Comments Received in Response To: Request for Information on the Development of an Artificial Intelligence (AI) Action Plan (“Plan”)

La Casa Bianca ha appena scaricato online tutti i 10.068 commenti ricevuti durante la sua richiesta di informazioni per delineare un piano d’azione sull’intelligenza artificiale. Non stiamo parlando di una consultazione tra burocrati in tailleur e cravatta, ma di un autentico sfogo collettivo, una sorta di “confessione pubblica” sul futuro dell’umanità assistita da macchine.

Per chi non ha voglia di farsi una maratona da 10.000+ pareri pubblici (spoiler: nessuno ha voglia), è disponibile una dashboard con i riepiloghi generati da AI. Ironico, vero? L’AI che riassume le lamentele contro l’AI. Una distopia perfettamente autosufficiente.

Ma veniamo al punto. Il sentimento dominante è il disprezzo, con una punta di paranoia tecnofobica. Non si tratta solo di una manciata di boomer inferociti: è un fronte ampio, trasversale, che unisce utenti ordinari, attivisti, professionisti creativi, e pure qualche tecnologo pentito.

Il copyright domina il campo di battaglia morale. Migliaia di persone accusano le attuali pratiche dell’IA generativa di essere “furti mascherati”. Non si limitano a una critica tecnica: è una vera e propria accusa ideologica. L’IA viene vista come una sanguisuga che si nutre del lavoro umano senza restituire nulla. Il concetto stesso di “training data” viene ormai associato a espropriazione indebita, pirateria a norma di codice.

Poi c’è il nodo occupazionale: in tanti temono che l’IA stia venendo a prendersi il pane quotidiano. Lavori persi, professionalità svalutate, intere industrie sotto scacco. Un déjà-vu digitale, ma con meno catene di montaggio e più tastiere silenziose. A questo si aggiungono le inquietudini ambientali – le server farm divorano energia – e i rischi di sicurezza, anche quelli esistenziali. Già, perché non siamo mai troppo lontani dall’idea che l’IA possa, alla lunga, farci fuori con un sorriso di silicio.

Sorprendentemente, una quantità non trascurabile di partecipanti ritiene che tutta questa faccenda dell’intelligenza artificiale sia semplicemente… sopravvalutata. Come se stessimo costruendo la torre di Babele solo per renderci conto che è piena di bug, hallucinations e spam. C’è chi si chiede se tutta questa “innovazione” serva davvero, o se sia solo l’ennesimo specchio per le allodole tecnologiche.

Il pubblico, in larga maggioranza, invoca regolamentazione. Seriamente. Roba scritta in legge, con sanzioni vere. Ma ovviamente, come da copione, le grandi aziende del settore – i soliti noti – spingono per “flessibilità”, “spazio all’innovazione” e tutte le altre formule generiche con cui si intende “non rompete troppo le scatole”.

Il riassunto fornito da GPT-4.1 riesce a cogliere il punto in maniera quasi poetica: la società è divisa. Da un lato, cittadini allarmati, diffidenti, che chiedono freni, limiti, protezioni. Dall’altro, il business, che si frammenta tra colossi affamati di deregolamentazione e startup impaurite che chiedono regole più giuste, leggasi: un modo per non venire schiacciate da chi ha già tritato miliardi di parametri.

Nel mezzo, l’ennesima polemica su OpenAI, che ha scatenato una rivolta quasi notarile: un gruppo di personalità illustri – tra cui Geoffrey Hinton, Stuart Russell, Margaret Mitchell, il premio Nobel Joseph Stiglitz e diversi ex dipendenti della stessa OpenAI – ha firmato una lettera indirizzata ai procuratori generali di California e Delaware per bloccare completamente la transizione della compagnia a scopo di lucro. Altro che valutazione equa: qui si chiede il reset totale.

La lettera, orchestrata da Page Hedley insieme a Encode Justice e Legal Advocates for Safe Science and Technology, segna un cambio di tono. Non si tratta più di discutere il prezzo della transizione, ma di mettere in discussione l’intero meccanismo di potere che si è creato attorno all’IA generativa. Un gesto che sa di sfida diretta all’élite tech.

OpenAI, in un atto comunicativo degno di uno spin doctor stanco, ha reagito alla lettera dicendo – sbagliando – che alcuni firmatari lavoravano per Anthropic. Il classico autogol aziendale: nel tentativo di screditare gli oppositori, li hanno confusi con quelli della concorrenza. E qui, l’unica intelligenza messa in discussione è quella del team PR.

Se vuoi mettere le mani sui documenti, e magari costruirti un tuo parere senza farti influenzare dai soliti titoloni, ecco dove iniziare:

Dashboard dei riepiloghi AI

E se ti senti un po’ procuratore generale dentro, puoi partire dai documenti completi qui.

Siamo nel pieno di un confronto storico. E no, non sarà ChatGPT a risolverlo. Sarà il caos umano, con tutti i suoi difetti, a decidere se l’IA sarà un assistente, un nemico o l’ennesimo idolo infranto da mettere in soffitta.