Federico Faggin, fisico e inventore del microprocessore, figura centrale nella storia dell’informatica, esplora il complesso e affascinante rapporto tra coscienza umana e tecnologia nel suo recente libro, “Irriducibile: La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura”. In quest’opera, Faggin affronta questioni di fondo che riguardano la natura della coscienza, l’essenza dell’esperienza soggettiva e la distinzione fondamentale tra esseri umani e macchine. La sua analisi va oltre il semplice discorso tecnologico, toccando profonde implicazioni filosofiche, scientifiche ed etiche sulla natura dell’essere e sulle limitazioni intrinseche della tecnologia.

Faggin affronta la questione della coscienza, un tema che ha impegnato filosofi, neuroscienziati e fisici per secoli, da una prospettiva unica che integra riflessioni personali con analisi scientifica. Egli distingue tra i segnali elettrici generati dai computer e le esperienze soggettive umane, evidenziando come i primi siano mere manipolazioni simboliche senza contenuto fenomenico, mentre le seconde coinvolgono un livello di esperienza intrinseca che nessun sistema artificiale può replicare.

La critica di Faggin si rivolge principalmente alle teorie meccanicistiche e riduzionistiche, spesso dominanti nella scienza contemporanea, che considerano la coscienza come un epifenomeno emergente dalla complessità del cervello, paragonabile a un calcolatore biologico. Egli sostiene che tale visione ignora aspetti fondamentali dell’esperienza umana, come la qualità fenomenica (qualia) e il libero arbitrio, elementi che non possono essere ridotti a semplici processi computazionali o descritti completamente dalle leggi fisiche note.

In particolare, Faggin critica l’approccio del “computazionalismo forte”, che equipara il cervello a una macchina di Turing avanzata, sostenendo invece che la coscienza ha proprietà irriducibili che non possono essere simulate da algoritmi, indipendentemente dalla loro complessità. Secondo Faggin, questo errore deriva da una confusione epistemologica: mentre i modelli computazionali possono descrivere i correlati neurali della coscienza, essi non affrontano la questione ontologica del perché e del come sorga un’esperienza soggettiva.

Un punto centrale del libro è l’analisi critica del ruolo della tecnologia nella comprensione della coscienza.

Faggin riconosce che i computer, per quanto sofisticati, sono essenzialmente dispositivi basati su manipolazioni simboliche e operazioni logiche che, per loro natura, mancano di coscienza o di qualsiasi forma di esperienza soggettiva. La capacità delle macchine di eseguire calcoli complessi e di simulare comportamenti intelligenti viene spesso scambiata per una forma di consapevolezza, un errore che Faggin denuncia come conseguenza della mancata comprensione della distinzione tra calcolo simbolico e fenomenologia cosciente.

Faggin argomenta che, nonostante i progressi dell’intelligenza artificiale (IA) e delle neuroscienze computazionali, le macchine restano strumenti incapaci di replicare la natura soggettiva della coscienza.

La cosiddetta “intelligenza artificiale forte” – l’idea che una macchina possa non solo simulare, ma anche vivere un’esperienza cosciente – è, secondo Faggin, un mito fondato su un fraintendimento fondamentale della natura della mente umana.

Inoltre, egli sottolinea che anche i modelli fisici più avanzati, inclusi quelli basati su approcci quantistici alla coscienza, non riescono a spiegare l’aspetto qualitativo dell’esperienza.

Teoria del Campo Quantistico della Coscienza. Questa teoria suggerisce che la coscienza potrebbe essere collegata a campi quantistici che interagiscono con la materia cerebrale. Ad esempio, il cervello potrebbe funzionare come un sistema aperto in grado di interagire con campi quantistici esterni o interni, producendo fenomeni coscienti.

Teorie della Coscienza Non-Locale. Questi approcci considerano la possibilità che la coscienza non sia limitata all’attività neurale localizzata ma possa avere una componente non-locale, influenzata da fenomeni quantistici come l’entanglement.

(La maggior parte delle teorie quantistiche della coscienza manca di prove empiriche concrete. I processi quantistici sono estremamente difficili da osservare e misurare nel cervello umano.)

Faggin non esclude che la fisica possa giocare un ruolo nella comprensione della coscienza, ma ritiene che la semplice estensione delle teorie fisiche esistenti non sia sufficiente a catturare l’essenza del fenomeno cosciente. La sua proposta è che la coscienza sia un principio fondamentale dell’universo, irreducibile a interazioni materiali e distinto dalle semplici dinamiche delle particelle elementari.

Faggin sfida le interpretazioni che riducono la coscienza a semplici processi biochimici o elettrici, proponendo una visione alternativa in cui la coscienza stessa è un elemento fondamentale e primario della realtà, non derivabile dalle interazioni fisiche. Egli propone un modello in cui la coscienza non è un prodotto emergente, ma una dimensione ontologica che coesiste con le leggi fisiche, indicando una possibile rivoluzione nel modo in cui comprendiamo l’interazione tra mente e materia.

Questa visione di Faggin richiama una serie di concetti emersi dalle filosofie non dualistiche e da alcune delle interpretazioni più avanzate della fisica quantistica, che suggeriscono un ruolo attivo della coscienza nella manifestazione della realtà fisica. In particolare, le riflessioni di Faggin trovano paralleli con l’interpretazione dell’“Osservatore Partecipante” della meccanica quantistica, proposta da fisici come John Archibald Wheeler, che suggerisce che l’atto di osservazione potrebbe influenzare la realtà fisica stessa, in un processo che va oltre la semplice registrazione passiva di stati preesistenti.

L’idea che la coscienza giochi un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà fisica risuona con l’interpretazione di Copenaghen, dove lo stato quantico di una particella non si determina fino a che non si verifica un’osservazione, e con l’interpretazione a molti mondi, che esplora la coesistenza di molteplici realtà parallele, tra cui quella vissuta dall’osservatore. Tuttavia, Faggin va oltre queste teorie, suggerendo che la coscienza non sia semplicemente un osservatore passivo, ma un principio attivo che contribuisce a determinare l’esito dei fenomeni quantistici.

Nel contesto della fisica quantistica, questa idea implica che l’osservatore, o la coscienza, non sia un’entità esterna alla dinamica fisica, ma parte integrante del processo stesso di manifestazione della realtà. Ciò si ricollega a concetti come l’Entanglement quantistico, dove le proprietà di particelle distanti sono correlate in modi che sfidano la causalità locale e suggeriscono una connessione che va oltre le dimensioni spaziali e temporali classiche. Faggin esplora l’idea che tali connessioni potrebbero essere influenzate da una dimensione cosciente, in cui l’informazione non si limita alla semplice trasmissione fisica ma potrebbe essere intrinsecamente connessa alla qualità soggettiva dell’esperienza.

Il problema della misura nella meccanica quantistica, noto anche come il “collasso della funzione d’onda”, rappresenta un dilemma fondamentale che ha suscitato dibattiti per decenni. Secondo l’interpretazione ortodossa, il collasso della funzione d’onda si verifica in concomitanza con un atto di osservazione, ma la natura di tale processo rimane controversa e non completamente spiegata all’interno del formalismo matematico standard. Faggin suggerisce che, se la coscienza avesse un ruolo nell’atto del collasso, ci troveremmo di fronte a un paradigma in cui l’esperienza soggettiva è un elemento coessenziale della realtà fisica.

Questa prospettiva apre un dialogo con teorie che cercano di incorporare la coscienza nel formalismo quantistico, come l’interpretazione di Von Neumann-Wigner, in cui la coscienza dell’osservatore è vista come l’ultimo riduttore della funzione d’onda. Tuttavia, Faggin non si limita a un singolo modello ma esplora la possibilità che la coscienza stessa possa essere un campo fondamentale, interagente con la materia e l’energia in modi che sfuggono attualmente alla descrizione matematica convenzionale.

Faggin avanza l’ipotesi di considerare la coscienza come un “campo primordiale”, un’entità ontologicamente distinta ma correlata al mondo fisico, capace di influenzare direttamente il comportamento delle particelle subatomiche. Questo richiama alcune delle speculazioni più radicali della fisica moderna, come l’idea di un “campo quantico cosciente” che permea l’universo, capace di interagire con altri campi fondamentali come quello elettromagnetico o gravitazionale. Tuttavia, Faggin mantiene una distinzione rigorosa tra ciò che può essere postulato filosoficamente e ciò che può essere sperimentato o verificato scientificamente, sottolineando che l’attuale mancanza di un formalismo matematico solido non deve portare a conclusioni affrettate o pseudoscientifiche.

Evitando di cadere nelle trappole della pseudoscienza, Faggin rimane consapevole che, per quanto affascinanti, queste idee richiedono una base sperimentale e teorica più solida. Egli insiste sulla necessità di sviluppare nuovi modelli fisici che possano testare empiricamente l’ipotesi di una coscienza attiva, magari attraverso esperimenti che esplorino i limiti dell’entanglement quantistico o che misurino effetti sottili della presenza di un osservatore consapevole su sistemi quantistici isolati.

Faggin critica le interpretazioni materialiste tradizionali che trattano la coscienza come un sottoprodotto dei processi neurali, proponendo invece un approccio post-riduzionista che veda la coscienza come una parte intrinseca del tessuto della realtà. Questa prospettiva implica una revisione delle fondamenta ontologiche della fisica, suggerendo che le attuali teorie potrebbero essere incomplete nel modo in cui trattano la relazione tra osservatore e osservato.

Una tale revisione potrebbe comportare l’inclusione della coscienza come variabile esplicita nelle equazioni che descrivono il comportamento delle particelle, superando l’attuale separazione tra il mondo della fisica e quello dell’esperienza soggettiva. Faggin auspica che futuri sviluppi teorici possano includere una “fisica della coscienza”, una nuova branca che indaghi come la consapevolezza interagisca con i processi quantistici a livello fondamentale, aprendo la strada a una comprensione più profonda della realtà.

“Irriducibile” rappresenta non solo un contributo alla discussione sulla coscienza, ma anche un invito a riflettere sulla nostra natura come esseri umani nell’era della tecnologia avanzata. Faggin intreccia scienza, filosofia ed etica in un discorso che sfida le narrative contemporanee, proponendo che il valore dell’essere umano non può essere compreso pienamente attraverso un paradigma meccanicistico o riduzionistico.

Il libro si conclude con una chiamata all’azione per ridefinire la nostra comprensione della coscienza e per riconoscere i limiti delle attuali tecnologie, non come una debolezza, ma come un’opportunità per esplorare nuove frontiere della conoscenza. Faggin suggerisce che solo attraverso una revisione delle nostre assunzioni fondamentali sulla natura della coscienza e dell’essere possiamo avvicinarci a una comprensione più completa del nostro posto nell’universo.