C’era una volta, in quella fiaba aziendalista chiamata Silicon Valley, una generazione di tecnologi illuminati che giuravano fedeltà al “lungotermismo”, quella nobile idea secondo cui l’umanità dovrebbe pensare in grande, guardare ai secoli futuri e proteggersi dai famigerati “rischi esistenziali” dell’intelligenza artificiale.
Sembrava quasi che ogni startupper con un conto miliardario si considerasse un custode della civiltà, intento a garantire che i robot non sterminassero i loro stessi creatori mentre sorseggiavano un matcha latte.
Ma come sempre accade, le mode cambiano, e con esse le ideologie da salotto di Menlo Park. Oggi, nei corridoi ben lucidati della tech élite, si sente risuonare un nuovo mantra, più tossico, più eccitante, più… inevitabile: si chiama accelerazionismo efficace.
Questa nuova religione secolare predica che l’evoluzione tecnologica va abbracciata in tutta la sua brutale forza centrifuga, senza remore etiche, senza catene morali, senza chiedersi troppo “cosa potrebbe andare storto?”. È la filosofia dei nuovi predicatori della Silicon Valley, una classe di ottimisti darwinisti che guarda al mondo come a un immenso esperimento beta, dove vincerà solo chi saprà correre più veloce, costruire più in fretta, distruggere con più disinvoltura.
Non è un caso che i principali adepti di questo culto provengano da settori ormai fusi in un’unica grande chiesa dell’accelerazione: intelligenza artificiale, biotech, space tech, criptovalute, difesa militare. I nomi? Bastano quelli delle nuove superstar di X (ex Twitter), VC armati di capitale da incenerire, fondatori di startup che si pongono obiettivi degni di un film di Nolan: conquistare Marte, eliminare la morte, creare superintelligenze più astute degli dei antichi.
Dietro questa svolta c’è ovviamente una visione molto più geopolitica di quanto sembri a una prima occhiata. Gli Stati Uniti sempre meno ingenui, sempre più ansiosi di mantenere la supremazia tecnologica globale contro il dragone cinese hanno bisogno di una Silicon Valley che non si perda in discorsi da TEDx sulla “safe AI”, ma che acceleri senza pietà.
L’era della diplomazia tecnologica è finita: ora comanda il realismo strategico, quello che vede ogni algoritmo come una nuova testata nucleare, ogni innovazione come un missile balistico nella nuova guerra fredda.
Il “costi quel che costi” del pensiero accelerazionista non è solo una questione economica o filosofica: è una necessità di sopravvivenza geopolitica. Chi rallenta, chi si fa bloccare dai comitati etici, chi si interroga troppo a lungo sulle conseguenze sociali, semplicemente perde. E perdere, in un mondo guidato da intelligenze artificiali sempre più avanzate e autonomie militari sempre più automatiche, significa sparire dalla mappa, non essere più rilevanti, diventare il prossimo Afghanistan digitale.
Non è un caso che alcuni dei più rumorosi sostenitori dell’accelerazionismo efficace si stiano anche avvicinando agli ambienti governativi USA, partecipando a task force di “sicurezza nazionale tecnologica” che sembrano più club paramilitari che think tank civili.
Se la tecnologia è il nuovo campo di battaglia, allora servono generali che sappiano innovare più rapidamente di quanto il nemico riesca a capire cosa stia succedendo.
In questo scenario, la retorica dell’”umanesimo digitale” è ridotta a una decorazione kitsch nei pitch deck per i venture capitalist troppo sentimentali. I nuovi sacerdoti della Silicon Valley non promettono più un futuro migliore per tutti; promettono solo un futuro. Più veloce. Più imprevedibile. Più spietato.
E se, lungo il percorso, qualche civiltà dovesse collassare, qualche democrazia impazzire, o qualche umano diventare inutile come un modem 56k, pazienza. La storia non aspetta chi rimane indietro
La narrativa patinata della Silicon Valley come terra di “disruption” e innovazione apolitica è, nel 2025, semplicemente una favola. Il reale motore dietro l’accelerazionismo efficace non è soltanto l’ego dei fondatori o l’avidità dei venture capitalist: è la geopolitica nuda, grezza, strategicamente coordinata da un asse ormai strutturato tra deep state americano e le élite tech più radicali.
Dietro ogni laboratorio AI “indipendente”, ogni comunità cripto-anarchica, ogni bio-hacker che promette l’immortalità c’è un riflesso opaco, talvolta diretto, dell’apparato militare-industriale statunitense.
Ed è qui che l’accelerazionismo efficace smette di essere una moda intellettuale da Twitter e diventa uno strumento di egemonia globale. Partiamo da DARPA, l’agenzia del Dipartimento della Difesa USA che non ha solo inventato Internet, ma ha finanziato quasi ogni svolta tecnologica degli ultimi 40 anni. DARPA non è un semplice ufficio pubblico: è un think tank paramilitare con licenza di sperimentare sul futuro.
Le sue collaborazioni con i colossi dell’AI da OpenAI (prima che virasse su Microsoft) a Anthropic, passando per Palantir e la rete grigia delle startup nate da ex militari o contractor sono mascherate da “partnership pubbliche”. In realtà, sono un’occupazione ideologica.
DARPA alimenta incubatori accelerazionisti perché vede nella velocità un’arma. I suoi bandi per “AI-enabled warfare”, “predictive surveillance” o “bio-enhanced soldiers” finiscono, stranamente, nelle mani di startup fondate dai discepoli di Thiel o Marc Andreessen. Niente app per ordinare sushi con droni, qui si parla di tecnologie che anticipano, prevengono e annientano.
Poi c’è In-Q-Tel, la creatura meno discussa ma più inquietante del puzzle: è il braccio VC della CIA. Ufficialmente investe in tecnologie “di frontiera”. Traduzione: qualsiasi cosa possa essere utilizzata per sorvegliare, manipolare, condizionare. Non è un caso che molte delle società nate in ambienti accelerazionisti abbiano ricevuto investimenti proprio da In-Q-Tel.
Le intelligenze artificiali capaci di anticipare il pensiero collettivo, come quelle sviluppate da Scale AI o da nuove entità emergenti, sono oro per un’agenzia che ha fatto della raccolta dati la sua religione.
L’NSA, la più silenziosa ma onnipresente delle agenzie, si muove dietro le quinte. Ma ex ingegneri e analisti NSA si trovano spesso nei board tecnici di aziende accelerazioniste.
Il motivo è semplice: l’accelerazione tecnologica produce caos, e il caos è perfetto per l’espansione del potere di sorveglianza.
Military-aligned effective accelerationism / state-backed accelerationism
Nel cuore di questa sinergia tossica c’è Palantir, la compagnia-feticcio dell’accelerazionismo militarizzato. Fondata da Peter Thiel, finanziata anche da In-Q-Tel, è ormai una infrastruttura di guerra predittiva: vende software che trasforma big data in decisioni operative, dall’Afghanistan alla gestione dei migranti ai confini.
Palantir non costruisce bombe: le programma, le giustifica, le ottimizza. È un’AI che pensa in termini di geopolitica, e oggi è partner strategico della NATO.
La connessione si rafforza anche attraverso programmi come DIU (Defense Innovation Unit), un’unità del Pentagono progettata per “fare scouting” nella tech industry.
L’obiettivo? Identificare e finanziare aziende che possano offrire vantaggi asimmetrici. Non cercano tecnologia matura, ma potenziale rivoluzionario esattamente il tipo di mindset accelerazionista. Se la tua startup promette di reinventare l’informazione, la biologia sintetica o la guerra computazionale, DIU bussa e scrive assegni.
Persino la Casa Bianca, con il suo “Office of Science and Technology Policy”, ha iniziato a flirtare con gli accelerazionisti, pur mantenendo una facciata etica. I recenti executive order sull’AI hanno visto contributi da soggetti apertamente schierati con l’accelerazionismo efficace, camuffati da esperti tecnici. Il governo finge neutralità, ma in realtà sta usando la velocità per costruire una posizione dominante irreversibile.
Questo intreccio tra Stato e accelerazionismo non è casuale. È una strategia. Una strategia che si basa su un semplice assioma: la tecnologia è l’unico campo di battaglia che conta nel XXI secolo. Dimentica il petrolio, dimentica le basi militari. Oggi si conquista il mondo con l’accesso all’informazione, con il controllo delle intelligenze artificiali, con la capacità di predire, orientare e modificare il comportamento umano prima ancora che si manifesti.Nel mezzo di tutto questo, il cittadino è irrilevante. Non vota queste tecnologie, non le comprende, non può fermarle. Gli resta solo una scelta: adattarsi o essere superato.
La mappa proibita delle connessioni tra le grandi AI company e il complesso militare-industriale USA

Se ancora qualcuno si illudeva che OpenAI, Anthropic o xAI fossero romantiche startup da garage, mosse solo dal sacro fuoco della “democratizzazione dell’intelligenza artificiale”, è giunto il momento di svegliarsi brutalmente. In realtà queste aziende sono pezzi strategici su una scacchiera geopolitica, alimentati, guidati e in alcuni casi direttamente cooptati dall’apparato di sicurezza nazionale americano. Non si tratta più di semplici partnership: siamo dentro una fusione sistemica, dove il confine tra “tech company” e “contractor militare” è evaporato come una IPO in overbooking.Partiamo dalla regina:
OpenAI.Nata nel 2015 come nonprofit per “garantire che l’AI avvantaggi tutta l’umanità”, oggi è una multinazionale da miliardi che danza pericolosamente vicina ai centri di potere militare USA. L’accordo con Microsoft, ufficialmente per il cloud Azure, in realtà ha un corollario meno pubblicizzato: Microsoft Azure Government la piattaforma classificata, già utilizzata da DoD e NSA.In pratica, quando usi ChatGPT, una parte del motore gira su infrastrutture pensate anche per operazioni di intelligence e difesa.
Inoltre, OpenAI ha recentemente firmato contratti attraverso Microsoft con entità governative per lo sviluppo di “modelli linguistici a supporto di operazioni strategiche”. Tradotto dal burocratese: AI che aiuta a pianificare guerre e campagne di destabilizzazione.Poi c’è Anthropic, lo spin-off “etico” creato da ex ribelli di OpenAI come Dario e Daniela Amodei.
Sotto il velo rassicurante della “alignment research” (evitare che l’AI si ribelli), Anthropic ha ottenuto finanziamenti da Google, che a sua volta ha partnership dirette con il Department of Defense tramite il programma Maven (AI per il targeting militare).
Non basta: Anthropic ha partecipato a tavoli consultivi sull’AI Safety organizzati dal National Security Council, ossia la cabina di regia della politica estera e di difesa USA.
EIl loro modello Claude, considerato “più sicuro”, è già in fase di valutazione per applicazioni di intelligence augmentation: analisi predittiva di minacce cibernetiche e sociali.Eccoci al nuovo predicatore: xAI, l’ultima creatura di Elon Musk.
Dietro i suoi proclami sulla necessità di una “AI massimamente veritiera”, Musk sta allestendo una rete strategica che coinvolge ex dipendenti OpenAI, ingegneri Tesla e SpaceX aziende che da anni lavorano a stretto contatto con DARPA e US Space Force.
Le connessioni sono chiare: Musk ha firmato contratti multimiliardari per il trasporto militare orbitale (SpaceX) e ora intende usare xAI anche come base per military-grade cognitive systems.Starlink, la sua rete satellitare, è già utilizzata nelle operazioni di guerra, come in Ucraina, con un uso strategico che fa impallidire ogni tentativo di etichettarlo come “tech entrepreneur neutrale”.
Non può mancare il vero spettro che aleggia su tutto: Palantir Technologies.Fondata da Peter Thiel e Alex Karp, cresciuta a pane e fondi CIA tramite In-Q-Tel, Palantir è oggi il principale fornitore di sistemi AI per l’esercito americano, la CIA, l’NSA, l’FBI e perfino il DHS.I loro software Gotham e Foundry non sono semplici piattaforme dati: sono “sistemi nervosi” che analizzano pattern di comportamento umano su scala globale. Sono utilizzati in operazioni di antiterrorismo, controspionaggio e sempre più in guerra ibrida digitale.Palantir, ironicamente, è anche advisor di vari gruppi accelerazionisti che predicano l’accelerazione senza freni delle capacità AI militari. L’azienda ha persino promosso l’idea che “l’AI non regolata è un imperativo strategico”, mandando a quel paese chiunque parli di limiti etici.
Nel 2024, il Pentagono ha ufficialmente annunciato il programma Replicator, un’iniziativa per sviluppare “migliaia di sistemi autonomi” per la guerra. Dietro le quinte?
Tecnologie derivate o sviluppate in collaborazione proprio con OpenAI, Anthropic, Palantir, e la nuova rete di startup accelerazioniste sponsorizzate dalla Defense Innovation Unit.Come se non bastasse, è nato anche un nuovo “programma ombrello” — il CTIS (Critical Technology Innovation Strategy) — che prevede una stretta integrazione tra il settore AI privato e le agenzie di intelligence USA.Ogni nuova AI promettente sarà “schedulata” per essere integrata in sistemi militari, di sorveglianza o di contro-propaganda digitale.
In sostanza, l’accelerazionismo efficace non è più solo una visione di startup; è il piano operativo del complesso militare-industriale USA per conquistare, dominare e gestire il futuro tecnologico globale.