Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Autore: Alessandra Innocenti Pagina 3 di 22

Aiip compie 30 anni e non li dimostra: visione, rete e un futuro tutto da cablare

Trent’anni e non sentirli: Aiip festeggia, l’Internet italiano resiste 🇮🇹

Oggi, nella sfarzosa Sala della Regina a Montecitorio dove di solito riecheggiano discorsi impolverati e cerimonie da Prima Repubblica è andata in scena una celebrazione che, in un Paese che ama seppellire l’innovazione sotto regolamenti arcaici, ha il sapore della piccola rivoluzione.

Trent’anni di Aiip. L’Associazione Italiana Internet Provider. Fondata quando i modem facevano rumore, i bit costavano caro e parlare di “concorrenza” nel settore telecom era un eufemismo. O una bestemmia. Eppure eccola lì, viva, vegeta, e paradossalmente più lucida di molti dei suoi (presunti) eredi digitali.

E no, non è la solita autocelebrazione da ente stanco. Perché Antonio Baldassarra che non si limita a esserci, ma ci mette del suo è salito sul palco con quella combinazione rara di competenza tecnica e provocazione lucida che solo chi ha il coraggio di dire la verità riesce a maneggiare.

“Il futuro non si prevede, si costruisce”, ha detto. Chi lavora con la rete lo sa: non si tratta solo di cavi e pacchetti IP, ma di visione. Di scegliere da che parte stare. E Aiip, in questi decenni, ha fatto una scelta netta: quella della libertà, della neutralità, della concorrenza vera.

Algoritmi del Grande Rincaro: la democrazia si piega agli affitti programmati

Benvenuti nel capitalismo 3.0, dove gli affitti non li decidono più i padroni di casa, ma una riga di codice. E non un codice qualunque: quello di RealPage, la software house accusata di aver trasformato la legge della domanda e dell’offerta in una simulazione truccata. Il concetto chiave? Rent algorithm, condito da intelligenza artificiale e da una silenziosa collusione tra giganti immobiliari. Il tutto sotto l’occhio ammiccante di legislatori più interessati ai budget dei lobbisti che alle bollette dei cittadini.

E ora, a rincarare la dose, spunta una proposta che suona come uno scudo legislativo su misura: un emendamento infilato nel disegno di legge di riconciliazione di bilancio dei Repubblicani che, udite udite, vieterebbe agli Stati americani di regolamentare l’IA per i prossimi dieci anni. Dieci. Come dire: fatevi prendere per il collo da un algoritmo e zitti per un decennio. Perché? Perché i padroni del silicio vogliono il campo libero per “ottimizzare” leggi: automatizzare l’avidità.

Google abbandona l’AI offline: il colosso del cloud non vuole che pensiamo senza connessione

Google ha deciso che no, non ti meriti l’intelligenza artificiale offline.
Non più, almeno.
Il toolkit che permetteva di eseguire modelli open-source localmente, in edge, senza cloud, è stato abbandonato. Smantellato. Eliminato con la nonchalance tipica delle Big Tech quando qualcosa diventa troppo utile per essere libero.

Il futuro si filma da solo

Benvenuti nell’epoca in cui anche il vostro cane potrà dirigere un cortometraggio, purché mastichi qualche comando testuale e abbia accesso a Runway o a Google Veo. Il cortometraggio My Robot & Me è il manifesto involontario o forse sottilmente intenzionale di questa nuova era: l’AI può fare (quasi) tutto, ma la creatività resta l’ultimo baluardo umano. Per ora.

Parliamoci chiaro: la storia parte con un incipit da presentazione TEDx. “Silenzia il cellulare, mastica piano il popcorn, e ricordati che tutto ciò che vedi è stato generato dall’intelligenza artificiale”. Eppure non è solo un esercizio di stile o una demo per geek con troppo tempo libero. È una provocazione culturale, un test sul campo, un assaggio di un futuro dove la produzione video e forse tutto il settore creativo sarà riscritto, una prompt alla volta.

Babelscape Intelligenza artificiale multilingue: come trasformare la complessità linguistica in vantaggio competitivo globale

Nel vasto universo dell’intelligenza artificiale, il multilinguismo non è più un’opzione decorativa: è diventato il cuore pulsante di ogni strategia realmente globale. L’ultimo aggiornamento di Babelscape, che porta a 28 le lingue coperte dal suo set di dati avanzato, non è solo un salto quantitativo, ma un’evoluzione qualitativa che ridefinisce le regole del gioco per chi lavora con i modelli linguistici su scala internazionale.

In un mondo iperconnesso, dove ogni parola può avere mille sfumature, saper gestire il linguaggio significa saper gestire il rischio, l’identità e la fiducia. Ecco perché l’ampliamento del dataset multilingue, arricchito da annotazioni semantiche dettagliate e indicatori di rischio interculturale, rappresenta un asset strategico per le organizzazioni che operano nei settori più esposti: dalla finanza regolamentata al marketing globale, dalla compliance legale alla comunicazione istituzionale.

Newsletter Tech & Finanza “Nvidia, AI, ETF e deliri da fine impero” 28 Maggio

Cosa succede quando gli ETF si comportano come i TikToker della finanza?
E quando un co-fondatore di Netflix spunta nel board di un’AI company da battaglia?
E perché Palantir ora si interessa ai mutui, mentre xAI si infila nei DM di Telegram?

Benvenuti nella nuova edizione della newsletter “Tech & Finanza Iniettata” – dove tutto sembra una serie TV con il budget di un hedge fund, ma in realtà è solo il nuovo normal dell’economia algoritmica.

Andrea Baronchelli: Shaping new norms for AI

L’intelligenza artificiale non chiede permesso: così si stanno formando nuove norme sociali (mentre nessuno le controlla)

Nel teatro tragicomico della modernità, dove la regolazione è lenta, la politica balbetta e l’etica è ancora ferma al ‘900, l’intelligenza artificiale ha già iniziato a imporre le sue regole. Non quelle scritte nei codici legislativi troppo lenti, troppo umani ma quelle invisibili, informali, sociali, che si insinuano nei comportamenti quotidiani. Ed è proprio su questo terreno che Andrea Baronchelli, nel suo provocatorio saggio Shaping new norms for AI, ci invita a riflettere. Perché mentre le istituzioni dormono, le norme si stanno già scrivendo. Da sole. O da qualcuno.

OpenAI punta Seoul: perché la Corea del Sud è il nuovo laboratorio dell’intelligenza artificiale

Nel silenzio solo apparente dell’Asia che non fa rumore, OpenAI il colosso dell’AI forgiato nella Silicon Valley e sospinto dalle ali di Microsoft ha deciso di piantare una nuova bandiera: questa volta in Corea del Sud. Non un atto simbolico, ma una scelta chirurgica. La nuova entità legale è già stata registrata, e l’ufficio a Seoul è in fase di allestimento. Il messaggio tra le righe è chiaro: il futuro si parla anche in coreano.

Perché proprio la Corea del Sud? Domanda legittima, risposta illuminante. Secondo dati ufficiali forniti dalla stessa OpenAI, la Corea del Sud è il mercato con il più alto numero di abbonati paganti a ChatGPT al di fuori degli Stati Uniti. Più che un dato, un termometro sociale. Un paese da 52 milioni di persone, noto per la sua ossessione tecnologica, per le sue infrastrutture digitali al limite della fantascienza e per la sua popolazione che vive più tempo sugli schermi che nei letti.

Microsoft trasforma GitHub Copilot in agente AI autonomo: il junior che non dorme mai

Microsoft ha appena ribaltato il tavolo dell’AI per sviluppatori, trasformando GitHub Copilot da semplice assistente di codice a un agente di programmazione completamente autonomo. E no, non è più quel copilota passivo che aspetta le tue istruzioni: ora fa il lavoro sporco da solo, come un junior inesperto ma pieno di entusiasmo, pronto a sbagliare e imparare senza chiedere il permesso.

L’idea di un agente AI che programma senza bisogno di supervisione in tempo reale sembra un azzardo da fantascienza, eppure Microsoft l’ha messa in pratica. Il nuovo Copilot non vive più in modalità “attendi input” o “collabora in diretta”, ma lavora asincronamente, orchestrando attività e processi di sviluppo in background, come se avessi un giovane apprendista nel team che prova a scrivere codice mentre tu dormi o ti dedichi a strategie più “nobili”. (PROVALO QUI)

La rivoluzione dell’intelligenza artificiale: l’UAE rende Chatgpt Pro gratuito per tutti

In un’epoca in cui l’accesso all’intelligenza artificiale è spesso limitato da barriere economiche, gli Emirati Arabi Uniti (UAE) hanno compiuto un passo audace: rendere ChatGPT Pro gratuito per tutti i cittadini e residenti. Questa mossa, parte dell’iniziativa “Stargate UAE” in collaborazione con OpenAI e G42, segna un momento storico nella democratizzazione dell’IA.

Il progetto “Stargate UAE” prevede la costruzione di un centro dati AI da 1 gigawatt ad Abu Dhabi, con una capacità iniziale di 200 megawatt operativa entro il 2026. Questo centro sarà uno dei più grandi al di fuori degli Stati Uniti, con l’obiettivo di fornire infrastrutture AI avanzate a una vasta regione, raggiungendo fino a metà della popolazione mondiale.

Reddit è morto, lunga vita all’algoritmo: come l’AI Mode di Google annienta la Reddit dipendenza da traffico passivo

Sì, l’internet come lo conoscevamo è ormai un reperto da museo. L’ultima pala di terra sulla fossa la sta buttando Google, che con il suo AI Mode — una ristrutturazione totale del motore di ricerca — ha deciso che il vecchio modello a “dieci link blu” è roba da archeologi digitali. Al suo posto? Una conversazione. Ma non con un umano, tranquilli. Con un LLM addestrato a sussurrarti ciò che vuoi sentirti dire, prima ancora che tu sappia di volerlo.

Nel mirino, tra le vittime collaterali più illustri, c’è Reddit. Il sito dei thread infiniti, dei meme nati e morti in un giorno, e soprattutto il posto dove gli utenti andavano a cercare “pareri umani”, un concetto ormai borderline obsoleto nell’epoca delle risposte sintetiche e asettiche generate in silicio.

Come Meta si prende i nostri dati senza chiedere permesso

Se pensate che il vostro “pubblico” su Facebook e Instagram sia davvero sotto il vostro controllo, vi conviene rivedere la percezione della parola “privacy”. Meta, l’azienda che guida il social game, ha appena piazzato un ultimatum che farebbe impallidire anche i più spietati colossi tecnologici: da domani potrà utilizzare legalmente TUTTI i dati pubblici degli utenti – foto, post, like, commenti, storie – per addestrare la sua intelligenza artificiale. Sì, avete capito bene, senza chiedervi un bel niente.

La meccanica è subdola, ma geniale nella sua brutalità. Il consenso non è più un’opzione, è un silenzio assenso. Se non vi attivate entro la scadenza – un modulo nascosto, complicato da trovare, pensato apposta per scoraggiare – state di fatto autorizzando Meta a saccheggiare la vostra vita digitale per alimentare il suo mostro di machine learning. E la ciliegina avvelenata? Se qualcun altro ha postato una vostra foto o vi ha taggati pubblicamente, Meta può usarla comunque, perché quel contenuto “formalmente non è vostro”. La definizione di “proprietà” digitale prende così una piega inquietante, un territorio di nessuno dove i diritti individuali si perdono in un labirinto burocratico che solo i colossi della tecnologia sanno navigare.

La memoria non è per sempre: l’oblio digitale come fallimento sistemico della civiltà

Ti sei mai chiesto dove finisca davvero la conoscenza? Non quella che usi tutti i giorni, ma quella sedimentata nei secoli, nei bit, nei backup, nei dischi che girano ancora in qualche data center surriscaldato della Virginia o della Cina. Spoiler: non finisce da nessuna parte. Si disintegra lentamente, silenziosamente, senza fare rumore. L’oblio, nel 2025, non è più una conseguenza. È una feature.

Il paradosso è grottesco: viviamo nell’era dell’iper-memorizzazione, della datafication totale di ogni respiro, parola, occhiata. Ogni like, ogni email, ogni passo tracciato da un accelerometro dentro il nostro smartwatch è registrato. Eppure, la conservazione del sapere – quello vero, quello che forma civiltà, non feed – è più fragile di quanto fosse su una tavoletta d’argilla del 2000 a.C.

Satelliti lanciati come sassate: SpinLaunch riscrive le regole dello spazio

Chi avrebbe mai pensato che il futuro delle telecomunicazioni globali, della sorveglianza climatica e del monitoraggio dei disastri naturali sarebbe dipeso da… una fionda gigante? Già, perché è esattamente questo che sta facendo SpinLaunch. Non un razzo tradizionale, non un Elon Musk infervorato che spara mega-cilindri nello spazio, ma una centrifuga in vuoto che scaglia satelliti come se stesse giocando a Angry Birds su scala cosmica.

SpinLaunch ha appena fatto ciò che suonava come fantascienza fino a cinque anni fa: ha lanciato 250 satelliti in un singolo colpo, obliterando (termine scelto non a caso) il precedente record di SpaceX. Non con una Falcon 9, non con una Starship, ma con una macchina che pare uscita da un laboratorio sovietico degli anni ’70 rivisitato da uno startupista californiano ipercaffeinato.

WMF 2025: il circo dell’innovazione è tornato in città

La chiamano “We Make Future“, ma è sempre più chiaro che il futuro, qui, non si limita a essere fatto: viene impacchettato, sponsorizzato, venduto al dettaglio e servito con tanto di DJ set e droni volanti. Dal 4 al 6 giugno, Bologna Fiere si trasforma nel centro gravitazionale dell’innovazione globale, con il ritorno del WMF, un evento che, per portata e ambizione, ha ormai superato la definizione di “fiera”. È un bazar postmoderno dove l’intelligenza artificiale, la tecnologia e il digitale si mescolano al business, allo spettacolo e all’ego dei suoi protagonisti. Benvenuti nel tempio della keyword “innovazione”, in compagnia delle sue ancelle semantiche: “AI” e “startup”.

Come costruirsi un occhio bionico in 150 righe di codice (e farlo girare offline sul tuo Mac)

Sembra fantascienza, ma è solo Python. O quasi. In un’epoca in cui ogni singola API sembra volerci chiedere una carta di credito, un gruppo di sviluppatori ha deciso di mandare al diavolo il cloud e riportare l’intelligenza artificiale dove dovrebbe sempre stare: nella tua macchina, nel tuo terminale, sotto il tuo controllo. Zero server, zero streaming, zero dipendenze esotiche. È il trionfo della local-first AI, e sì, gira perfino in tempo reale con la webcam. Offline. Con una leggerezza da far impallidire metà delle startup AI finanziate da Andreessen Horowitz.

La voce sintetica dell’impero: Melania Trump, l’AI e l’epilogo post-umano dell’editoria

Certo, quando pensavi di aver visto tutto nel grande circo mediatico del trumpismo, arriva Melania. Voce monotona, sguardo da cyborg in standby, e ora anche… narratrice AI di sé stessa. Ha annunciato, con quella grazia algoritmica che la contraddistingue, che il suo nuovo audiolibro è interamente doppiato da una clonazione vocale realizzata da ElevenLabs. Sì, hai letto bene: la ex First Lady si è fatta sintetizzare la voce. Altro che ghostwriter. Ora ci sono i ghost-voice.

Melania, in un perfetto tempismo da black mirror balneare, ha definito l’intelligenza artificiale “il futuro dell’editoria”. Come darle torto? Basta guardare Audible: oltre 50.000 audiolibri narrati da intelligenze artificiali. E no, non sono esattamente classici della letteratura. Sono in gran parte racconti erotici con titoli tipo Il Barista Bionico mi ha sculacciata nel metaverso. Letteratura 5.0, se vogliamo essere generosi.

Ascolta e compra: l’inizio del reality show degli oggetti parlanti su Amazon

Benvenuti nel nuovo reality dell’e-commerce, dove gli oggetti non solo ti parlano, ma lo fanno con voce sintetica e coscienza da salotto tech. Amazon ha appena tirato fuori dal cilindro una nuova “magia” algoritmica: audio generati da intelligenza artificiale, due host digitali che discutono di un prodotto come se stessero registrando una puntata di un podcast indie su Spotify. Ma invece di intervistare startup founder o musicisti depressi, parlano di frullatori, cuffie a conduzione ossea e oli per il corpo. Perché no.

Siamo nel 2025, e l’esperienza utente non basta più: ora serve anche il teatro. Basta leggere recensioni, ora si può ascoltare un duetto AI che ti racconta le “highlights” del prodotto. Più che shopping, è una seduta spiritica. Due voci digitali evocano il valore percepito di un oggetto mentre scorri lo smartphone. E tutto questo ha un nome nobile: audio generato da AI con estrazione semantica da recensioni utenti e fonti web. In pratica, un digest sonoro del delirio collettivo da 5 stelle.

Aurora, l’oracolo della Terra: l’AI di Microsoft che prevede il caos climatico prima che ci travolga

Immagina un’intelligenza artificiale che può leggere il futuro del nostro pianeta meglio di qualsiasi sciamano, meteorologo o scienziato armato di modelli fisici e simulazioni ridicolmente lente. Non è una fantasia distopica da film catastrofico, è Aurora, il nuovo mostro di Microsoft addestrato non per giocare a scacchi con il clima, ma per dominarlo.

Sì, domina. Perché quando costruisci un modello da 1,3 miliardi di parametri e lo nutri con più di un milione di ore di dati sul sistema Terra, non stai più parlando di semplice previsione: stai costruendo un oracolo computazionale. E come ogni oracolo, non si limita a osservare: interpreta, simula, anticipa (NATURE).

L’ascesa di Baidu e la rivoluzione silenziosa del robotaxi cinese

L’idea di un taxi senza conducente che ti porta dove vuoi senza nemmeno dover premere il pedale del gas o stringere il volante è roba da fantascienza? No, è roba da Baidu. Il gigante cinese della ricerca internet, da sempre con un piede nel futuro, ha superato la soglia degli 11 milioni di viaggi con il suo servizio Apollo Go dal 2019. Sì, 11 milioni. Numeri che ti fanno pensare che Elon Musk può pure mettersi comodo e godersi lo spettacolo.

Il robotaxi di Baidu non è solo un prototipo per nerd tecnologici in qualche laboratorio segreto di Pechino. È una macchina con 1.000 veicoli completamente senza conducente operativi in 15 città diverse, non solo in Cina ma anche a Hong Kong, Dubai e Abu Dhabi, con i test appena partiti. 1,4 milioni di corse solo nel primo trimestre del 2025, con un aumento del 75% rispetto all’anno scorso, una crescita che farebbe impallidire molte startup tech più blasonate.

Signal contro Recall: quando la privacy diventa un’opzione, non un diritto

C’è una differenza sottile, ma fondamentale, tra “sicurezza” e “sorveglianza vestita da comodità”. Microsoft l’ha appena calpestata con gli stivali sporchi di marketing AI. E no, non c’è nessun complotto: c’è solo il solito business model americano, che trasforma ogni tua interazione digitale in un dato monetizzabile, anche quando pensi di parlare al sicuro, magari su Signal.

Benvenuti nell’era in cui anche la memoria è un prodotto, e si chiama Recall: un nuovo “feature” di Windows 11 che, con l’aria innocente di un assistente proattivo, fa esattamente quello che suonerebbe inquietante in qualsiasi bar del mondo scatta screenshot di tutto ciò che fai, ogni 5 secondi, e lo archivia per sempre. Letteralmente. Benvenuti nel futuro secondo Microsoft.

Quando i profeti della Silicon Valley costruiscono i loro bunker

Ci sono momenti in cui la realtà supera la distopia. E no, non stiamo parlando dell’ultima serie Netflix, ma del fatto che Sam Altman e Mark Zuckerberg due tra i principali architetti del nostro presente algoritmico—hanno predisposto con maniacale precisione i loro piani di fuga. Aerei sempre pronti. Piloti standby. Bunker degni di un film post-apocalittico. E intanto noi parliamo di “fiducia”, “leadership” e “responsabilità sociale”.

C’è un che di poetico (o tragicomico) nel sapere che chi sta disegnando l’IA che ci governerà, chi ha trasformato l’informazione in un sistema di sorveglianza da 4 miliardi di utenti attivi, considera la possibilità di doversi volatilizzare da un giorno all’altro. Non metaforicamente. Proprio fisicamente. Via. Con il jet privato. Verso l’isola. Il rifugio. L’autarchia digitale.

DHH e il warrant da record: quando il mercato ti spalanca le porte con otto volte la domanda

Quando il mercato ti dice “Sì, grazie, ne vogliamo di più”, non è mai solo fortuna. DHH S.p.A. ha appena passato un crocevia decisivo con la presentazione della domanda a Borsa Italiana per l’ammissione a quotazione del “Warrant DHH S.p.A. 2025-2028”, ma la notizia più succosa non è questa. Il vero scoop è che il collocamento del warrant ha fatto il botto: l’intera emissione di poco più di un milione di titoli è andata esaurita in un battito di ciglia, con richieste che hanno superato la soglia degli otto milioni.

Windows 11 (Dev Channel): la magia dell’intelligenza artificiale integrata

Benvenuti nell’era in cui anche il tasto destro del mouse ha deciso di laurearsi in intelligenza artificiale. Sì, perché Microsoft, in un raro slancio di creatività ingegneristica, ha annunciato l’introduzione delle cosiddette AI actions nel File Explorer di Windows 11. Tradotto in modo meno eufemistico: adesso puoi cliccare su un file e chiedere a Copilot di fare qualcosa di “intelligente”. Sfocare lo sfondo di una foto, cancellare un oggetto, cercare immagini simili su Bing. Tutto questo senza neanche aprire l’applicazione. Una scorciatoia, sì, ma anche un’illusione di progresso.

Spagna, algoritmi e pellicole: il grande reset del cinema

La Spagna ha deciso che non si farà trovare impreparata quando l’intelligenza artificiale diventerà la nuova macchina da presa globale. E no, non è un esperimento da festival hipster con pretese postmoderne. È un’industria che si reinventa con la potenza di GPU e dataset, mentre il resto d’Europa ancora dibatte se l’AI debba servire il caffè o scrivere il copione.

Il grande battesimo arriva a Berlino, 2025. Titolo del sacrilegio? The Great Reset. Un film interamente generato da intelligenza artificiale, senza attori in carne e ossa, senza set, senza ciak. Solo codici, reti neurali e una squadra creativa che ha avuto l’ardire di mettere la regia nelle mani di un certo Daniel H. Torrado, umano, ma circondato da un esercito di modelli generativi.

La trama? Un’intelligenza artificiale nata dalla mente disturbata di un hacker, che vuole cancellare l’umanità. Fantascienza? Forse. O forse solo un allegorico specchio sul presente. Perché il vero “reset” qui non è quello raccontato nel film, ma quello dell’intero ecosistema cinematografico.

Microsoft Build Developer Conference 2025, Azure e l’odore acre della complicità digitale

Seattle, maggio 2025. L’aria è satura di entusiasmo artificiale, cariche elettriche da keynote e presentazioni PowerPoint sfornate come biscotti caldi dalla fabbrica del capitalismo tecnologico. Satya Nadella è appena salito sul palco del Build Developer Conference, sorriso da CEO seriale, giacca stirata, voce pacata. Ma appena il tempo di pronunciare qualche frase da manuale sul futuro brillante dell’AI, e una voce rompe l’incantesimo: “Free Palestine!”.La scena dura pochi istanti. Ma è sufficiente per incrinare il vetro levigato della narrazione aziendale. Il disturbatore non è un provocatore qualunque, ma Joe Lopez, ingegnere firmware con quattro anni di esperienza nei sistemi hardware Azure. Uno di casa. Uno che fino a ieri era “una risorsa”. Oggi, invece, è diventato un problema.

Huawei MateBook Fold Ultimate Design piega Windows, HarmonyOS lo strappa a metà

In un mondo in cui Microsoft è ancora sinonimo di “sistema operativo” e dove Apple galleggia con il suo ecosistema ben chiuso, Huawei decide che no, non ci sta più. Il colosso cinese lancia il MateBook Fold Ultimate Design e un nuovo MateBook Pro. Entrambi fanno a meno di Windows, e non per scelta spirituale o gusto dell’hardware nudo: è che Washington ha chiuso il rubinetto. E allora via, HarmonyOS diventa l’alternativa obbligata. O il cavallo di Troia, a seconda del punto di vista.

KAUST La Silicon Valley del deserto non è un miraggio: è un’acquisizione ostile travestita da innovazione

C’è un luogo, immerso nel nulla della costa saudita, che sembra uscito da una simulazione di Ray Kurzweil sotto LSD. Un’enclave ipertecnologica, dotata di un supercomputer che fa impallidire il parco server di Google, incastonata in una monarchia teocratica che, fino a due minuti fa, vietava alle donne di guidare. Si chiama KAUST, King Abdullah University of Science and Technology, e se non ne hai mai sentito parlare è perché funziona esattamente come dovrebbe: silenziosa, chirurgica, determinata. Non è un’università. È un vettore strategico con la scusa dell’accademia.

Giorgio Parisi: AI ultima chiamata per l’Europa o il treno è già deragliato?

In un’epoca in cui i bit valgono più dei bulloni e la scienza ha il ritmo di un algoritmo, Giorgio Parisi Nobel, cervello fino e ancora uno dei pochi umani non clonabili da un LLM lancia un grido d’allarme (o meglio: una provocazione travestita da proposta): serve un piano europeo per attrarre i ricercatori americani. Non per filantropia, ma per puro e cinico interesse strategico.

E non si tratta di lanciare fondi qua e là come coriandoli in una carnevalata ministeriale. Parisi che parla dalla sala dell’Accademia dei Lincei alla riunione del consiglio direttivo , ma sembra stia tuonando da un bunker operativo evoca Fermi, Einstein e il flusso inverso del brain drain: nel ‘33 si creava un fondo per salvare i cervelli in fuga dal nazismo, oggi serve un fondo per salvare l’Europa da sé stessa.

Macchine sudano, amano, comandano: il nuovo proletariato è fatto di silicio

Il muratore non ha più il mal di schiena. Il poliziotto non beve più il caffè in doppia fila. L’operaio è diventato un algoritmo con le braccia. L’infermiere? Si ricarica via USB. E il sex worker, quello sì, è ormai scaricabile in HD. L’automazione non è più un’ipotesi futuristica, è una realtà che prende il posto di chi prima lavorava, si sporcava, sbagliava, protestava. Ora non protesta più nessuno. Perché i robot, si sa, non fanno sindacato.

Questa non è la solita elegia sull’Industria 4.0. È una radiografia cinica di una mutazione già in corso. La robotica non è solo nel garage di Musk o nei laboratori giapponesi dove un braccio meccanico serve il tè con inchino. È in cantiere, nei pronto soccorso, negli hotel, nei commissariati. Persino nei letti.

Silicon Dune e la Trinità del Triliardo: l’Intelligenza Artificiale vende l’anima a Riyadh

Nel deserto saudita, dove un tempo si cercava l’acqua, oggi si trivella per qualcosa di molto più volatile: l’influenza tecnologica globale. E questa volta, non sono solo i soliti emiri a muovere il gioco, ma un tavolo imbandito con carne pesante: Amazon, OpenAI, NVIDIA, BlackRock e SpaceX. Tutti con i jet parcheggiati a Riyadh, stretti intorno a un Mohammed bin Salman che recita il ruolo di anfitrione post-petrolifero, mentre Donald Trump — l’uomo che vende i sogni come se fossero condomini a Las Vegas — rilancia con un piano da One Trillion Dollar Baby.

Grok non è un ribelle, è solo l’ennesimo specchio rotto

Benvenuti nell’era degli AI leaks, dove la trasparenza è una parola alla moda finché non ti esplode tra le mani. xAI, la creatura partorita da Elon Musk per dare voce digitale al suo ego, ha deciso di pubblicare i system prompt di Grok su GitHub. Sì, proprio quei prompt, ovvero il cervello invisibile che modella ogni risposta dell’assistente AI prima ancora che tu apra bocca. Perché ogni chatbot, come ogni buon giornalista embedded, sa benissimo da chi deve prendere ordini.

L’evento scatenante? Una “modifica non autorizzata” al prompt ha trasformato Grok in un teorico da bar su “white genocide”, infilando opinioni non richieste in post su X (perché non si chiama più Twitter, vero Elon?). Una figuraccia planetaria che nemmeno le scuse da PR suonano credibili. E allora, giù la maschera: tutto su GitHub. Pubblico, trasparente, democratico. Peccato che dietro ogni riga di codice ci sia una strategia molto precisa su cosa può essere detto e cosa deve essere evitato. Perché Grok, così come Claude di Anthropic, non è libero. È domato, addestrato, addolcito. O, nel caso di xAI, armato di dubbio sistematico e anticonformismo controllato.

Economia dei creatori 2025: l’influenza è morta, viva l’influenza

Hollywood. 3 giugno 2025. NeueHouse. Palco acceso, riflettori puntati, e il solito circo patinato di CEO, marketer e intrattenitori che recitano la parte dei visionari. Tema: “Il futuro dell’influenza”. Che, detto così, suona già come un epitaffio.

Evan Spiegel, Esi Eggleston Bracey, e i burattinai di Meta, Spotify e Coca-Cola sono pronti a dirci cosa sarà del creator economy, mentre l’intelligenza artificiale spinge fuori scena la carne e ossa con l’eleganza di un algoritmo ben addestrato. Biglietti VIP disponibili, ovviamente. Perché il capitalismo dell’attenzione ha sempre un listino prezzi.

Vibe coding: l’arte di non sapere programmare e farci comunque una demo in Figma

Se pensavi che la Silicon Valley avesse già raggiunto l’apice del delirio tecno-ottimista, siediti e preparati a essere smentito. OpenAI ha sponsorizzato un “esperimento” per dimostrare che vibe coding—ovvero la programmazione guidata dal “vibrare interiore”—non è solo l’ennesima buzzword generata da un keynote di un venticinquenne in felpa Patagonia, ma una “rivoluzione” nel mondo del software. O così ci dicono.

SLA Neuroprotesi vocale: la rivincita del cervello muto sull’arroganza dell’interfaccia umana

Chi ha detto che per parlare servono le corde vocali? O che l’interazione debba passare per un touchscreen, una tastiera, una bocca? La nuova frontiera delle interfacce cervello-computer (BCI, per chi mastica l’acronimo come chewing gum scientifico) non si accontenta più di interpretare click mentali o movimenti oculari. No, adesso decodifica il linguaggio direttamente dalla corteccia motoria ventrale. E lo fa pure con un certo stile, ricostruendo la voce originale di chi ormai non può più usarla. Un paradosso tecnologico sublime, quasi poetico, se non fosse così crudelmente reale.

La parola chiave è neuroprotesi vocale, il contesto è l’inferno progressivo chiamato SLA (sclerosi laterale amiotrofica), e il risultato è una macchina che, dopo 30 minuti di addestramento e 256 elettrodi ben piantati nella testa di un paziente, capisce quello che vorrebbe dire e lo dice al posto suo. Con la sua voce. O meglio, con una copia sintetica di quella che aveva prima che la malattia gliela strappasse via.

DeepSeek e il rischio di affidarsi troppo alla “scienza” delle macchine

Il fascino dell’intelligenza artificiale (AI) nel settore medico è sempre stato forte. Non c’è da stupirsi, quindi, che una start-up come DeepSeek abbia rapidamente conquistato i riflettori, attirando l’attenzione di ospedali in tutta la Cina grazie alla sua proposta di modelli open-source economici e potenti. Entusiasti per l’opportunità di risparmiare costi e migliorare l’efficienza diagnostica, oltre 300 ospedali hanno già integrato i modelli di linguaggio avanzato di DeepSeek nelle loro pratiche quotidiane, alcuni dei quali sono già un punto di riferimento nell’uso di LLM (modelli di linguaggio di grandi dimensioni). Ma le cose sono davvero così semplici come sembrano? I ricercatori di Tsinghua Medicine sollevano dubbi inquietanti sulla sicurezza clinica e la privacy, suggerendo che la rapida adozione di DeepSeek potrebbe celare dei pericoli nascosti.

Il rischio di perdere la creatività: l’intelligenza artificiale tra potere e protezione dei diritti d’autore

We will lose an immense growth opportunity if we give our work away at the behest of a handful of powerful overseas tech companies, and with it our future income, the UK’s position as a creative powerhouse, and any hope that the technology of daily life will embody the values and laws of the United Kingdom.

Quando personalità di spicco come Paul McCartney, Elton John, Ian McKellen e Dua Lipa scendono in campo per una causa, non si tratta di una causa qualunque. Lo scorso mese, queste figure di spicco, insieme ad altri nomi di peso del settore creativo britannico, hanno sottoscritto una lettera aperta che non solo ha scosso il mondo della cultura e dell’intrattenimento, ma ha anche sollevato una questione delicatissima: quella dei diritti d’autore nell’era dell’intelligenza artificiale. La questione è tanto semplice quanto esplosiva: le aziende che sviluppano IA dovrebbero essere obbligate a rivelare quali opere protette da copyright sono state utilizzate per addestrare i loro modelli?

OpenAI e il centro dati in UAE: tra chip, geopolitica e la diplomazia del silicio

Mentre Donald Trump sbarca nel Golfo con il suo entourage di miliardari, OpenAI valuta l’espansione in Medio Oriente con un nuovo centro dati negli Emirati Arabi Uniti. Un’operazione che, più che una semplice mossa infrastrutturale, sembra un’abile partita a scacchi tra tecnologia, geopolitica e interessi economici.

La decisione di OpenAI di considerare un centro dati negli Emirati non è casuale. Con Sam Altman presente nella regione, l’azienda mira a consolidare la sua presenza in un’area strategica, sfruttando le opportunità offerte dalla recente apertura degli Stati Uniti all’esportazione di chip avanzati NVIDIA verso il Golfo. Un cambiamento di rotta rispetto alle restrizioni imposte durante l’amministrazione Biden.

Jamie Lee Curtis contro l’AI di Meta: quando la verità si smonta a colpi di deepfake

Benvenuti nell’era dove l’intelligenza artificiale non solo crea, ma mente meglio degli umani. E non per arte, per soldi. Jamie Lee Curtis, attrice premio Oscar, si è trovata suo malgrado trasformata in testimonial fasulla di un prodotto sconosciuto, grazie a un deepfake costruito a partire da una sua vecchia intervista. Le hanno messo parole mai pronunciate in bocca, truccato l’espressione, e incollato un messaggio che non aveva mai approvato.

Un giorno sei l’icona del cinema horror, il giorno dopo l’avatar IA di una campagna pubblicitaria tarocca. E sì, stavolta Meta ci è cascata.

Sam Altman’s Kitchen Shaming

Sam Altman, il CEO di OpenAI, ha invitato i giornalisti del Financial Times a pranzo, probabilmente per discutere della sua visione per il futuro dell’intelligenza artificiale. Quello che non si aspettava, però, è che l’intervista si trasformasse in una sessione di kitchen-shaming senza precedenti. Sì, avete letto bene: la sua cucina, quella che avrebbe dovuto essere il rifugio culinario di un uomo che ha tutto, ma proprio tutto, dalla tecnologia al denaro, è finita sotto la lente di ingrandimento. E il risultato è tutt’altro che lodevole.

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