinto, ha generato 54,2 miliardi. Cloud è cresciuto del 32%. CapEx? Alzato a 85 miliardi. Non c’è stata una diretta streaming. Nessun tweet criptico stile Silicon Valley messianica. Nessuna influencer che si svena in diretta per mostrare un prompt miracoloso. Solo profitti, infrastruttura, dominio silenzioso.

La Silicon Valley ridefinisce la Politica con l’AI di Trump


Il paradosso è servito su un piatto d’argento. La Silicon Valley, patria del liberalismo progressista e della retorica anti populista, oggi applaude un presidente che fino a ieri considerava un corpo estraneo nel suo universo dorato di equity, stock option e startup miliardarie. L’intelligenza artificiale, quella vera, non il marketing travestito da AI, è diventata il nuovo feticcio politico. E Donald Trump lo ha capito meglio di chiunque altro. In una scena che quattro anni fa sarebbe sembrata satira politica, il presidente, a sette mesi dal suo secondo mandato, ha annunciato un quadro normativo che definire aggressivo è un eufemismo. Ha promesso deregulation, incentivi e un’accelerazione forzata dello sviluppo. Ha scelto di farlo non in un contesto istituzionale, ma in un evento co-organizzato da venture capitalist che sembravano usciti da un episodio di Silicon Valley: quattro investitori trasformati in podcaster, e uno di loro già ribattezzato “lo zar dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute”.

L’era delle AI Referral è appena iniziata

Non fatevi illusioni. Google Search resta il re assoluto del traffico globale, con i suoi 191 miliardi di referral in un solo mese. Ma chi continua a pensare che i click da piattaforme di intelligenza artificiale siano una curiosità marginale rischia di svegliarsi nel bel mezzo di quella che i più paranoici nel mondo editoriale chiamano già “Google Zero”. Sì, l’apocalisse del traffico organico non è ancora qui, ma il rumore di fondo è assordante. Secondo Similarweb, solo a giugno 2025 le piattaforme AI hanno generato oltre 1,13 miliardi di referral ai primi mille siti web globali, un balzo del 357% in un anno. In altre parole, i bot conversazionali iniziano a spingere traffico come fossero mini-motori di ricerca, e se oggi sono ancora un’onda, domani potrebbero diventare uno tsunami.

AI M&A luglio 2025

I mercati amano i numeri, ma i numeri amano ancora di più le storie. E la storia che Luglio 2025 sta scrivendo nel settore delle acquisizioni di startup AI è una di quelle che, tra qualche anno, i consulenti da 1.000 euro l’ora useranno nelle loro slide con la faccia compunta di chi “aveva previsto tutto”. Peccato che pochi l’avessero realmente capito. Il mercato delle acquisizioni di startup di intelligenza artificiale non è più un esperimento, è diventato l’equivalente finanziario di un rally ad alta velocità: chi frena, scompare. Chi investe, lo fa con cifre che solo dodici mesi fa sarebbero sembrate deliranti. E non è un caso che Luglio, tradizionalmente mese di letargia estiva per i mercati, sia stato il palcoscenico perfetto per la nuova corsa all’oro digitale.

Tesla Robotaxi e il declino delle entrate tra battute da pub e sogni da uber tecnologico

La maggior parte dei CEO che annunciano un calo del 12% delle entrate trimestrali mantiene un tono prudente nelle call con gli analisti. Elon Musk no. Ha aperto la conference call di Tesla con una battuta che sembrava un’allusione sessuale, degna di un pub più che di un boardroom, e poi ha lanciato la previsione che metà della popolazione americana avrebbe accesso ai Tesla robotaxi entro la fine dell’anno. “Soggetto alle approvazioni regolamentari”, ha aggiunto, con quella postilla che suona come una clausola da assicuratore più che come una promessa tecnologica. Poco dopo, è scoppiato a ridere da solo. Un grande classico del Musk-show.

Google Cloud spinge sull’scceleratore: l’Intelligenza Artificiale è la muova miniera d’oro

Il bello di Google è che sembra sempre danzare sul filo di un rasoio d’oro. I numeri raccontati mercoledì confermano una verità imbarazzante per chi sperava nel declino della sua egemonia: la ricerca, quella che tutti davano per spacciata di fronte a ChatGPT e ai suoi cugini generativi, non solo regge ma accelera. Il business pubblicitario, il cuore pulsante di questa miniera, continua a pompare ricavi come se nulla fosse, un insulto velato a chi aveva già scritto l’epitaffio del motore di ricerca più potente del pianeta. Per ora, gli utenti preferiscono ancora digitare piuttosto che conversare con un chatbot. Sì, la Generative AI è sexy, ma la monetizzazione della curiosità umana resta ancora un gioco che Google sa giocare meglio di chiunque altro.

Matilde Giglio: Even Healthcare

La rivoluzione silenziosa che sta umiliando le assicurazioni sanitarie indiane

Even Healthcare è una di quelle storie che fanno impallidire gli analisti troppo abituati a valutare startup sanitarie con i soliti parametri di “unit economics” e tabelle Excel prive di visione. Fondata dall’imprenditrice italiana Matilde Giglio, il progetto nasce come un atto di ribellione contro l’inerzia cronica del sistema sanitario indiano, un colosso da 372 miliardi di dollari che ogni anno spinge 60 milioni di persone nell’indebitamento sanitario, spesso per interventi chirurgici che nel mondo occidentale considereremmo ordinari. La sua missione è quasi provocatoria nella sua semplicità: democratizzare l’accesso a cure mediche di qualità a un costo che non costringa la popolazione a scegliere tra salute e sopravvivenza economica. Ed è proprio questa tensione tra un mercato iniquo e un modello radicalmente inclusivo che rende Even un caso di studio più interessante delle ennesime healthtech “a metà” che si limitano a qualche app di telemedicina.

Sap Cloud corre ma il mercato vuole fuochi d’artificio

Sap ha appena chiuso un trimestre che molti competitor si sognerebbero. Eppure Wall Street ha reagito come se la festa fosse già finita. Cloud in crescita del 28 per cento anno su anno. Backlog che vola a 21,26 miliardi di dollari. Eps rettificato di 1,76 dollari contro stime di 1,69. Il fatturato totale è salito del 9 per cento a 10,6 miliardi. Un soffio sotto le attese. Troppo poco per meritarsi applausi, almeno secondo gli investitori, che nel post-market hanno punito il titolo con un meno 2 per cento.

IUVO la robotica indossabile che riscrive la frontiera italiana

Nel panorama tecnologico italiano, spesso più incline al folklore che all’innovazione tangibile, IUVO srl si staglia nel 2025 come un protagonista che non si limita a inseguire sogni digitali ma li traduce in realtà concrete. La robotica indossabile, quella che fino a pochi anni fa sembrava confinata alle pagine di riviste specializzate o ai laboratori universitari, diventa un asset strategico per una piccola realtà pisana capace di conquistare mercati e cervelli con una miscela di pragmatismo e audacia.

La corsa folle ai Data Center e il credito come nuova droga dell’intelligenza artificiale

Tutti parlano di intelligenza artificiale, ma pochi hanno capito che il vero gioco non si gioca sugli algoritmi, bensì sui metri quadri di cemento e sugli scaffali pieni di chip che divoreranno energia come un buco nero. Morgan Stanley ha appena messo nero su bianco numeri che fanno tremare i polsi persino ai più spavaldi venture capitalist: 2,9 trilioni di dollari in spese per data center entro il 2028. Ripetiamolo con calma, perché la cifra merita di essere gustata come un buon whisky: 1,6 trilioni in hardware, 1,3 trilioni in mattoni, cavi e raffreddamento. Se non vi basta, nel 2028 il fabbisogno annuo supererà i 900 miliardi di dollari, quasi quanto l’intero capex previsto quest’anno per tutte le società dell’S&P 500. È come se l’AI si stesse divorando Wall Street, un pezzo alla volta.

La scommessa di Unitree Robotics sull’IPO è il segnale che la robotica cinese ha finito di giocare in laboratorio

Non è un annuncio qualsiasi. Quando una società come Unitree Robotics decide di depositare i documenti per una IPO in Cina, con tanto di Citic Securities al fianco e un’agenda serrata per dicembre, il messaggio al mercato è chiaro. La robotica commerciale cinese ha deciso di uscire dall’infanzia. Ed è interessante che il primo vero humanoid robot cinese pronto a sbarcare in borsa non venga da Shenzhen, ma da Hangzhou, città più famosa per l’e-commerce di Alibaba che per l’ingegneria meccanica. Ironico, vero? Ma del resto, come scriveva un analista di Pechino qualche giorno fa, “quando un leader tecnologico si lancia su una IPO significa che i laboratori non bastano più. Serve la scala industriale, servono soldi veri”. E i soldi veri, oggi, arrivano solo dai mercati pubblici.

AWS raddoppia l’investimento nell’AWS Generative AI Innovation Center, segnando due anni di successi dei clienti

Non serve essere un indovino per capire che l’ecosistema dell’intelligenza artificiale sta virando rapidamente verso una nuova era, dove gli agenti AI autonomi non sono più un esercizio teorico o un semplice esperimento di laboratorio, ma una realtà commerciale e tecnologica destinata a sconvolgere ogni settore. La notizia dell’investimento da 100 milioni di dollari da parte di Amazon Web Services in un Innovation Center dedicato all’Agentic AI è la pietra miliare che sancisce il passaggio da hype a strategia di lungo termine. Non si tratta più di uno dei tanti trend fugaci, ma di un movimento inarrestabile e fortemente finanziato che modella il futuro digitale.

S&P il lato oscuro dei rischi AI che le aziende fingono di controllare

The rise of AI as a threat to the S&P 500

La verità è che l’industria ha finalmente iniziato a confessare ciò che molti fingevano di non vedere. L’intelligenza artificiale, questo nuovo idolo corporate, sta entrando nei documenti ufficiali delle big company con la stessa eleganza con cui un hacker entra in un server mal protetto. Non è più solo un argomento da keynote o da marketing patinato, è un rischio finanziario dichiarato. E quando le aziende iniziano a scriverlo nero su bianco nei filing regolamentari, significa che l’entusiasmo si è scontrato con la realtà. Tre aziende su quattro dell’S&P 500 hanno introdotto o ampliato sezioni dedicate ai rischi AI, e no, non lo hanno fatto per trasparenza altruistica. L’hanno fatto perché devono proteggersi dagli investitori, non dall’AI.

Il futuro del denaro è fatto di Token e le Stablecoin stanno già riscrivendo le regole

Non è una domanda, è una constatazione: il sistema finanziario globale, quello che si vanta di avere regole granitiche e una logica quasi sacrale, dovrà riscrivere i suoi codici operativi per sopravvivere all’avanzata delle stablecoin. Che lo voglia o no. Non è un dettaglio da appassionati di crypto, è il cuore pulsante della prossima rivoluzione nei pagamenti istantanei, nel clearing e nel settlement. Lo dice il BIS, la Banca dei Regolamenti Internazionali, che non è un think tank improvvisato ma il club esclusivo delle banche centrali. Quando parlano loro, perfino i più scettici dovrebbero alzare un sopracciglio.

Il paradosso dell’intelligenza artificiale tra occupazione e inflazione nella nuova economia

In un mondo dove le tecnologie emergenti non sono più semplici supporti ma veri e propri protagonisti, l’intelligenza artificiale si affaccia con prepotenza al centro del dibattito economico globale, in particolare riguardo alla doppia missione della Federal Reserve: massima occupazione e stabilità dei prezzi. Lisa Cook, governatore della Fed, ha riassunto con una chiarezza chirurgica la sfida che ci attende. Da una parte, l’AI promette di rivoluzionare il mercato del lavoro, potenziando la produttività dei lavoratori ma allo stesso tempo alterando radicalmente la composizione stessa delle mansioni. Dall’altra, l’effetto sui prezzi non è affatto scontato, oscillando tra una possibile riduzione delle pressioni inflazionistiche grazie alla maggiore efficienza e l’aumento dei costi derivante dall’investimento massiccio in nuove tecnologie.

Lovable la startup che scrive codice con l’aria da rockstar e spaventa i vecchi giganti del software

C’è qualcosa di irresistibile quando una piccola banda di 45 persone riesce a mettere in crisi l’intero ecosistema dei colossi del software. Lovable, sì, proprio quel nome che sembra uscito da una campagna di marketing per adolescenti, ha fatto quello che nessuno aveva il coraggio di ammettere pubblicamente: ha trasformato la creazione di app e siti web in un esercizio di conversazione naturale, annientando il mito del programmatore-sacerdote che scrive righe di codice come se fossero formule arcane. Lo ha fatto con uno stile da “fast-growing Swedish AI vibe coding startup”, perché in fondo anche la geografia conta nel marketing delle illusioni tecnologiche.

Un caffe al Bar dei Daini: roundup tech con un occhio al futuro incerto e alle manovre strategiche che contano

La promessa di crescita nel 2026 di ASML, gigante olandese dei chip, si tinge di foschia. il CEO Christophe Fouquet, pur riconoscendo la solidità delle fondamenta dei clienti AI, mette un freno all’entusiasmo: “non possiamo confermare la crescita” in un contesto geopolitico e macroeconomico sempre più incerto. La dichiarazione arriva a caldo dopo il report del secondo trimestre, ricordandoci che nel mondo dei semiconduttori la volatilità è la nuova normalità. I chip restano il cuore pulsante dell’innovazione, ma il battito potrebbe rallentare o accelerare a sorpresa, dettato da forze fuori dal controllo aziendale.

Google soffia Windsuf a OpenAI per 2.4 miliardi: il codice diventa campo di battaglia nell’intelligence devsecops

Google ha appena lanciato un guanto di sfida che suona come una sinfonia sinistra nelle orecchie di GitLab e JFrog. Si è presa Windsurf, startup specializzata in generazione di codice via AI, con una mossa chirurgica da 2.4 miliardi di dollari. No, non si tratta solo di un’acquisizione tecnologica. Qui siamo davanti a una dichiarazione di guerra nel cuore del DevSecOps, quel crocevia impazzito dove sviluppo, sicurezza e operations ballano sulle note dissonanti della produttività automatizzata. Un settore che, in piena esplosione, ha trovato nelle AI generative e negli agenti software autonomi la sua nuova arma nucleare.

Maria Chiara Carrozza, l’ingegnera che programmava il futuro IA e Parlamento

Che Maria Chiara Carrozza sia una delle menti più brillanti della scena scientifica e politica italiana è un fatto. Che il Paese non se ne sia ancora accorto, è la parte interessante. In una nazione dove il termine “innovazione” viene usato come il prezzemolo nei talk show domenicali, Carrozza rappresenta quel tipo di cervello che ti aspetteresti in un think tank del MIT, e che invece si ritrova a parlare di neuro-robotica davanti a parlamentari distratti da WhatsApp. Una donna che non solo ha progettato protesi robotiche che sembrano uscite da un episodio di MIB, ma ha anche avuto l’ardire di fare il Ministro dell’Istruzione in un Paese dove i docenti universitari devono ancora chiedere permesso per installare un software.

EGM non è un mercato, è una trappola semantica per startup ingenue

Benvenuti nel teatro delle illusioni finanziarie, dove le startup tecnologiche italiane si affacciano con l’entusiasmo ingenuo dei fondatori che confondono un palco con una piazza. L’EGM acronimo nobilmente ambiguo di Euronext Growth Milan si presenta come il mercato alternativo per le PMI innovative, una promessa di capitali, visibilità, scalabilità. In pratica: il posto dove una startup può finalmente smettere di elemosinare seed round da venture in modalità oracolo e accedere, si dice, al grande banchetto del capitale pubblico. Ma la realtà è più crudele, più sottile, più pericolosa: EGM non è un mercato. È una recita. Un catalogo interattivo con scarsa interazione e nessun pubblico pagante.

Meta scommette 3,5 miliardi su EssilorLuxottica per gli occhiali smart con intelligenza artificiale, la guerra hardware è appena cominciata

Meta ha appena ingoiato un boccone da 3,5 miliardi di dollari di EssilorLuxottica, il colosso mondiale degli occhiali proprietario di marchi iconici come Ray-Ban e Oakley, assicurandosi una quota del 3% proprio mentre spinge sull’acceleratore degli smart glasses potenziati dall’intelligenza artificiale. Questo non è un semplice investimento, ma un chiaro segnale di guerra: Meta sta giocando una partita hardware per scrollarsi di dosso il giogo di Apple e Google, i signori incontrastati del mobile.

Luciano Floridi: AI e Politica, An AI open source, made in Europe, AI app compliant

La democrazia algoritmica parte da Roma: perché l’intelligenza artificiale può salvare il parlamento (se glielo lasciamo fare)

C’è qualcosa di irresistibilmente ironico nel vedere la Camera dei Deputati tempio della verbosità e del rinvio presentare, tre prototipi di intelligenza artificiale generativa. In un Paese dove un decreto può impiegare mesi per uscire dal limbo del “visto si stampi”, si sperimenta l’automazione dei processi legislativi. Lo ha fatto, con un aplomb più da start-up che da aula parlamentare, la vicepresidente Anna Ascani. Nome noto, curriculum solido, visione chiara: “La democrazia non può restare ferma davanti alla tecnologia, altrimenti diventa ornamento, non strumento”. Che sia il Parlamento italiano a fare da apripista nell’adozione dell’AI generativa per l’attività legislativa potrebbe sembrare una barzelletta. Invece è un precedente.

Quando David batte Golia con un tokenizer: l’ascesa dei modelli linguistici italiani (che nessuno voleva vedere)

Ci siamo abituati a un mondo in cui l’intelligenza artificiale parla inglese, pensa inglese e viene valutata secondo criteri stabiliti, indovina un po’, da aziende americane. Fa curriculum: openAI, Google, Anthropic, Meta. Chi osa mettersi di traverso rischia di essere etichettato come “romantico”, “idealista” o, peggio ancora, “locale”. Ma ogni tanto succede che una scheggia impazzita scardini l’equilibrio dei giganti e costringa il sistema a sbattere le palpebre. È successo con Maestrale, un modello linguistico italiano open source, sviluppato da una piccola comunità di ricercatori guidati da passione, competenza e una sfacciata ostinazione.

Cubish la rivoluzione invisibile dello spatial web comincia a Napoli e no, non è l’ennesima App Social

Da qualche parte tra i vicoli di Napoli, mentre la gente sorseggia caffè ristretto e bestemmia per il traffico, si è acceso un interruttore silenzioso che promette di cambiare la relazione tra fisico e digitale. Non stiamo parlando dell’ennesimo visore in stile “metaverso da salotto”, né di un social network clone pieno di filtri e pubblicità programmatica. Cubish, startup italiana fondata da 26 co-fondatori (sì, ventisei, non è un errore di battitura) dopo quattro anni di R&D ossessivo, ha rilasciato un’app gratuita che non aggiunge un nuovo mondo, ma ripara quello esistente: porta il web nel mondo reale. Letteralmente.

Lo Spatial Web non è uno slogan o una buzzword da conferenza, è un’infrastruttura digitale che Cubish ha cominciato a costruire a colpi di geometria: la superficie della Terra viene divisa in Cubi da 10 metri per lato. Ogni Cubo è un’unità geospaziale, un contenitore unico identificato da coordinate precise. In altre parole, ogni punto del pianeta diventa un nodo digitale. È come assegnare a ogni metro quadro un dominio, ma con le regole dell’urbanistica e la logica del Web 3.0. È l’architettura dell’informazione che si fa cartografia.

Roma è un sogno algoritmico che si scompone: AI & conflicts vol. 02 smonta la religione della macchina nella capitale

Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni 7, Rome

Ci sono momenti in cui la tecnologia smette di essere strumento e si rivela religione. Dogmatica, rituale, ossessiva. Con i suoi sacerdoti (i CEO in felpa), i suoi testi sacri (white paper su GitHub), i suoi miracoli (GPT che scrive poesie su misura), le sue eresie (la bias, l’opacità, il furto culturale). A Roma, il 10 luglio 2025, questo culto algoritmico entra finalmente in crisi. O meglio, viene messo sotto processo con precisione chirurgica. Perché AI & Conflicts Vol. 02, il nuovo volume a cura di Daniela Cotimbo, Francesco D’Abbraccio e Andrea Facchetti, non è solo un libro: è un attacco frontale al mito fondativo dell’intelligenza artificiale come panacea post-umana.

Presentato alle 19:00 alla Fondazione Pastificio Cerere nell’ambito del programma Re:humanism 4, il volume – pubblicato da Krisis Publishing e co-finanziato dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali – mette a nudo l’infrastruttura ideologica della cosiddetta “estate dell’AI”. Un’estate che sa di colonizzazione dei dati, di estetiche addomesticate, di cultura estratta come litio dal sottosuolo cognitivo dell’umanità. Se questa è la nuova età dell’oro, allora abbiamo bisogno di più sabotatori e meno developers.

Mark Cuban ha lanciato un messaggio potente: sarà l’intelligenza artificiale a creare il primo trilionario.

Forse “un tizio in un seminterrato”, ha detto, che deciderà di cambiare per sempre il mondo, armato solo di una buona idea e una GPU di seconda mano.

Nel podcast “High Performance”, il miliardario texano ha spiegato come ci troviamo solo nella “preseason” dell’AI. Paragonando la situazione attuale all’alba dei personal computer o degli smartphone, ha disegnato uno scenario in cui il vero impatto della tecnologia deve ancora manifestarsi.

Secondo lui, tra cinque anni il cambiamento sarà così profondo da stravolgere completamente la nostra percezione del lavoro, del business, perfino della creatività.

Alfredo Adamo e l’arte sottile di investire: il venture capital all’italiana spiegato da chi lo pratica davvero

Ci ha invitato a prendere un caffè  un espresso in tazza grande, il mio preferito, senza che lo chiedessi niente approccio da coworking milanese e dopo cinque minuti sembrava ci conoscessimo da anni. Nessun badge, nessuna posa, solo un’intelligenza tagliente nascosta dietro una cortesia disarmante. Alfredo Adamo ti ascolta con quella calma che oggi è quasi sospetta, come se già sapesse dove andrai a parare e ti lasciasse il tempo di arrivarci da solo.

Noi di Rivista.AI siamo entrati aspettandoci il solito discorso da investitore seriale e invece ci siamo trovati davanti un hacker del sistema, uno stratega della complessità con lo sguardo da artigiano visionario. Nessun mantra da startup weekend, nessun entusiasmo forzato: solo pensiero lucido, pazienza operativa e una quantità sorprendente di cultura umanistica intrecciata alla tecnologia. Un caffè diventato viaggio mentale, tra AI, arte, capitale e futuro. E alla fine, più che un’intervista, è sembrato un debriefing tra complici.

In un ecosistema che grida “exit” come fosse l’unica parola rimasta nel dizionario del venture capital, Alfredo Adamo fa un passo di lato e, con la calma di un artigiano digitale e l’astuzia di un giocatore di scacchi da circolo, continua a costruire. Non corre, non strepita, non si vanta. Investe. E resta. La sua presenza si sente più nei sottotraccia dei pitch che negli editoriali di Forbes. Ma chi sa leggere i flussi, più che i titoli, lo ha già capito: se vuoi sapere dove sta andando l’innovazione tech in Italia, segui le rotte di Alfredo, non i botti delle exit.

La parola chiave è “persistenza”. Non quella da brochure motivazionale, ma quella rude, fatta di cene infinite con founder squattrinati, valutazioni da decimare a colpi di business plan e la santa pazienza di chi sa che prima di vendere serve costruire valore vero. Mentre gli unicorni italiani si contano ancora sulle dita di una mano, Alfredo Adamo è già oltre il mito. Ha fatto della discrezione il suo biglietto da visita, e del capitale intelligente la sua firma invisibile su decine di startup.

New York, intelligenza artificiale e arte pubblica: quando Google scolpisce specchi nel cemento

Le informazioni sono arrivate il 6 luglio 2025, ma la storia era già nell’aria da settimane. Manhattan suda, letteralmente e metaforicamente, sotto un sole di maggio che sa di agosto. Rockefeller Center pullula di turisti sudati, ragazzini viziati con frappuccino rosa e dirigenti Google con lo sguardo distaccato. Al centro della scena: una scultura che sembra uscita da un incubo LSD di Escher e Yayoi Kusama, ribattezzata con disinvoltura “un vivace labirinto di specchi”. Solo che qui, a riflettersi, non c’è solo chi guarda. C’è anche l’ombra lunga della macchina, che ha cominciato a disegnare.

La grande illusione Americana: come il nuovo debito USA può distruggere la fiducia globale nel dollaro

Uno dei problemi dei titoli delle leggi americane è che sembrano usciti da un romanzo di fantascienza scritto da uno stagista del marketing sotto acido. “One Big Beautiful Bill Act”, ad esempio, suona come il nome di una sitcom degli anni ’90. Ma dietro la patina comica e l’enfasi trumpiana si nasconde qualcosa di meno divertente: un’espansione fiscale titanica mascherata da patriottismo economico, pronta a esplodere come una bomba a orologeria finanziaria. La Camera dei Rappresentanti ha appena approvato questa legge con un margine tanto risicato quanto sintomatico: 218 voti contro 214. Tradotto, significa che persino alcuni repubblicani hanno cominciato a leggere il manuale di istruzioni del Titanic mentre la nave prende acqua.

La legge prevede un aumento delle spese per la sicurezza dei confini e la difesa, una mossa che sembra sempre vincente nei sondaggi interni, ma soprattutto rende permanenti i tagli fiscali del 2017, già all’epoca giudicati regressivi, inefficaci e fiscalmente irresponsabili. Ma il vero cuore pulsante del problema è un altro: il disinvolto rialzo del tetto del debito federale di 5 trilioni di dollari, un passo oltre rispetto ai 4 trilioni originariamente previsti. È un po’ come dare una carta di credito illimitata a un tossicodipendente da deficit: prima o poi la banca in questo caso il mondo intero potrebbe decidere di chiudere i rubinetti.

Da Silicon Valley a Fleet Street, perché META sembra sempre più un tabloid finanziario con effetti speciali

Se la storia recente dell’innovazione tecnologica fosse una collezione di prime pagine, Meta sarebbe una specie di Daily Mail in versione californiana: titoloni gridati, promesse roboanti, immagini patinate e una certa allergia per la verifica dei fatti. Dopo aver occupato per mesi le colonne del New York Times e del Financial Times con la messianica visione del metaverso, l’azienda di Zuckerberg ha deciso di riscrivere la narrazione, ancora una volta. Nel 2021, l’annuncio sembrava un’inchiesta d’apertura dell’Economist sulla nuova frontiera dell’esistenza digitale. Oggi, nel 2025, Horizon Worlds è più simile alla cronaca di una ghost town, degna del Guardian nella sua vena più compassata: abbandonata, vuota, eppure misteriosamente ancora sovvenzionata.

​Le assemblee rappresentative nell’era dell’intelligenza artificiale – Ascani

Quando si parla di Italia e tecnologia, la prima immagine che affiora è quella di un Paese genuflesso di fronte al futuro, sempre pronto a rincorrerlo con un fiatone normativo e un’andatura da maratoneta disidratato. È quasi un luogo comune dire che siamo in ritardo: lo siamo sul digitale, sull’AI, sull’alfabetizzazione tecnologica di massa, sulle infrastrutture cognitive. Ma ciò che sorprende, in questo scenario, è che a marcare un’accelerazione netta non siano i soliti innovatori della Silicon Valley in salsa tricolore, né le startup visionarie che spuntano come funghi nel sottobosco del venture capital, ma proprio lei: la Camera dei Deputati.

Sì, avete letto bene. Il Parlamento italiano, spesso percepito come la roccaforte dell’immobilismo procedurale, si sta muovendo con una rapidità e una lucidità che smentiscono qualsiasi pregiudizio. In una fase in cui il governo annaspa tra disegni di legge incagliati e un dibattito pubblico che ha la profondità di un tweet, Montecitorio sta plasmando un laboratorio di intelligenza artificiale applicata alle istituzioni, senza nascondersi dietro a retoriche vuote o a dichiarazioni di principio. Lo fa con metodo, ascolto, e una dose non trascurabile di coraggio politico.

L’illusione della creator economy, la realtà delle startup AI e il gioco truccato del marketing sociale

C’era una volta, in un tempo non così lontano, una sfilza di startup che si definivano parte della “creator economy”. L’idea sembrava seducente: democratizzare il talento, monetizzare la passione, scalare i follower in equity. Eppure, come spesso accade nella Silicon Valley delle illusioni distribuite in pitch deck colorati, il secondo trimestre del 2025 ha portato un brusco risveglio. I finanziamenti per queste startup da creator sono crollati, tanto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quanto rispetto ai primi tre mesi del 2025. Un raffreddamento secco, senza troppe cerimonie.

Ma la festa non è finita per tutti. Anzi, qualcuno ha appena ordinato champagne. Le startup focalizzate sull’intelligenza artificiale e sul marketing sociale stanno vedendo i rubinetti degli investimenti aprirsi con la stessa generosità con cui un algoritmo di TikTok spalma visibilità su un video virale di un cucciolo con gli occhiali. Più di 500 milioni di dollari sono stati versati in questa nicchia, solo nell’ultimo trimestre. E al centro di questo nuovo flusso c’è un nome dal sapore vagamente zuccherino ma dalla visione brutalmente pragmatica: Nectar Social.

La macchina da 4 trilioni: perché Nvidia è l’unico impero tech che conta davvero

Se c’è qualcuno che dovrebbe festeggiare il 4 luglio con le mani unte di burro d’arachidi e una bottiglia di champagne francese stappata a raffica, è Jensen Huang. L’uomo col bomber di pelle che ha trasformato Nvidia da produttore di schede grafiche per nerd a monopolista globale dell’intelligenza artificiale. Giovedì, mentre mezza America era impegnata a bruciare hot dog e a far esplodere fuochi d’artificio cinesi, le azioni Nvidia hanno chiuso a 159,34 dollari. Un balzo del 18,6% da inizio anno, spingendo la capitalizzazione a 3,88 trilioni di dollari. Manca un soffio ai 4. Già, vi ricordate quando toccare il trilione sembrava l’Everest?

Per contestualizzare: Nvidia oggi vale quasi quanto Alphabet e Meta messe insieme. Sì, Google e Facebook. Non due startup, ma due colossi che definiscono Internet. Eppure, agli occhi degli investitori, valgono meno della fabbrica di chip di Huang. È come se il Nasdaq avesse deciso che la vera infrastruttura critica non sono i motori di ricerca o i social network, ma i calcolatori neurali che li alimentano. Nvidia non è più un fornitore, è la pala nella corsa all’oro, la centrale nucleare del machine learning, il backbone fisico del futuro cognitivo.

Hammad Hussain: l’Intelligenza Artificiale di Oracle tra promessa e pragmatismo

Benvenuti in questa nuova sezione di Rivista AI, dove ci immergiamo in un confronto diretto con i C-level delle imprese più innovative, per approfondire visioni strategiche, sfide del presente e prospettive future. Oggi abbiamo il piacere di presentare un’intervista esclusiva con Hammad Hussain Commercial e Technology Strategy Director di Oracle e Senior Director dell’EMEA Business AI Value Service team. In un mercato dove l’AI è spesso avvolta in un “mantra imprescindibile” e “promesse altisonanti”, Hammad Hussain si distingue per la sua sincerità disarmante nel raccontare quanto sia difficile far comprendere il vero potenziale e le capacità reali dell’AI.

Il paradosso è evidente: Oracle ha reso i suoi prodotti AI “semplici, quasi banali da usare”, eppure “rendere semplice l’adozione resta una sfida”. Questo suggerisce che il vero ostacolo non è più la tecnologia in sé, che si è evoluta fino a essere incapsulata in interfacce user-friendly e automatizzate, bensì la “cultura e la strategia che ci stanno dietro”. L’AI è paragonabile a un “superpotere tecnologico che nessuno sa ancora bene come integrare nel proprio arsenale aziendale” senza il rischio che diventi un “semplice gadget costoso o una moda passeggera”.

Il team di AI Value Services ha un ruolo duplice e intrinsecamente pragmatico:

Educare e facilitare l’adozione: Aiutare i clienti a superare la diffidenza e l’incertezza che ancora permeano molti progetti AI.

Guidare strategicamente: Non si tratta più di “provare” o “sperimentare”, ma di “attivare” l’AI, una parola che suona più concreta e meno fumosa, e che è il segreto per superare le incertezze.

Questa visione si distingue per la capacità di Oracle di “tradurre la complessità in valore tangibile”, fungendo da “cuscinetto tra la promessa e la realtà” dell’AI. Hammad sottolinea che le “proposizioni che si vendono meglio” sono una naturale conseguenza di un lavoro che parte dall’interno dell’azienda e arriva ai clienti finali, creando un “circolo virtuoso in cui la conoscenza tecnica diventa leva di business e la strategia si nutre di feedback continui”.

La funzione di “facilitatore di adozione” sta diventando una figura chiave nell’economia digitale, un “ambasciatore tra due mondi”: quello della tecnologia pura e quello dell’impresa reale, con le sue resistenze e priorità.

L’obiettivo è trasformare questa “facilità” promessa in “risultati concreti, misurabili e soprattutto sostenibili nel tempo”, costruendo fiducia nella tecnologia e nel suo valore strategico. Il team incarna l’arte di “saper leggere, interpretare e soprattutto guidare il cambiamento”.

McKinsey & Company la piattaforma è il messaggio: perché l’AI generativa fallisce quasi sempre in azienda

Enterprises deploying gen AI at scale follow a common reference architecture.

C’è un elefante nella stanza, e ha la forma di una piattaforma legacy impolverata, circondata da MVP patchwork che fingono di essere innovazione. Mentre le direzioni IT si affannano a dimostrare che l’intelligenza artificiale generativa non è solo una demo ben fatta, McKinsey & Company ha fatto quello che pochi avevano il coraggio (o il cinismo) di fare: ha analizzato oltre 150 deployment GenAI in ambienti enterprise. Non sandbox. Non hackathon. Ambienti reali, con budget veri e KPI spietati. Il risultato? Una verità brutale, ma liberatoria. Il problema non è l’LLM. È la tua piattaforma.

Italia capitale dell’algoritmo: chi comanda davvero il venture capital tricolore

Non chiamateli influencer. Anzi sì, ma fatelo con un certo rispetto. Perché dietro ogni post su LinkedIn, ogni thread apparentemente casuale su quanto sia figo il nuovo fondo pre-seed “climate & quantum aware”, si nasconde un’aristocrazia silenziosa del capitale di rischio italiano che ha finalmente capito che visibilità è potere. Non nel senso hollywoodiano del termine, ma in quello brutalmente operativo: deal flow, selezione, attrazione di LP. Nel 2025 il venture capital in Italia non si muove più solo dietro le quinte. Si espone. E la classifica di Favikon lo conferma: 20 nomi che contano più di una policy di Invitalia e di cinque pitch a SMAU messi insieme.

Ismail Amla: Come l’AI generativa sta riscrivendo il contratto sociale dell’innovazione

Nel 1997, quando Deep Blue batté Kasparov, qualcuno mormorò che le macchine non avrebbero mai superato l’intuizione umana. Oggi, mentre ChatGPT sforna codice e strategie aziendali meglio di un middle manager, è evidente che non solo l’hanno superata, ma stanno riscrivendo da zero le regole del gioco. E Kyndyl Consult, guidata da visioni come quella di Ismail Amla, sembra aver colto il senso della rivoluzione: l’AI generativa non è uno strumento, è un nuovo contratto sociale tra tecnologia e leadership.

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