Il tema che l’intelligenza artificiale sappia scrivere meglio di chi lo ha imparato a scuola (rectius dall’intelligenza umana) sta sollevando una seria preoccupazione. L’informazione e la comunicazione, cui le nazioni reali affidano le loro conoscenze sullo storico e sul contemporaneo, stanno via via assumendo un ruolo diverso dal tradizionale cognitivo. Ciò in quanto così facendo alfabetizzano la storia e la cronaca sulla base non già di ciò che si è visto, ascoltato, amato, odiato, scovato con sacrificio e condiviso bensì su una statistica stressata. Dunque, una informazione e una comunicazione siffatte diventano, in una logica che sfugge al gnoseologico, più o meno apprezzate per il risultato che forniscono le fonti algoritmiche, elaborate sulla base dei dati posseduti e pesati in disponibilità miliardaria.
Autore: Ettore Jorio
Un mio amico, un vero scienziato in intelligenza artificiale e mio istitutore privato, mi ha insegnato una cosa fondamentale, ovverosia che in materia occorre camminare facendo due passi avanti, massimo tre, e uno indietro. Correre un po’ di più di come consigliava Lenin, in un suo saggio del 1904, di fare un passo in avanti e due indietro per dare modo di scegliere saputamente. Non solo. Mi ha insegnato che necessita dare certezza ai miliardi di dati di cui l’AI si nutre e non distrarsi minimamente dal suo essere strumento capace di autoalimentarsi, con tutti i rischi che ne conseguono.