Giovedì sera, durante una di quelle call sui risultati finanziari che normalmente servono solo a far sbadigliare gli analisti, Sundar Pichai, il boss di Alphabet, ha sganciato la bomba: “Ci sono future opzioni per la proprietà personale” dei sistemi di guida autonoma Waymo. Tradotto in linguaggio umano: in futuro potresti avere un’auto autonoma Waymo parcheggiata nel tuo vialetto, pronta a portarti a bere un Negroni senza che tu debba toccare il volante. O magari a guidare da sola mentre tu litighi su Slack.

Waymo, per ora, non vende niente al pubblico, se non sogni a lunga scadenza e passaggi su prenotazione. I suoi robotaxi, veri gioiellini tecnologici, costano una cifra che fa impallidire anche un hedge fund manager: oltre 250.000 dollari, dicono gli esperti di veicoli autonomi. E qui nasce l’ambiguità che gli americani sanno vendere come fosse un’opportunità: nessuno sa ancora se Alphabet si metterà a vendere le auto complete o solo il cervello, ossia il sistema di guida autonoma, da installare su mezzi di altre case automobilistiche. Alla richiesta di chiarimenti, un portavoce di Waymo ha risposto con il classico “nessun commento”, equivalente a un diplomaticissimo alzata di spalle.

Se davvero Waymo comincerà a “consegnare” i suoi robotaxi ai privati, la pressione su Tesla salirà vertiginosamente. Elon Musk, dal canto suo, ha già promesso una rivoluzione analoga: le Tesla dei suoi clienti potrebbero diventare dei robotaxi personali a reddito passivo, tipo Airbnb su ruote. Ma come spesso accade con le promesse di Musk, finché non vedi il Model Y venire a prenderti da solo mentre tu ti sistemi il papillon, meglio restare scettici. Intanto, Tesla ha annunciato che ad Austin il progetto partirà in piccolo, con un ridicolo drappello di 10-20 auto, come se bastasse ad addestrare il futuro.

Nel frattempo, Waymo vola. Letteralmente. Secondo Pichai, la compagnia ora macina 250.000 viaggi retribuiti a settimana, un aumento mostruoso rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. A San Francisco, Phoenix, Austin e Los Angeles, le Waymo One scorazzano già come teenager in libera uscita. E Alphabet non si ferma qui: quest’estate sbarcheranno ad Atlanta, e l’anno prossimo sarà la volta di Washington.

Chi ha orecchie per intendere, capisce che Alphabet si sta giocando una partita su scala monumentale. Possedere una Waymo personale cambierebbe le regole del gioco non solo nel mercato automotive, ma anche nel modo stesso in cui pensiamo la mobilità urbana, il concetto di proprietà e persino la vita quotidiana. Immagina una città dove l’auto non ti aspetta più in garage: è in giro a guadagnarti soldi, mentre tu ti preoccupi di scegliere quale serie Netflix guardare.

Eppure, dietro questa patina di innovazione, il cinismo della Silicon Valley resta intatto: Alphabet non sta facendo beneficenza. Ogni Waymo personale sarà un terminale mobile di raccolta dati, un asset in grado di generare entrate ricorrenti molto più interessanti di una “semplice” vendita.

Ti piacerebbe davvero affidare la tua sicurezza a un algoritmo mentre dormi sul sedile posteriore? O la vera domanda è: quanto siamo disposti a barattare autonomia personale per efficienza tecnologica?