E’ una delle massime più celebri nel campo della statistica e della modellizzazione matematica. Questo aforisma, apparso nel suo lavoro del 1978, è tanto semplice quanto profondo e ha significative implicazioni, soprattutto nel contesto moderno, dove l’intelligenza artificiale (AI) e il machine learning giocano un ruolo sempre più centrale in quasi ogni settore della vita umana. Esploreremo quindi il significato di questa affermazione, come si applica ai modelli statistici e di intelligenza artificiale, e come quest’ultima stia confermando la saggezza dietro le parole di Box.
George E. P. Box era un rinomato statistico britannico, noto per i suoi contributi alla teoria della statistica e alla sperimentazione progettata. La sua famosa frase, spesso citata dai data scientist e statistici, nasce dal riconoscimento di un fatto fondamentale: nessun modello matematico o statistico può catturare completamente la complessità e la variabilità del mondo reale. Un modello è, per definizione, una rappresentazione semplificata della realtà. Pertanto, qualsiasi tentativo di modellare fenomeni naturali, sociali o economici è inevitabilmente destinato a essere un’approssimazione.
Box sottolineava che, nonostante il fatto che i modelli siano intrinsecamente “sbagliati” perché semplificano o omettono aspetti della realtà, possono essere comunque strumenti straordinariamente “utili”. Infatti, lo scopo di un modello non è quello di essere perfetto o di rappresentare esattamente il mondo, ma piuttosto di fornire un modo pratico per fare previsioni, prendere decisioni o capire fenomeni complessi.
Modelli in AI e machine learning
Nel mondo contemporaneo, l’aforisma di Box è particolarmente rilevante per i modelli utilizzati nel campo dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Questi sistemi sono costruiti su modelli matematici che tentano di apprendere pattern nei dati e fare previsioni su nuovi dati. Le reti neurali, gli alberi decisionali, i modelli di regressione, tra altri, sono tutti esempi di modelli utilizzati per approssimare relazioni complesse nei dati.
Tuttavia, proprio come i modelli statistici tradizionali, anche i modelli di machine learning sono imperfetti. Non possono cogliere ogni dettaglio del fenomeno che stanno cercando di modellare, e spesso si basano su assunzioni semplificate. Ad esempio, un modello di apprendimento supervisionato potrebbe ignorare fattori ambientali o condizioni non incluse nel set di dati iniziale. L’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, non può mai comprendere pienamente la complessità infinita del mondo reale.
Prendiamo ad esempio i modelli di riconoscimento facciale: essi funzionano analizzando caratteristiche e pattern nelle immagini per identificare volti umani. Questi modelli, però, sono intrinsecamente “sbagliati” perché non tengono conto di tutte le variabili possibili, come i cambiamenti di luce, l’invecchiamento delle persone, o il trucco. Tuttavia, sono estremamente “utili” perché possono comunque raggiungere livelli di precisione altissimi in condizioni normali.
Un concetto fondamentale che emerge dall’aforisma di Box è quello del compromesso tra precisione e utilità. In altre parole, quando costruiamo un modello, non stiamo cercando una rappresentazione perfetta, ma piuttosto un equilibrio tra complessità e facilità d’uso. Più un modello è complesso e dettagliato, più può essere difficile da interpretare o da utilizzare efficacemente.
Nell’intelligenza artificiale, questo compromesso si manifesta nel concetto di overfitting. Quando un modello di machine learning è troppo complesso, può adattarsi perfettamente ai dati di allenamento ma fallire nel generalizzare su nuovi dati. In altre parole, un modello sovradimensionato potrebbe cogliere anche il “rumore” nei dati di addestramento, piuttosto che solo i pattern rilevanti, risultando in previsioni inutili per nuovi dati. Questo illustra come, talvolta, un modello più semplice ma meno accurato può essere preferibile a uno eccessivamente preciso ma inutile fuori dal contesto dei dati di allenamento.
Modelli AI e la sfida della generalizzazione
Il cuore della questione nell’applicazione dell’aforisma di Box all’intelligenza artificiale sta nel concetto di generalizzazione. L’obiettivo ultimo di molti modelli di machine learning è imparare una rappresentazione generale che possa essere applicata in diverse situazioni, non solo su un set di dati specifico. Tuttavia, la generalizzazione è un’area in cui molti modelli falliscono, dimostrando che sono utili solo in un contesto ristretto e non su larga scala.
Per esempio, nei sistemi di guida autonoma, i modelli AI sono allenati su milioni di ore di filmati di guida e dati relativi alla strada. Questi modelli sono addestrati per riconoscere segnali stradali, veicoli, pedoni, e condizioni meteorologiche variabili. Tuttavia, possono incontrare difficoltà quando vengono esposti a condizioni o scenari completamente nuovi o non previsti, come una segnaletica stradale danneggiata o ostacoli imprevisti sulla carreggiata. Anche qui, l’aforisma di Box è evidente: il modello è utile perché permette al veicolo di guidare autonomamente in molte situazioni, ma è sbagliato nel senso che non può prevedere e gestire ogni possibile scenario reale.
L’aforisma di Box porta con sé anche una dimensione filosofica importante. Suggerisce che la nostra conoscenza del mondo è sempre parziale e imperfetta, ma questo non significa che sia inutile. È una visione che può essere collegata a teorie filosofiche come il fallibilismo, che sostiene che tutte le credenze umane sono, in una certa misura, soggette a errore, ma ciò non preclude il fatto che possano essere utili o approssimativamente corrette.
Nell’ambito dell’intelligenza artificiale, questo suggerisce che i modelli non devono necessariamente essere perfetti o infallibili per avere valore. Anzi, l’imperfezione è accettata come parte integrante del processo di costruzione e miglioramento dei sistemi AI. Gli sviluppatori sanno che ci sarà sempre un margine di errore, e il loro obiettivo non è eliminare completamente questi errori, ma ridurli a un livello gestibile per consentire un impatto pratico e reale.
Nel futuro, l’intelligenza artificiale continuerà a evolversi e migliorare i suoi modelli, ma rimarrà sempre fedele al principio che “tutti i modelli sono sbagliati”. Non si tratterà tanto di raggiungere una rappresentazione perfetta del mondo, quanto di costruire modelli che siano sufficientemente buoni per risolvere problemi specifici e fare previsioni utili. Questa stessa accettazione dell’imperfezione potrebbe anche aiutare l’umanità a navigare i potenziali rischi dell’AI, comprendendo i suoi limiti e sfruttandone le capacità senza aspettative irrealistiche di onniscienza.