Il ritorno di Trump: un paese sull’orlo del baratro

La notte del 2024 ha visto il paese oscillare tra speranza e disillusione, mentre la sfida elettorale si dipanava come un dramma già scritto, destinato a finire con un epilogo che molti avevano previsto, ma che pochi avevano desiderato. Alle 2:24 del mattino, in un’atmosfera di angoscia palpabile, lo stato della Pennsylvania è stato assegnato a Donald Trump, segnando la fine di una battaglia che si è estesa su tutti gli angoli della nazione. Non era una vittoria clamorosa, ma la conclusione inevitabile di un ciclo che sembrava destinato a ripetersi. La retorica del “Make America Great Again” non era cambiata, ma nel frattempo il paese stava cambiando, forse irreparabilmente.

Aggiornamento ore 10.30 ET

Trump aveva ormai conquistato Georgia e Pennsylvania, stati che nel 2020 gli erano sfuggiti, ma che ora tornavano sotto il suo controllo. La matematica dei voti elettorali parlava chiaro: 267 grandi elettori a suo favore, contro i 224 di Kamala Harris. Solo quattro stati restavano da conteggiare, ma con una certezza quasi dogmatica: Michigan, Wisconsin, Arizona e Nevada avrebbero seguito lo stesso destino di Pennsylvania e Georgia, chiudendo il cerchio. Trump stava per riconquistare la presidenza, diventando il secondo uomo nella storia americana a vincere due mandati non consecutivi, ma a quale prezzo?

Nel suo discorso, rivolto ai suoi sostenitori in quella che sembrava più una manifestazione di auto-celebrazione che una dichiarazione di servizio al popolo, Trump si è detto pronto a combattere per l’America. “Ogni singolo giorno lotterò per voi, con ogni respiro nel mio corpo,” ha dichiarato, come un re che rivendica la propria sovranità. L’effetto era quello di un uomo che, sebbene si proclamasse il salvatore della nazione, non riusciva a mascherare l’orgoglio che traspariva da ogni parola. La sua promessa di restituire all’America una “età dell’oro” suonava più come il preludio di una nuova era di divisione, piuttosto che di unità.

La figura di Kamala Harris, dall’altra parte, rimaneva lontana dalla scena. La sua campagna, ormai battuta, aveva scelto il silenzio come unica risposta alla crescente inevitabilità della sconfitta. Cedric Richmond, co-presidente della sua campagna, dichiarava che Harris non avrebbe parlato quella notte, come se il silenzio fosse l’unico modo per evitare di affrontare la realtà di una nazione sempre più spaccata. Non c’era posto per l’incertezza in un mondo dove il destino sembrava essere scritto in anticipo, come se la politica fosse ormai solo una formalità, una facciata dietro cui si celavano decisioni già prese altrove.

Nel frattempo, il Senato degli Stati Uniti passava sotto il controllo dei repubblicani, con due seggi ribaltati in West Virginia e Ohio. Non c’era più spazio per illusioni: la macchina politica era inesorabile, e il sistema che la alimentava non mostrava alcun segno di stanchezza. La vittoria di Trump non era solo personale, ma il risultato di un sistema che, pur essendo sotto pressione, aveva trovato la sua nuova incarnazione, più autoritaria e concentrata che mai.

Anche la Camera dei Rappresentanti sembrava destinata a cadere in mani democratiche, ma i giochi erano ancora aperti, e il risultato finale dipendeva dalle forze oscure che regolano la politica nazionale. I risultati delle elezioni stavano disegnando una mappa del paese divisa, dove i confini tra repubblicani e democratici diventavano sempre più incerti, sfumati, e privi di significato.

La legalizzazione della marijuana, un tema che avrebbe dovuto unire le diverse fazioni politiche, è fallita in stati come Florida e Dakota del Nord. Le iniziative a favore della cannabis sembravano un simbolo di una generazione che cercava di alleggerire il peso di un paese sempre più oppresso dalle sue stesse contraddizioni. Ma anche qui, la realtà si è imposta con forza. Gli Stati Uniti erano un paese in cui il progresso sembrava inarrestabile, ma nel profondo c’era la sensazione che qualcosa si stesse perdendo lungo il cammino.

Il 2024, dunque, è stato l’anno in cui le speranze di una nuova era sono state spazzate via dalla delusione di una politica che non cambiava mai. Non c’era più spazio per l’utopia, solo per il gioco della sopravvivenza politica. Trump, con la sua risolutezza, ha vinto, ma ha vinto in un mondo che non aveva mai smesso di essere in crisi. Non si trattava più di un’elezione, ma della riaffermazione di un sistema che, pur sotto stress, continuava a funzionare come previsto: un sistema che si alimentava di divisione, di conflitto, e di un eterno ritorno allo stesso punto di partenza.

In fondo, come in tutti i regimi che si rispettino, la verità non era mai stata ciò che importava di più. Piuttosto, era il controllo, il potere che si rigenerava a ogni nuova elezione, mentre la gente, stanca e disillusa, continuava a guardare, incapace di cambiare un destino che sembrava scritto nel destino della sua stessa politica.

Aggiornato alle 2:24 a.m. ET La Pennsylvania passa nella colonna di Trump, mettendolo sull’orlo di riconquistare la presidenza: Trump 267 voti elettorali (di 270 necessari); Harris 214.

Alle ore 1:17 ET, la Associated Press ha ufficialmente assegnato il New Hampshire a Kamala Harris, portando il conteggio dei voti elettorali a 247 per Trump contro i 214 per Harris. La corsa è particolarmente tesa negli stati chiave ancora aperti, poiché anche la Georgia è stata assegnata a Trump, in un cambiamento significativo rispetto al 2020, quando lo stato aveva favorito Biden. L’acquisizione di Georgia e North Carolina ha dato a Trump un vantaggio che lo avvicina alla soglia di vittoria.

Con i risultati parziali nelle sei rimanenti battlegrounds – Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Georgia, Arizona e Nevada – la campagna di Harris, che fino a pochi giorni fa si basava su proiezioni di un testa a testa, vede ora restringersi le opzioni per una vittoria. La situazione attuale vede Trump in vantaggio in cinque di questi stati, rendendo il percorso di Harris più complesso. Il suo comitato elettorale ha deciso che non parlerà ai sostenitori fino a nuove conferme: “Non abbiamo ancora finito di contare i voti e continueremo a far sì che ogni voto sia considerato”, ha dichiarato Cedric Richmond, co-presidente della campagna.

Anche i conteggi iniziali degli stati tradizionalmente favorevoli ai due candidati si sono confermati in linea con le previsioni: gli stati democratici della costa occidentale, inclusi California, Oregon e Washington, sono stati assegnati a Harris. Trump, invece, ha consolidato il suo supporto negli stati del sud e dell’interno, con vittorie in Texas, Florida, Ohio e, appunto, North Carolina. Questo porta l’ex presidente a 230 voti elettorali già confermati, lasciando Harris a quota 210.

Questa competizione si svolge in un quadro di profonda tensione, poiché la posta in gioco non si limita alla presidenza ma coinvolge anche la composizione del Senato e della Camera. Al momento, i Repubblicani puntano a recuperare la maggioranza al Senato e consolidare il loro controllo alla Camera, grazie anche ad alcuni seggi ribaltati.

Le procedure di voto e conteggio negli stati battleground, però, potrebbero far slittare i risultati definitivi di giorni, se non settimane. La Pennsylvania, in particolare, cruciale per entrambi i candidati, ha leggi che limitano il conteggio anticipato dei voti, il che significa che i risultati completi potrebbero non arrivare velocemente. Anche l’Arizona si trova in una situazione simile, con un processo di conteggio delle schede che potrebbe protrarsi.

La situazione attuale rende chiaro che la notte elettorale è solo l’inizio di un’attesa che potrebbe prolungarsi, con occhi puntati sulle battlegrounds e milioni di schede ancora da contare