Se ti chiedessi: “Compreresti un robot domestico, sapendo che viene guidato da un assistente umano nelle Filippine?”, la risposta istintiva sarebbe un misto di fascinazione e orrore. E sarebbe perfettamente normale. Perché in un mondo sempre più schizofrenico tra innovazione accelerata e rispetto umano in caduta libera, la nuova moda delle startup come Prosper è quella di unire outsourcing e robotica in un cocktail che sa di Black Mirror, ma con il sorriso corporate sulle labbra.

Secondo quanto raccontato da James O’Donnell su The Algorithm per il MIT Technology Review, l’idea geniale – geniale come un tizio che decide di costruire un aereo con la colla vinilica – è di non realizzare robot perfetti, autonomi e intelligenti. Troppo difficile, troppo costoso. Meglio costruire macchine “abbastanza brave” da sembrare autonome, ma che, in realtà, telefonano a casa (Filippine, India o altre destinazioni low-cost) ogni volta che incontrano un problema vero. Robot che fanno pulizie in hotel, assistenza ospedaliera o servizio domestico, guidati da esseri umani pagati poche briciole per agire come marionette invisibili.

Dietro questa trovata, naturalmente, c’è il solito storytelling zuccheroso: “stiamo liberando l’uomo dai lavori umilianti e ripetitivi”. Certo, ma non raccontano che i nuovi “lavori” consisteranno nel passare ore con un joystick in mano a pilotare un robot nell’appartamento di un perfetto sconosciuto, senza mai avere contatto umano diretto, senza diritti, senza privacy e con stipendi da fame. Uno scenario degno di un romanzo distopico, solo che stavolta la distopia si presenta vestita da business plan.

Dal punto di vista tecnologico, tutto questo ha una sua logica brutale. Più dati si raccolgono, più velocemente i robot imparano a gestire ambienti complessi. È il motivo per cui 1X Technologies sta facendo la stessa cosa con Neo, il suo umanoide pronto per il 2025, e Tesla paga 48 dollari l’ora a poveracci in tute da motion capture per addestrare Optimus a non inciampare sui suoi stessi piedi. In questa gara a chi costruisce il servo perfetto, l’essere umano non è altro che un consumabile.

E poi, vogliamo parlare della privacy? Aprire casa tua a un robot che, nei momenti di bisogno, passa il volante a un operatore anonimo a 10.000 chilometri di distanza significa, di fatto, firmare una cambiale in bianco su ciò che resta della tua intimità. Pensavi che Alexa fosse invasiva? Aspetta che un umano reale possa vedere dove nascondi il whisky o come parli ai tuoi gatti.

Il paradosso più grottesco è il modo in cui questa rivoluzione distrugge anche quei lavori che erano considerati “al sicuro” perché troppo fisici, troppo personali, troppo radicati nella realtà per essere sostituiti da una macchina. Adesso non solo li sostituiamo, ma li smaterializziamo, li sradichiamo dal tessuto sociale, li trasportiamo in uno spazio etereo dove il lavoro umano diventa pura prestazione remota, senza volto, senza dignità.

A questo punto non è nemmeno più questione di tecnologia contro lavoro umano, è una questione di valore: quanto poco stimiamo davvero l’essere umano, se preferiamo pagare una miseria per avere un robot zoppo telecomandato invece che un vero lavoratore a salario dignitoso? Se ci ossessioniamo così tanto per ridurre “i costi” da disumanizzare completamente ogni relazione lavorativa?

Del resto, il trend era già chiaro. Ricordo con amara ironia quella pubblicità aziendale in cui un imprenditore veniva deriso per il fatto di “assumere ancora umani” al posto di affidarsi a IA che non dormono, non si lamentano, non chiedono ferie. Era fatta per far ridere. A me, personalmente, è venuta voglia di tirare una sedia al monitor.

Non si tratta di essere luddisti nostalgici. Amo la tecnologia, vivo per la tecnologia. Ma il problema è che in nome della “produttività” stiamo smantellando pezzo dopo pezzo l’idea stessa di società, riducendo il lavoro a un’operazione matematica priva di ogni valore umano. Se questo è il prezzo per un robot che ti piega le camicie, forse è ora di chiederci se il gioco valga davvero la candela.

Ti piacerebbe che ti raccontassi anche alcuni possibili scenari alternativi in cui questa tecnologia non porta a un mondo distopico?