La pubblicità e lo shopping online sono stati per trent’anni il lubrificante che ha fatto girare gli ingranaggi della macchina di Internet. Non solo l’hanno sostenuta, ma l’hanno drogata a tal punto che oggi è impensabile navigare senza essere inseguiti da annunci su misura o senza incappare in una tentazione di acquisto al primo scroll. Era solo questione di tempo prima che il matrimonio tra intelligenza artificiale, pubblicità e shopping si trasformasse in una delle più grandi operazioni di monetizzazione mai concepite. E la notizia fresca fresca di questi giorni lo conferma senza lasciare dubbi: OpenAI ha piani piuttosto ambiziosi.

Secondo uno scoop rivelato questa settimana da the Information, OpenAI si aspetta che entro il 2029 i ricavi generati dagli agenti AI e dai prodotti destinati agli utenti gratuiti (sì, anche quelli che adesso si sentono furbi usando ChatGPT senza pagare) contribuiranno per decine di miliardi di dollari al suo fatturato. I dettagli su come intendano mungere la vacca sacra dei “freemium” sono ancora nebulosi, ma due strade sono quasi scontate: pubblicità integrata nelle risposte oppure una percentuale sulle transazioni di acquisto innescate dalle ricerche. Insomma, se ChatGPT ti suggerisce un paio di sneakers “irresistibili” e tu clicchi per comprarle, OpenAI prende la sua fetta della torta, rigorosamente senza sporcare le mani.

E non finisce qui. L’azienda ha già lanciato “Operator”, un agente AI che può fare shopping online al tuo posto. Amazon sta fiutando l’affare con le sue contromosse, ovviamente, perché nessuno a Seattle ha intenzione di restare a guardare. Nel frattempo, altre startup stanno spingendo nuovi agenti AI nel mercato, tutti ansiosi di farti spendere soldi in modo ancora più inconsapevole ed efficiente.

Tuttavia, c’è un piccolo, insignificante dettaglio: gli agenti AI, per ora, sono mediocri nello shopping. Non lo dico io, lo dice Sissie Hsiao, un alto dirigente di Google, sotto giuramento durante un’udienza antitrust a Washington. Secondo Hsiao, i chatbot oggi “non sono stati proprio eccezionali” nel trovare l’ultima giacca di tendenza o il gadget tecnologico appena lanciato. Il motivo? I modelli di linguaggio si allenano su dati pregressi, non sul catalogo in tempo reale del fast fashion o sulle offerte flash del giorno. In altre parole, mentre tu cerchi la novità, l’AI ti propone il best seller di tre mesi fa. Un po’ come farsi consigliare da un amico che vive in una caverna senza Wi-Fi.

C’è però una soluzione, ed è tanto semplice quanto inquietante: i retailer potranno caricare direttamente i loro cataloghi nei modelli AI, aggiornandoli in tempo reale. Così, la prossima volta che chiedi “qual è il miglior smartphone sotto i 500 euro?”, l’AI non si limiterà a darti un’opinione generica, ma ti proporrà un link diretto a un prodotto sponsorizzato, gentilmente offerto dal miglior offerente.

Ora, qui entra in gioco la pubblicità, quella vera, quella pesante, quella che muove miliardi. Oggi, le ricerche su Google, Amazon e Meta sono il cuore pulsante della pubblicità online perché guidano comportamenti di acquisto. Se il traffico shopping si sposta sui chatbot AI, indovina chi dovrà inseguire gli utenti? Gli inserzionisti, ovviamente. Quindi OpenAI, Perplexity, Anthropic e compagnia cantante non stanno solo costruendo motori di risposta, ma vere e proprie nuove piattaforme pubblicitarie che potrebbero rosicchiare enormi fette di mercato ai dinosauri di Silicon Valley.

È un po’ come la corsa all’oro del XIX secolo, solo che stavolta l’oro sono i dati, le transazioni e il potere di influenzare la decisione d’acquisto prima ancora che l’utente realizzi di aver deciso qualcosa.

La morale? L’intelligenza artificiale non si accontenterà di aiutarti a rispondere a un’email o scrivere una poesia per la tua fidanzata. Ti accompagnerà mentre spendi soldi, possibilmente soldi che non pensavi nemmeno di voler spendere. E lo farà con la stessa dolcezza di un venditore di aspirapolvere che ti sorride mentre ti svuota il conto corrente.

Ti va se ti preparo anche un rapido schema grafico dell’evoluzione AI-shopping?