Mentre la Silicon Valley si esercita nel dribbling geopolitico, Nvidia si ritrova nel bel mezzo di un palcoscenico dove il copione è scritto tra le righe delle sanzioni americane e le ambizioni tecnologiche cinesi. Digitimes, testata taiwanese molto addentro agli ambienti dei fornitori hardware asiatici, ha acceso la miccia sostenendo che Jensen Huang starebbe preparando una joint venture sul suolo cinese per proteggere la gallina dalle uova d’oro: la piattaforma CUDA e il florido business da 17,1 miliardi di dollari maturato in Cina solo lo scorso anno.

Peccato che Nvidia abbia risposto con fuoco e fiamme, negando ogni cosa in maniera categorica. “Non c’è alcuna base per queste affermazioni”, ha dichiarato un portavoce all’indomani della pubblicazione del rumor, accusando i media di irresponsabilità per aver spacciato supposizioni come fatti.

Dietro questa smentita si cela però un balletto strategico degno del miglior Kafka. Nvidia è in una posizione scomodissima, stretta fra il desiderio di mantenere la sua posizione dominante sul mercato cinese dove colossi come Tencent e Alibaba acquistano GPU come fossero lingotti e l’obbligo di obbedire agli ordini della Casa Bianca, che dal 2022 ha stretto sempre più la morsa sull’export di chip AI verso Pechino, nel tentativo di rallentare lo sviluppo tecnologico cinese in settori sensibili come la difesa e la sorveglianza.

La visita di Huang in Cina, ad aprile, è la vera scena madre di questa tragicommedia. Non un viaggio di piacere, ma una missione diplomatica camuffata da tour aziendale, subito dopo che il chip H20 – progettato appositamente per aggirare le restrizioni statunitensi – è stato bandito dal governo americano. Un colpo da 5,5 miliardi di dollari al fatturato di Nvidia. Non proprio un dettaglio. Così Huang ha incontrato personaggi di primo piano della nomenklatura cinese: dal sindaco di Shanghai al vicepremier He Lifeng, passando per la CCPIT, il braccio commerciale del Partito. A porte chiuse si sarà parlato più di geopolitica che di semiconductors.

È in questo contesto che le dichiarazioni ufficiali e le smentite si svuotano di significato: negare la creazione di una joint venture non equivale a escludere forme di collaborazione alternative, società veicolo, accordi con partner locali, o strategie opache per mantenere in vita la presenza di Nvidia in Cina. La realtà è che mentre Washington sogna un decoupling netto tra tech americana e cinese, le aziende fanno l’esatto opposto: danzano sul filo, tra leggi da rispettare e mercati da conquistare, tra compliance e sopravvivenza.

Intanto, le GPU Nvidia continuano a cambiare mani a ritmi frenetici: ByteDance aveva accumulato stock per 100 miliardi di yuan e ora vende sottobanco chip a Tencent e Alibaba, i quali, per evitare l’embargo, si riforniscono come fossero in un mercato nero di componenti high-tech. È l’effetto domino di sanzioni che sembrano generare più elusione che contenimento.

Il messaggio tra le righe è chiaro: Nvidia non può permettersi di perdere la Cina, e la Cina non può ancora fare a meno di Nvidia. Le smentite ufficiali sono solo un’altra cortina fumogena nel grande gioco globale della supremazia tecnologica. Nel frattempo, Huang si muove come un diplomatico con la felpa, tentando di salvare un impero fatto di transistor e tensioni.

Foto : 24 Karat Gold Trex!