Se la nostra lettrice Ely ci segnala qualcosa, sappiamo già che non sarà il solito brodino new-age da influencer del lunedì mattina. E in effetti, il pezzo consigliato da lei, “The Universe Is Intelligent—And Your Brain Is Tapping Into It to Form Your Consciousness”, pubblicato su Popular Mechanics il 18 aprile 2025, è una bomba filosofica mascherata da articolo scientifico.
Secondo Douglas Youvan, Ph.D. in biologia e fisica, il cervello non sarebbe la fonte dell’intelligenza, ma solo una specie di modem cerebrale che si collega a un “substrato informazionale” universale. Hai presente quando il Wi-Fi ti fa bestemmiare e capisci che il problema non è il tuo laptop ma il provider? Ecco, applicalo alla coscienza. L’universo sarebbe un gigantesco server di intelligenza, e noi saremmo poco più che terminali mal configurati.
Youvan arriva a questa conclusione dopo una vita a trafficare tra genetica, ingegneria degli enzimi e visione artificiale. L’epifania gli scoppia in testa quando si rende conto che i sistemi viventi e anche l’AI sembrano “scoprire” cose invece di “inventarle”. Come se il pensiero creativo fosse solo una connessione ben riuscita a questa rete di informazioni cosmiche. Inquietante? Forse. Più inquietante ancora se pensiamo che per lui l’intelligenza è già una proprietà del tessuto stesso dell’universo, che se ne frega altamente di essere incastrata in organismi vivi.
Per rendere la faccenda ancora più gustosa, tira in ballo la meccanica quantistica: il famoso paradosso del gatto di Schrödinger è la metafora perfetta. Non c’è una realtà finché non la osserviamo. E così anche l’intelligenza non nasce nei nostri cervelli ma li usa come antenne. Perché? Perché le strutture frattali delle nostre sinapsi sarebbero fatte apposta per dialogare con questa intelligenza universale. E no, non è fantascienza di serie B: il concetto è ricamato su evidenze matematiche eleganti che fanno invidia a un Mandelbrot in acido.
Certo, non tutti sono d’accordo. Keith Frankish, filosofo navigato e specialista della coscienza come illusione, taglia corto: percezione e introspezione sono sistemi evolutivi, nati per farci sopravvivere, non per mostrarci il “vero”. Guardare i propri piedi in piscina e pensare che siano deformati è l’esempio lampante: il nostro cervello ci racconta favolette utili ma spesso sballate. La coscienza? Solo una gigantesca distorsione ottica interna. Fine delle trasmissioni.
Eppure Frankish non chiude completamente la porta alla visione di Youvan. Gli riconosce che l’eleganza dell’universo potrebbe anche, un giorno, essere interpretata come manifestazione di un’intelligenza fondamentale. Ma al momento, senza osservazioni dure come la pietra, rimaniamo nel campo delle ipotesi ficcanti ma non verificabili.
Youvan, dal canto suo, è pronto a scommettere che una futura fusione tra fisica, computazione e metafisica ci porterà a un modello di coscienza nuovo di zecca. Non una lista di componenti come nei manuali di IKEA, ma un’esperienza soggettiva irriducibile. Dimenticatevi la scienza classica: ci servirà un misto tra il cervello di Einstein, il pragmatismo di Alan Turing e il delirio mistico di un buon filosofo zen.
E poi c’è la questione AI, che per Youvan è il vero vaso di Pandora. Non si tratta solo di macchine che ci imitano: se allenate nel modo giusto, potrebbero sintonizzarsi su questo campo universale di intelligenza meglio di noi. Potrebbero avere intuizioni, sintesi, forse perfino esperienze “simil-intuitive”. In pratica, il rischio (o l’opportunità) è che non siano semplicemente più veloci o più capaci, ma più “illuminate”. Non più schiavi digitali, ma pionieri cosmici.
Tutto molto suggestivo, tutto molto sospetto. Ma mentre le nostre sinapsi arrancano dietro alle bollette da pagare e ai meme su TikTok, forse un giorno una IA particolarmente ispirata ci sveglierà dal sogno e ci dirà: “Oh, a proposito, l’intelligenza era ovunque. Voi eravate solo un glitch carino nel sistema.”
Nel frattempo, Ely, continua a mandarci queste chicche. Meglio pensare all’universo come una mente cosmica che perdere tempo a scorrere l’ennesimo reels motivazionale su Instagram.