Mentre l’Occidente si agita attorno ai soliti noti – OpenAI, Google, Meta – in Cina il gioco si fa decisamente più spietato, veloce e silenzioso. Alibaba, il gigante di Hangzhou spesso relegato alla narrativa dell’e-commerce, ha appena calato il suo asso nella manica: Qwen3, la terza generazione del suo modello AI open source. E questa volta non si accontenta di rincorrere. Vuole comandare.
Il pacchetto Qwen3 non è un giocattolo per ricercatori o un demo da startup affamata di attenzione. Parliamo di otto modelli, dai più leggeri a 600 milioni di parametri fino al colosso da 235 miliardi, con l’ambizione dichiarata – e supportata da benchmark – di battere o eguagliare OpenAI, Google e DeepSeek su compiti chiave come il code generation, problem solving matematico e la comprensione complessa delle istruzioni. Non è una dichiarazione di intenti: è una minaccia industriale.
Tutta questa potenza è stata addestrata su 36 trilioni di token, coprendo 119 lingue e dialetti – un bel salto rispetto ai modelli precedenti come Qwen2.5. L’obiettivo non è solo far parlare la macchina in più lingue, ma capire meglio cosa vogliamo dirle, in qualunque contesto linguistico ci si trovi. Traduzione simultanea evoluta, risposta contestuale, generazione testuale raffinata: Alibaba vuole che Qwen3 sia l’interfaccia cerebrale globale dell’AI cinese.
E come ogni modello di nuova generazione che si rispetti, Qwen3 ha il suo twist filosofico-tecnologico: la reasoning bifasica. In pratica, puoi scegliere tra una modalità “pensante” – lenta ma accurata, utile per analisi profonde – e una “non pensante”, rapida, efficiente, ideale per task semplici o conversational AI. Sembra quasi una metafora del dilemma umano tra intuizione e riflessione. O, più cinicamente, una strategia di load balancing camuffata da genialata.
Il posizionamento strategico di Qwen3 è altrettanto calcolato. È disponibile ovunque conti qualcosa: GitHub, Hugging Face, ModelScope, ed è il nuovo cervello del chatbot web di Alibaba. Una mossa chiara per espandere la portata dell’ecosistema Qwen, già il più grande al mondo in ambito open source, persino più esteso del celebre LLaMA di Meta. Tradotto: se stai costruendo qualcosa con AI in Cina, stai usando Qwen. Anche se non lo sai.
Ma non finisce qui. Questa spinta verso l’intelligenza artificiale non è uno sforzo episodico, è una strategia militare. Alibaba ha messo sul piatto 52 miliardi di dollari in tre anni per infrastrutture AI – il più grande investimento privato del genere in Cina. E ha lanciato una massiccia campagna di assunzioni primaverili, dove metà degli stagisti saranno infilati nei reparti IA. Come dire: il futuro è qui, e vogliamo che lavori gratis per costruirlo.
Nel frattempo, Baidu e DeepSeek non stanno certo a guardare. Hanno risposto con nuove release modello su modello, tentando di mantenere il ritmo frenetico di un mercato che, rispetto a quello statunitense, non ha tempo per l’etica da salotto o la regolamentazione parlamentare. In Cina, la regola è una: o corri, o sei morto.
La narrativa occidentale ha a lungo ridicolizzato i colossi cinesi come meri copisti o cloni tardivi. Ma con Qwen3, Alibaba sta lanciando un messaggio chiaro: la Cina non sta più copiando. Sta scrivendo il codice sorgente del futuro. E se non ce ne accorgiamo, potremmo ritrovarci utenti passivi di un ecosistema dominato non da Silicon Valley, ma da Hangzhou.