Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Interviste – (DEI) diversità, equità e inclusione – Impatti Sociali ed Etici – Futuro e Prospettive – Legislazione e Regolamentazione -Educazione e Formazione – Lavoro e Formzione

Viviamo nell’epoca degli ossimori: quando tutto è possibile ma niente è reale

Viviamo immersi in un teatro dell’assurdo iperconnesso, dove ogni progresso promette liberazione e invece ci stringe in nuove catene invisibili. È il secolo in cui ogni risorsa abbonda ma ogni speranza si sgretola, dove l’efficienza si misura in millisecondi e la fragilità si manifesta in interi sistemi sociali, ambientali e umani che crollano sotto il peso delle loro stesse ambizioni.

Mai come oggi abbiamo eliminato così tanta frizione a livello individuale. Clicchi, scorri, parli, e tutto ti arriva — cibo, intrattenimento, compagnia sintetica eppure, a livello sistemico, tutto è diventato più complesso, più burocratico, più instabile. Un paradosso ben confezionato nella user experience, che ti fa sentire il re del tuo mondo personale, mentre il mondo stesso brucia tra disuguaglianze crescenti e infrastrutture obsolete.

A Replica for Our Democracies? Se la democrazia va in laboratorio, il gemello digitale di Floridi e l’algoritmo che voleva governare il mondo

Luciano Floridi colpisce ancora. Uno di quegli intellettuali che riesce a trasformare una cattedra in un laboratorio di alchimia digitale, dove filosofia, AI e ingegneria sociale si impastano in qualcosa che a metà tra l’etica e il project management distopico. Il suo nuovo articolo, firmato con un dream team di cervelloni internazionali, non è solo un esercizio accademico: è una proposta molto concreta, molto seria, e vagamente inquietante. Un passo più vicino all’algoritmo che si credeva Rousseau.

Il titolo sembra innocuo, quasi educato: A Replica for Our Democracies? Ma dietro il punto interrogativo si nasconde la vera proposta: creare digital twins gemelli digitali delle comunità deliberative per simulare, testare, ottimizzare, correggere e magari anticipare le decisioni politiche prima che vengano prese nel mondo reale. Tipo: “Facciamo decidere prima agli avatar e vediamo come va”. Se funziona, poi magari lo facciamo davvero.

Come l’uso dell’AI sta influenzando il nostro pensiero critico, la memoria e la creatività: una riflessione sulla salute del cervello

L’intelligenza artificiale (AI) ha invaso ogni angolo della nostra vita quotidiana, promettendo di semplificare compiti complessi e migliorare l’efficienza in vari settori, dalla salute alla gestione aziendale. Tuttavia, mentre l’AI continua a riscrivere il nostro modo di lavorare e interagire con il mondo, emergono preoccupazioni riguardo ai suoi effetti sul nostro cervello e sulle nostre capacità cognitive. Alcuni studi recenti hanno iniziato a tracciare la linea sottile tra i benefici tangibili dell’AI e i costi invisibili che essa impone al nostro benessere mentale.

Uno degli aspetti più rilevanti riguarda l’effetto dell’AI sul pensiero critico. Uno studio condotto dalla Swiss Business School ha messo in evidenza come un uso eccessivo di AI possa indebolire le capacità di pensiero critico. I giovani, che tendono a fare più affidamento sull’AI, sono risultati avere punteggi più bassi nelle valutazioni di pensiero critico, mentre gli adulti più anziani, che si affidano meno alla tecnologia, hanno ottenuto risultati migliori. Questo fenomeno è stato confermato anche da una ricerca congiunta di Microsoft e Carnegie Mellon, che ha sottolineato come l’uso intensivo di AI aumenti l’efficienza ma diminuisca la capacità di analisi critica. Se ci abituiamo a delegare il nostro processo di pensiero a un algoritmo, rischiamo di diventare meno abili nel risolvere problemi da soli.

Donne, algoritmi e pane raffermo: la rivincita del cervello femminile nella Silicon Valley d’Oriente

Nel contesto di una società che celebra la tecnologia come nuovo oracolo, la figura della donna nelle discipline STEM continua a essere sottorappresentata, troppo spesso relegata a ruolo decorativo nei panel aziendali o strumentalizzata nelle campagne pubblicitarie dall’inconfondibile retrogusto di marketing rosa. Il problema non è solo quantitativo, ma profondamente culturale: la matematica, l’ingegneria, la scienza e la tecnologia sono ancora percepite come territori maschili per eccellenza, dove la presenza femminile viene vista come un’eccezione statisticamente tollerabile ma raramente valorizzata.

Eppure, in spazi di innovazione come l’Hong Kong Science and Technology Park, esiste una generazione di professioniste che non chiede inclusione, la impone. Figure come Florence Chan, Angela Wu, Wendy Lam, Gina Jiang e Megan Lam, Inhwa Yeom incarnano un nuovo paradigma: quello della competenza femminile che non solo compete, ma supera. Il loro lavoro è sintesi tra eccellenza accademica e applicazione pratica, tra rigore scientifico e intuito strategico, in una costante tensione verso la risoluzione di problemi complessi che spaziano dalla biomedicina alla neurotecnologia.

Quando l’intelligenza artificiale impara dalla spazzatura

L’AI non è né buona né cattiva, è semplicemente lo specchio di chi l’ha addestrata. E in ambito sviluppo software, questo significa che riflette l’incompetenza generalizzata dell’umanità moderna nel saper scrivere codice decente. Potremmo raccontarcela con toni più politically correct, ma la realtà resta brutale: la maggior parte del codice che gira online fa schifo. E siccome l’AI è un animale statistico, imparando da quella spazzatura, finirà inevitabilmente per riproporla. Benvenuti nell’età dell’automazione della mediocrità.

Quando parliamo di “bad code”, non ci riferiamo solo a codice che non compila. Quello è il male minore. Parliamo di codice che compila, gira, funziona, ma che è un disastro da leggere, estendere, manutenere o semplicemente capire. Codice privo di coerenza architetturale, senza test, pieno di hardcoded, di if annidati come le matrioske dell’orrore, di nomi di variabili che sembrano partoriti da uno scimmione bendato: foo, temp, x1, y2. E se credi che questi esempi siano caricature, fai un giro nei repository pubblici di GitHub. Vedrai orrori che farebbero piangere un compilatore.

Genesi: l’Intelligenza Artificiale secondo Kissinger, Schmidt e Mundie e la fine dell’innocenza tecnologica


Non è un saggio tecnico, né un pamphlet ideologico: Genesi è un avvertimento. È un Kissinger lucido, anziano e quasi profetico che guarda l’intelligenza artificiale non con la curiosità del boomer che prova ChatGPT, ma con la diffidenza dello stratega che ha capito che qualcosa, stavolta, è cambiato per davvero. Firmato insieme a Eric Schmidt, ex CEO di Google, e Craig Mundie, cervello di Microsoft, il libro è la cronaca di un’era che si chiude e di un’altra che inizia con una domanda scomoda: siamo davvero ancora noi a decidere?

L’inizio è una bomba epistemologica. Non stiamo parlando di uno strumento. L’IA non è più una leva che l’uomo usa per sollevarsi, ma una forza autonoma che ridefinisce ciò che intendiamo per verità, conoscenza, realtà. È un’entità che non sente, non teme, non si stanca. Una macchina senza morale, che diventa paradossalmente più efficiente proprio perché le manca quel freno invisibile che chiamiamo coscienza.

L’universo come start-up: la complessità cresce, anche senza KPI

L’universo. Quel posto affascinante e inospitale che da miliardi di anni si diverte a produrre galassie, stelle, frittate e imprenditori tech. Secondo una nuova teoria, potrebbe esserci un principio universale che spinge tutto, vivente o meno, a diventare sempre più complesso. Non per scelta, non per gusto estetico, ma perché è nella natura stessa della realtà. E no, non è una provocazione filosofica da bar: parliamo di fisica teorica, quella che solitamente vive sospesa tra il sublime e l’indimostrabile.

La provocazione è elegante: esiste una sorta di freccia del tempo della complessità, un’evoluzione non solo biologica, ma sistemica, strutturale, cosmica. Se i sistemi complessi tendono a diventare ancora più complessi col tempo, allora l’evoluzione della vita è solo una manifestazione locale e parziale di un principio molto più ampio. Non è darwinismo, è cosmologismo.

Rie Qudan Tokyo-to Dojo-to: Quando l’intelligenza scrive meglio dell’autore

Certe storie sembrano uscite da un racconto distopico, ma quando la realtà si traveste da narrativa, il paradosso non fa più ridere. Anzi, suona beffardo. L’ultima perla arriva dal Giappone, patria della tecnologia e della disciplina creativa, dove Rie Qudan, fresca vincitrice dell’ambitissimo Akatugawa Prize (premio letterario che in terra nipponica vale quanto un Nobel in miniatura), ha candidamente confessato che buona parte del suo romanzo premiato “Tokyo-to Dojo-to” è stato scritto a quattro mani con ChatGPT. Nessun ghostwriter umano, nessun tirocinante sottopagato: a farle compagnia nel viaggio creativo è stata l’intelligenza artificiale generativa.

L’intelligenza che sfida l’America: la leggenda silenziosa di Liang Wenfeng e la rivincita di Mililing

Nel cuore dimenticato della provincia del Guangdong, c’è un villaggio che fino a pochi mesi fa non esisteva nemmeno su Google Maps.Si chiama Mililing, 700 persone, un nome che suona come una ninna nanna contadina, ma che oggi è diventato un pellegrinaggio tech grazie a un uomo che non vuole farsi fotografare: Liang Wenfeng, 40 anni, mente dietro DeepSeek, la startup cinese che ha scompigliato le carte dell’intelligenza artificiale mondiale.

ReShoring Il principio di realtà non è cinismo, è sopravvivenza

L’epopea del “torniamo a produrre in casa” è diventata il nuovo sport nazionale dei talk show e delle newsletter economiche di chi non ha mai visto una catena di montaggio dal vivo, ma sa tutto del reshoring grazie a un TED Talk. L’idea che possiamo riportare a casa centinaia di miliardi di produzione industriale è la nuova fiaba per adulti – solo che invece di finire con “e vissero felici e contenti”, finisce con debito pubblico, delocalizzazioni 2.0 e disoccupazione camuffata da “upskilling”.

Perché sì, magari ce lo siamo dimenticati, ma l’USA è un paese con il 4% di disoccupazione ufficiale, che ha deciso che gli immigrati sono un problema invece che una risorsa (soprattutto quando servono per fare i lavori che nessun vuole più fare). Un paese che ha una manifattura che in molte aree è ancora ferma al tornio e alla pressa, ma che dovrebbe competere con le smart factory tedesche e cinesi e le supply chain asiatiche integrate su ERP di quarta generazione.

Luciano Floridi: L’eclissi dell’analogico: perché i bit stanno divorando il mondo e il mondo non se ne accorge

Articolo completo disponibile qui

Nel suo saggio The Eclipse of the Analogue, the Hardware Turn, and How to Deal with Both, Luciano Floridi firma un manifesto filosofico che è tanto un’allerta quanto una diagnosi cinica e lucida sul rapporto sempre più tossico tra digitale e analogico. Il testo, a tratti feroce nella sua chiarezza, è una lettura che ogni CTO, policymaker e filosofo (anche quelli travestiti da imprenditori) dovrebbe tenere come guida per non diventare l’ennesimo adoratore del feticcio digitale.

Floridi articola tre tesi connesse ma devastanti nella loro implicazione: primo, l’epistemologia del nostro tempo è mediata da modelli digitali che eclissano i sistemi reali; secondo, il potere non è più nel codice ma nell’hardware che lo supporta, in quella che chiama “hardware turn“; terzo, la soluzione non è un ritorno nostalgico al passato analogico, ma una combinazione riformulata di educazione critica (Paideia), legislazione robusta (Nomos), e una sovranità digitale capace di presidiare il confine sempre più labile tra ciò che è vero e ciò che è simulato.

Dietro il sorriso dell’intelligenza artificiale cinese: genio, gloria e morti premature

La corsa globale all’intelligenza artificiale è un tritacarne. Gli Stati Uniti e la Cina sono impegnati in una guerra tecnologica dove il dominio sull’AI non è solo una questione di supremazia economica, ma un braccio di ferro geopolitico. Mentre le startup americane cavalcano la bolla della generative AI a colpi di venture capital e stock option, la Cina gioca la sua partita con ferocia quasi darwiniana: cervelli reclutati, rimpatriati, spremuti. E talvolta, prematuramente sepolti.

Negli ultimi anni, l’industria dell’AI in Cina ha perso alcune delle sue menti più brillanti, stroncate da malattie improvvise, stress, missioni militari o sfortune ad alta quota. Le storie sembrano uscite da un episodio di Black Mirror girato a Pechino: giovani talenti, progetti ambiziosi, pressioni etiche e ambienti di ricerca tossici che non concedono tregua.

Microsoft scommette 80 miliardi nel cloud: Noelle Walsh dietro le quinte del nuovo impero AI

Noelle Walsh, tra i volti chiave dietro l’espansione muscolare dell’infrastruttura cloud di Microsoft, ha celebrato i 50 anni dell’azienda lo scorso 4 aprile con un tono da dichiarazione di guerra industriale. Un messaggio che suona più come una risposta diretta alle crescenti pressioni di mercato che come un brindisi istituzionale: Microsoft ha raddoppiato la capacità dei suoi datacenter negli ultimi tre anni, con il 2024 che già promette di essere l’anno più bulimico di sempre. E per il 2025, prepariamoci a un nuovo record. Il tutto condito da una cifra che si stampa in fronte: 80 miliardi di dollari di investimenti solo quest’anno, destinati a rafforzare il colosso cloud e AI che Redmond sta trasformando in una sorta di “Azure-centrismo” globale.

Hypnocracy e il filosofo che non esiste: come Jianwei Xun ha ipnotizzato il pensiero europeo con l’AI, grazie Andrea Colamedici

Quando una narrazione troppo perfetta puzza di falso, c’è spesso un motivo. Jianwei Xun, presunto filosofo di Hong Kong, autore del controverso ma acclamato Hypnocracy, non è mai esistito. O, per meglio dire, è esistito solo come idea. Ologramma culturale. Fantasma performativo dell’intelligenza artificiale.

Dietro questa maschera orientaleggiante, evocativa e calibrata per scivolare nei cataloghi di filosofi cosmopoliti da festival, c’era invece Andrea Colamedici editore italiano e illusionista concettuale coadiuvato da Claude di Anthropic e ChatGPT di OpenAI. Due cervelli sintetici per confezionare un pensiero altrettanto sintetico, costruito ad arte per sedurre un Occidente affamato di verità mistiche e distopiche.

La truffa non è nemmeno stata ben mascherata. Basta dare un’occhiata alla scheda del libro su Amazon, o alle prime versioni del sito ufficiale del “filosofo”, salvate diligentemente dalla Wayback Machine: una biografia scritta con lo stesso tono con cui si generano i profili LinkedIn da manuale. Nato a Hong Kong, studi a “Dublin University” — che, a proposito, non esiste — e un pensiero a metà tra il taoismo 2.0 e Foucault impastato con gli hallucination dell’IA.

Papa Francesco incontra JD Vance: due visioni inconciliabili sull’etica e il destino dell’occidente

Non è un semplice incontro, ma un vero e proprio scontro culturale celato dietro il velo del protocollo. JD Vance, senatore dell’Ohio, fervente sostenitore di Donald Trump e figura simbolo del conservatorismo high-tech con radici nell’America rurale, sbarca a Roma proprio nel giorno del Venerdì Santo. Non per una visita spirituale, ma per un colloquio con Papa Francesco, il pontefice gesuita che ha fatto dell’accoglienza, della misericordia e di un’ecologia integrale il cuore del suo messaggio. Due visioni opposte. Due ethos inconciliabili. Due strade che guardano a futuri diametralmente opposti.

Rivista.AI aveva già fiutato l’odore della polvere da sparo culturale quando, prima ancora che fosse eletto, analizzava l’ascesa di Vance come sintomo dell’intelligenza artificiale populista. Un uomo che si è fatto da sé, partendo da un’America bianca abbandonata, ripulita e poi reinterpretata nel bestseller Hillbilly Elegy, oggi brandisce la fede come un’arma politica. La sua visione etica? Gerarchia, ordine, valori “tradizionali” restituiti con la grazia di un algoritmo impazzito. Niente inclusività, poco perdono, tanta nostalgia per un passato che non tornerà.

La guerra dell’intelligenza: come l’AI ha messo fine all’era dei talenti umani (e alle illusioni della Silicon Valley)

Non è una guerra per il talento, è una guerra per l’intelligenza. E gli umani stanno perdendo.

L’evoluzione più evidente del mercato del lavoro negli ultimi anni non è tanto l’avvento dell’AI, quanto il riequilibrio dei poteri tra lavoratori e aziende. Durante l’era della “War for Talent”, le persone più intelligenti, più abili e più formate erano una risorsa scarsa. Le aziende, per attirarle, offrivano benefit, flessibilità e un ambiente di lavoro accogliente. Ne è nata la cultura delle startup con ping pong in ufficio, stock options, settimane lavorative di quattro giorni e un’attenzione morbida e paternalistica alla soddisfazione del dipendente.

Ora tutto questo sta morendo. Perché il talento umano non è più in testa alla classifica.

AI for the rest of us: l’illusione di un’IA gentile in un mondo predatorio

Anche il più “umanista” dei libri sull’intelligenza artificiale è già un prodotto del sistema che pretende di criticare. Ma se a suggerirtelo è qualcuna che sa leggere tra le righe, allora forse vale la pena fidarsi.

Non capita spesso che un libro tecnico riesca a promettere rivoluzioni morali con il tono di un TED Talk motivazionale, ma AI for the Rest of Us di Phaedra Boinodiris e Beth Rudden, curato da Peter Scott, ci prova con convinzione. Un titolo apparentemente inclusivo, quasi ingenuo, che cerca di restituire il controllo dell’intelligenza artificiale alle masse, o almeno di far credere che sia possibile. È un’opera a metà tra il manifesto etico e la guida concettuale, scritta per chi vuole sentirsi parte del cambiamento senza dover imparare a programmare in Python.

Scott Bessent e il ruolo dell’intelligenza artificiale di DeepSeek nel crollo dei mercati: un’analisi della situazione economica globale

Il mercato azionario mondiale sta attraversando una fase di turbolenza che ha attirato l’attenzione di molti osservatori, in particolare a causa della continua discesa dei principali indici. Tuttavia, mentre la narrativa prevalente suggerisce che le politiche economiche di Donald Trump siano la causa principale di questo calo, Scott Bessent, segretario del Tesoro degli Stati Uniti, ha lanciato una visione contrastante, suggerendo che il vero fattore scatenante del crollo possa essere l’emergere di DeepSeek, un avanzato strumento di intelligenza artificiale sviluppato in Cina.

Bessent, intervistato da Tucker Carlson su Fox News, ha fatto un’affermazione provocatoria, chiarendo che la discesa dei mercati è iniziata ben prima dell’intensificarsi delle politiche tariffarie di Trump. Secondo lui, il vero catalizzatore del calo sarebbe stato l’annuncio del lancio di DeepSeek, l’innovativo modello di intelligenza artificiale cinese, che ha scosso i mercati globali con una potenza dirompente.

Il crollo dell’Internet globale: Come la politica di Trump minaccia l’industria tecnologica americana in Europa

L’industria tecnologica americana si trova di fronte a una nuova realtà geopolitica che potrebbe mettere a rischio uno dei suoi mercati più redditizi: l’Europa. Le grandi aziende tecnologiche come Alphabet, Meta e OpenAI, che per anni hanno navigato senza troppi intoppi nei mercati globali, si trovano ora in una posizione scomoda, intrappolate tra la crescente ostilità degli Stati Uniti verso l’Europa e la crescente diffidenza europea nei confronti della supremazia tecnologica americana. La situazione si è complicata ulteriormente con l’amministrazione Trump, che non solo ha intrapreso una guerra commerciale con la Cina, ma sembra ora disposta a compromettere i legami transatlantici, mettendo a rischio l’accesso delle aziende tech americane ai mercati europei.

Negli ultimi dieci anni, il panorama tecnologico globale è cambiato drasticamente. Le aziende tecnologiche americane, un tempo convinte che Internet sarebbe stato uno strumento di liberalizzazione politica, si sono ritrovate ad affrontare una crescente divisione geopolitica. L’amministrazione Trump, con il suo approccio nazionalista e la sua visione di un’America più isolata, ha messo in difficoltà le stesse aziende tecnologiche che avevano goduto della protezione politica di Washington. L’Europa, da parte sua, ha iniziato a chiedersi se la sua dipendenza dalle tecnologie americane non fosse un rischio per la sua sicurezza nazionale e competitività.

Patriarcato, una spiegazione economica


Buongiorno lettore o lettrice,
Oggi in data 04/04/2025 mi trovo qui a scrivere un piccolo tema riguardo il sessismo; è da molto che penso e che raffino la mia teoria; perciò, ho trovato opportuno scrivere un temino visto che la scrittura è la mia forma preferita di espressione e mi permette di esplicitare le mie idee in maniera stabile nel tempo.

In questo temino spiegherò il mio pensiero sul perché esiste la società patriarcale, della sua evoluzione e della sua fine. Partirò dai cacciatori-raccoglitori, soffermandomi a lungo sull’agricoltura di sussistenza e concludendo con le rivoluzioni industriali.

Chi racconta la storia controlla l’AI: narrativa, potere e propaganda digitale

Platone – o chi per lui – diceva che “Chi racconta le storie governa la società.” Mai come oggi questa affermazione è vera, e non perché i racconti siano ormai monopolio di chatbot e algoritmi (anche se sarebbe un esperimento mentale interessante). Il punto cruciale è un altro: la frizione tra le diverse storie che vengono raccontate sull’AI dipende moltissimo da chi le racconta. E il bello è che queste narrative, pur contraddittorie, coesistono nella stessa bolla informativa, ognuna con un’agenda più o meno nascosta.

Questa dinamica non è nuova nella Silicon Valley, dove il controllo della narrazione è sempre stato un elemento chiave della strategia delle big tech. Steve Jobs diceva che “Le persone non sanno cosa vogliono finché non glielo mostri”, una frase che sintetizza perfettamente la filosofia dietro molte delle narrative che oggi plasmano il discorso sull’AI. Andiamo a vedere i principali storyteller di questa nuova rivoluzione.

L’illusione della crescita infinita: quando l’AI lavora e l’essere umano scompare

La METR (Measuring AI Ability to Complete Long Tasks) ci lancia una previsione degna della vecchia Legge di Moore: l’autonomia operativa delle intelligenze artificiali sta raddoppiando ogni sette mesi dal 2019. Se il trend prosegue, nel giro di cinque anni potremmo avere IA capaci di realizzare in autonomia il grosso dei task che oggi occupano giorni o settimane di lavoro umano. Entro la fine del decennio, potremmo vedere AI in grado di portare avanti progetti della durata di un mese senza alcun intervento umano. Fantascienza? No, una proiezione matematica basata sui dati attuali.

Ma qui si apre il solito dibattito: cosa accade quando l’automazione cresce a velocità esponenziale mentre l’economia rimane vincolata a un modello che assegna valore alla capacità di spesa umana? Il nodo centrale è sempre quello: che senso ha produrre in modo iperefficiente se la domanda crolla perché i lavoratori-consumatori non esistono più? L’idea di un’economia in cui tutto diventa “quasi gratuito” grazie all’automazione totale è una narrazione da venture capitalist con il lusso di ignorare le dinamiche macroeconomiche.

La guerra commerciale: le tariffe di Trump criticate da alcuni economisti

La recente offensiva tariffaria del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha annunciato tariffe del 10% su tutti i Paesi e tariffe maggiori per quelli considerati i “peggiori trasgressori”, ha suscitato un’ondata di critiche tra gli economisti. La reazione a queste nuove misure economiche, che coinvolgono una vasta gamma di Paesi e si estendono a livello globale, non si è fatta attendere. Una delle critiche più severe è arrivata da Lawrence Summers, ex segretario del Tesoro e direttore del National Economic Council durante la presidenza di Barack Obama, che ha definito questa formula economica come “quello che il creazionismo è per la biologia”.

Quando Trump ha presentato la tabella delle tariffe nel giardino delle Rose, spiegando che l’amministrazione avrebbe applicato una tassa del 10% su tutte le importazioni e tariffe più elevate per i Paesi con i deficit commerciali più significativi, sono emerse numerose domande. Ad esempio, perché il Vietnam, un Paese che gli Stati Uniti hanno cercato di avvicinare negli ultimi anni per contrastare la Cina nella regione, è stato colpito da una tariffa del 46%? E perché i prodotti sudcoreani sono soggetti a una tariffa del 25%, mentre Taiwan, la Svizzera e l’Indonesia hanno rispettivamente il 32%, il 31% e il 32%?

The formula the White House posted. Photo: Handout

The formula the White House posted. Photo: Handout

Protetto: Il futuro che ci aspetta: l’aristocrazia dei ricchi e la “grazia” di chi domina la tecnologia

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Trump e l’autocrazia tecnologica: come le idee di Thiel e Karp potrebbero plasmare un nuovo ordine politico

L’influenza di Peter Thiel su Trump

Non è un segreto che Peter Thiel abbia avuto un ruolo significativo nella politica di Trump, soprattutto durante le elezioni presidenziali del 2016. Thiel, uno dei fondatori di PayPal e un investitore di spicco nel settore tecnologico, ha dato il suo supporto esplicito alla candidatura di Trump, una mossa che ha suscitato molte discussioni, dato che Thiel è noto per le sue opinioni conservatrici e libertarie, che talvolta si scontrano con il mainstream politico degli Stati Uniti.

Federico Faggin – Irreducible: Consciousness, Life, Computers, and Human Nature

Un libro che sfida il paradigma materialista

“Irreducible: Consciousness, Life, Computers, and Human Nature” di Federico Faggin è un’opera che non si limita a discutere la coscienza come fenomeno, ma la affronta come un’entità irriducibile alle mere funzioni computazionali. Questo lo pone in netto contrasto con la visione materialista dominante nella scienza, secondo cui la mente è solo il risultato dell’attività neuronale e può, in linea di principio, essere replicata da un’intelligenza artificiale sufficientemente avanzata.

Il libro esplora il concetto che la coscienza non sia un epifenomeno del cervello, ma una realtà fondamentale dell’universo, un’idea che si riallaccia a tradizioni filosofiche e spirituali millenarie. Faggin, celebre per aver inventato il microprocessore e quindi ben radicato nella scienza e nella tecnologia, porta avanti una critica lucida al riduzionismo, suggerendo che l’esperienza soggettiva, il “qualia”, non sia simulabile né trasferibile su macchine.

Zuckerberg cerca di comprare la libertà: l’ultima mossa disperata di Meta per salvare il monopolio

Mark Zuckerberg è in modalità panico. Il CEO di Meta ha attivato tutte le sue connessioni politiche per tentare di risolvere la causa antitrust che potrebbe smembrare il suo impero digitale.

Il bersaglio? Donald Trump, l’uomo che ha già dimostrato di poter cambiare posizione più velocemente di un algoritmo di Facebook. Secondo il Wall Street Journal, Zuckerberg sta facendo pressione sulla Casa Bianca affinché la FTC (Federal Trade Commission) molli la presa sulla causa che potrebbe costringere Meta a vendere Instagram e WhatsApp. La battaglia legale è iniziata nel 2020, sotto la prima amministrazione Trump, ma ora sta per arrivare al processo, previsto per il 14 aprile.

Luciano Floridi: la sfida epistemologica dell’era zettabyte – la qualità dell’informazione tra big data e piccoli pattern

Viviamo nell’era dello zettabyte, una realtà in cui la produzione di dati cresce in modo esponenziale, superando la nostra capacità di elaborazione e comprensione. Luciano Floridi, uno dei massimi filosofi dell’informazione, ci mette in guardia: la conoscenza non è una costruzione naturale, ma un’abilità raffinata di interpretare e “hackerare” i dati che provengono dal mondo. Tuttavia, la vera sfida epistemologica non è tanto nell’accumulare dati, quanto nell’individuare i piccoli pattern, ovvero quelle micro-strutture informative che nascondono valore e significato in mezzo al rumore del superfluo.

Floridi, Novelli, Gaur – Il futuro della regolamentazione dell’intelligenza artificiale nella amministrazione Trump: ordine o caos?

Questo articolo nasce dall’ispirazione fornita dal lavoro di Claudio Novelli (Yale University – Digital Ethics Center), Akriti Gaur (Yale Law School; Yale Information Society Project) e Luciano Floridi (Yale University – Digital Ethics Center; University of Bologna – Department of Legal Studies).

Two Futures of AI Regulation under the Trump Administration

SSRN PAPER : https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=5198926

Le loro ricerche mettono in luce il complesso rapporto tra regolamentazione dell’intelligenza artificiale, governance politica ed etica digitale, temi che oggi più che mai richiedono una riflessione approfondita. Il dibattito sulla regolamentazione dell’AI non è solo una questione tecnica, ma un crocevia di scelte politiche, economiche e filosofiche che determineranno il futuro della società digitale.

Luciano Floridi: il filosofo prigioniero delle parole, tra Roma e Yale

Luciano Floridi è un pensatore che ha sempre giocato con i limiti del linguaggio e della comprensione, ma nel suo sfogo più lirico e tormentato ci racconta un dramma universale: la condanna dell’essere umano alla prigionia dell’imprecisione, della vaghezza, dell’inadeguatezza della parola.

Paradossalmente, è proprio con parole raffinate e chirurgiche che il filosofo romano trapiantato a Yale si dibatte nel labirinto del linguaggio. Un uomo che ha fatto della logica e della filosofia il proprio mestiere confessa che la parola lo tradisce. Non è l’amico fedele che dovrebbe servire la nostra mente, ma un despota capriccioso che si piega solo ai poeti. E noi, comuni mortali del linguaggio, siamo destinati a balbettare, a lanciare segnali come prigionieri in una cella insonorizzata. Locked-in, appunto.

Trump, Musk, Cook e la danza del potere: il grande business delle lobby tech

Il secondo atto della presidenza Trump sembra aver smantellato ogni pretesa di separazione tra tecnologia e politica. Quella che un tempo era una fredda distanza istituzionale tra la Silicon Valley e Washington si è trasformata in un vivace ballo di potere, dove CEO e politici danzano insieme sulle note di miliardi di dollari in lobbying. “Otto anni fa, non avresti mai visto Tim Cook o Elon Musk a Mar-a-Lago. Ora, li vedi in continuazione”, ha dichiarato Brian Ballard, lobbista di punta e uomo di fiducia dell’establishment repubblicano.

Il messaggio è chiaro: la tecnologia non è più solo un settore economico, ma un’arma geopolitica, un’infrastruttura di controllo sociale e una leva finanziaria per chi detiene il potere. Nel 2024, la spesa per lobbying federale ha raggiunto il record di 4,4 miliardi di dollari, con aziende, ONG e gruppi di interesse che hanno investito somme astronomiche per influenzare la politica. Al vertice della classifica, Meta Platforms, che ha speso oltre 24 milioni di dollari per proteggere il proprio impero mentre la politica si infiammava su privacy, libertà di espressione e sicurezza dei minori online.

La Silicon Valley non si limita più a sviluppare prodotti; ora scrive direttamente le regole del gioco. E con Trump di nuovo alla Casa Bianca, il gioco è diventato ancora più spregiudicato. L’industria tecnologica, che nel 2016 era più incline a finanziare candidati progressisti e a evitare legami con l’ex presidente, oggi ha smesso di fingere neutralità. La deregolamentazione promessa da Trump e la sua visione di un’America “forte e sovrana” hanno trasformato la tech élite da critici silenziosi a partecipanti attivi nel nuovo ordine politico.

La Silicon Valley ha perso la bussola: il manifesto di Alex Karp per una nuova Repubblica Tecnologica

Alex Karp, l’iconico co-fondatore e CEO di Palantir, ha recentemente scosso il torpore intellettuale della Silicon Valley con la pubblicazione del suo libro The Technological Republic: Hard Power, Soft Belief, and the Future of the West, scritto insieme a Nicholas W. Zamiska . In quest’opera, Karp lancia una critica feroce all’apatia che pervade l’industria tecnologica occidentale, accusandola di aver abbandonato la sua missione originaria di collaborazione con il governo per affrontare le sfide globali più pressanti.​

Testing Deliberative Democracy Through Digital Twins – Il pensiero di Luciano Floridi: filosofia dell’informazione, etica digitale e il futuro della società iperconnessa

Luciano Floridi è uno dei pensatori più influenti del nostro tempo nel campo della filosofia dell’informazione e dell’etica digitale. Il suo lavoro si colloca all’intersezione tra tecnologia, filosofia e società, offrendo una visione complessa e articolata sulle sfide e le opportunità della rivoluzione digitale. Attraverso i suoi scritti, Floridi ha sviluppato un quadro teorico che va ben oltre la semplice analisi delle tecnologie emergenti, toccando questioni profonde che riguardano la nostra identità, la conoscenza, il potere e il senso stesso dell’essere umano in un mondo sempre più interconnesso e automatizzato.

Le riflessioni di Floridi si concentrano su come l’informazione sia diventata la struttura portante del nostro mondo e su come l’umanità debba ripensare il proprio rapporto con essa. L’autore si sofferma su questioni etiche, epistemologiche e politiche, delineando un futuro in cui la tecnologia sarà sempre più pervasiva e determinante, ma in cui il fattore umano dovrà mantenere un ruolo centrale per evitare derive distopiche.

Scopri: Etica dell’intelligenza artificiale una guida indispensabile per il futuro Luciano Floridi

L’intelligenza artificiale non è solo un fenomeno tecnologico, ma una rivoluzione epistemologica che ridefinisce il nostro rapporto con il mondo. Luciano Floridi, uno dei filosofi più autorevoli nel campo dell’etica digitale, affronta il tema con il suo consueto rigore analitico in “Etica dell’intelligenza artificiale”, un libro che si propone come bussola per navigare le sfide e le opportunità dell’era onlife.

Il verde, il blu e il dilemma umano: riflessioni filosofiche sull’IA di Floridi

C’è un fascino sottile e perverso nell’analizzare la relazione tra intelligenza artificiale e società, soprattutto quando il discorso scivola dalla tecnica alla filosofia, dalla pragmatica all’etica. Il dibattito è pieno di dicotomie: progresso e controllo, autonomia e dipendenza, libertà e manipolazione. L’IA, si dice, potrebbe facilitare il benessere umano, ma solo se gestita con criteri chiari, evitando di trasformarsi in una forza fuori controllo, una divinità algoritmica capace di plasmare comportamenti senza che l’utente se ne renda conto.

Si parte da un concetto semplice: per essere efficace, un progetto basato sull’IA deve dimostrare di avere un impatto concreto e positivo sulla società, riducendo problemi senza generarne di nuovi. Peccato che questo principio teorico si scontri con la realtà della tecnologia, dove il confine tra innovazione e abuso è sottilissimo. Gli algoritmi sono spesso percepiti come strumenti neutri, ma la loro implementazione può introdurre distorsioni, discriminazioni e persino amplificare diseguaglianze.

Luciano Floridi e la nuova disciplina Content Studies: un manifesto per l’età digitale

L’instancabile Luciano Floridi, filosofo della tecnologia e tra i massimi esperti di etica digitale, ha recentemente proposto la creazione di una nuova disciplina accademica: le Content Studies. L’idea è semplice nella sua ambizione: costruire un framework interdisciplinare capace di analizzare, valutare e progettare i contenuti digitali in un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale e dagli ecosistemi mediatici algoritmici. Non un semplice ramo della semiotica, delle scienze della comunicazione o degli studi sui media, ma una sintesi metodologica capace di superare la frammentazione accademica e di fornire strumenti pratici per affrontare sfide cruciali come la disinformazione, l’accessibilità e il bias algoritmico.

Floridi parte da una constatazione: la mole di dati digitali prodotti negli ultimi anni ha raggiunto livelli esponenziali. Secondo le stime di Statista, nel 2023 il mondo ha generato circa 120 zettabyte di dati, un numero che supererà i 180 ZB entro il 2025. Gran parte di questa produzione è automatizzata e resa possibile da modelli generativi di IA, rendendo il contenuto digitale un’entità sempre più indipendente dall’essere umano. Questo scenario segna la fine dell’epoca Vitruviana, in cui ogni contenuto significativo si supponeva fosse prodotto esclusivamente dall’intelletto umano. Oggi viviamo in un mondo post-Vitruviano, in cui l’origine del contenuto è meno rilevante del suo impatto, delle sue dinamiche di circolazione e della sua efficacia comunicativa.

IA e scuola

L’IA e scuola: va utilizzata e come?

L’IA va usata a scuola? Quante volte ho visto nei compiti a casa “non usate chatgpt”? Ma è giusto o sbagliato utilizzare i LLM per fare i compiti a casa?
Voglio raccontarvi la mia idea di IA e scuola.Per farlo voglio parlarvi un po’ delle cose da tutti i giorni, senza parlare di aziende, bilanci, budget e vendite, ma di compiti a casa, interrogazioni, ricerche e verifiche. Mio figlio sta facendo la terza media, e già dall’anno scorso usa Copilot e altri tool per fare i compiti a casa.
“Ah! Si fa scrivere i temi da chatgpt!” questa è la frase che mi sono sentito dire, e la risposta è “No”.

Trump alza muri, la Cina apre le porte: la nuova era del capitalismo globale

Mentre Donald Trump continua a blindare l’economia americana con dazi e protezionismo, Pechino gioca la carta opposta: aprire nuovi settori agli investitori internazionali e mostrarsi come il faro della globalizzazione economica. Il premier cinese Li Qiang ha inviato un messaggio chiaro ai vertici del business mondiale riuniti al China Development Forum: la Cina è aperta, pronta ad accogliere capitali stranieri e determinata a essere il motore della crescita globale.

Se l’America di Trump si avvita su se stessa con barriere commerciali, la Cina si propone come l’alternativa logica per chi vuole fare affari senza i vincoli del protezionismo. Ma dietro questa apparente apertura, si nasconde una mossa calcolata: Pechino sa bene che la sua economia è sotto pressione e che il capitale straniero può essere la chiave per sostenere il proprio sviluppo.

Genialità o disastro? L’incredibile articolo senza senso generato da iOS e accettato a una conferenza

Un professore neozelandese è stato invitato a presentare il suo lavoro a un evento statunitense sulla fisica nucleare nonostante contenesse un linguaggio incomprensibile in tutta la copia. Un articolo accademico privo di senso sulla fisica nucleare, scritto solo tramite il completamento automatico di iOS, è stato accettato per una conferenza scientifica. Christoph Bartneck, professore associato presso il laboratorio di tecnologia dell’interfaccia umana dell’Università di Canterbury in Nuova Zelanda, ha ricevuto un’e-mail che lo invitava a presentare un articolo alla conferenza internazionale di fisica atomica e nucleare che si terrà negli Stati Uniti a novembre. (The Guardian)

AI che “scrive un articolo” accettato per la pubblicazione non è affatto una novità; in realtà, se risaliamo indietro al 2016, possiamo trovare un esempio curioso: la funzione di “autocompletamento” di Apple iOS aveva visto accettato un suo articolo per la pubblicazione alla “International Conference on Atomic and Nuclear Physics” negli Stati Uniti, come testimoniato da un link che ha suscitato non poche polemiche nella comunità accademica. L’idea di una macchina che produce lavori accettati da conferenze scientifiche solleva, ovviamente, interrogativi sulla validità e sull’autenticità del processo di ricerca accademica, ma questo episodio, per quanto peculiare, non è isolato.

L’intelligenza artificiale tra etica e ontologia: un nuovo paradigma del pensiero

“La questione se un computer possa pensare non è più interessante della questione se un sottomarino possa nuotare”. Edsger Wybe Dijkstra ha distillato, con la spietata lucidità che solo i grandi logici possiedono, l’essenza della nostra attuale ossessione per l’intelligenza artificiale. Essa non è pensiero, ma simulazione di pensiero, non è coscienza, ma emulazione di ciò che una coscienza farebbe se ne avesse una. L’AI non riproduce la mente umana, piuttosto ne riformula il senso, la necessità, il fine.

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