Mentre Tesla attende il placet del Partito per far sfrecciare il suo Full Self-Driving (FSD) sulle strade cinesi, i grandi nomi dell’automotive tedesco e giapponese stanno già firmando accordi a tutta manetta con i campioni nazionali dell’intelligenza artificiale made in China. La scena è il salone dell’auto di Shanghai, ma l’aria è quella di una rivoluzione culturale – questa volta digitale.
Mercedes-Benz sfodera la CLA elettrica a passo lungo, un salotto su ruote pensato per il mercato cinese, con sotto il cofano non solo batterie ma ByteDance. No, non balla su TikTok: il motore qui si chiama Doubao, un Large Language Model sviluppato proprio dal colosso social. L’assistente vocale del veicolo parte in 0,2 secondi letteralmente più veloce di un impiegato pubblico nel timbrare l’uscita. ByteDance promette che l’auto non si limita a capire, ma esegue comandi in tempo reale. Non chiacchiere, ma fatti, nel vero spirito della nuova frontiera LLM.
Dall’altra parte dello stand, BMW gioca la carta Qwen, l’AI sviluppata da Alibaba, l’e-commerce trasformato in impero tecnologico. Il “Neue Klasse” elettrico tradotto: la nuova classe borghese della mobilità a zero emissioni – integra l’AI di Jack Ma come un copilota digitale pensante. La chiamano “mobilità AI-driven”, ma potremmo leggerla come “Chi non parla cinese, resta indietro”.
Già, perché anche Nissan e Honda si stanno adattando. Entrambe le case giapponesi hanno confermato al salone che stanno integrando DeepSeek, una start-up di Hangzhou, nelle loro interfacce vocali di bordo. Se l’automobile del futuro sarà una conversazione costante tra uomo e macchina, meglio che la macchina abbia una dizione impeccabile e risposte più sveglie di quelle di Alexa.
Volkswagen, con SAIC, non si è accontentata: ha fatto il pieno sia di Baidu (il famigerato Ernie) sia di DeepSeek per la sua nuova Teramont Pro SUV. Due AI in un colpo solo, come mettere due cervelli sotto un solo tetto – un po’ come un matrimonio tra un ingegnere tedesco e un filosofo zen, con risultati tutti da guidare.
Il dato macroscopico è che i grandi costruttori occidentali stanno colonizzando la loro tecnologia AI non in Silicon Valley, ma in Cina. Non perché sia di moda, ma perché la Cina – almeno in questo – sembra aver preso il largo. Mentre Tesla resta assente dalla scena di Shanghai, in attesa di benedizione politica per i suoi software autonomi, i rivali si mettono a tavola con Alibaba, Baidu e ByteDance, senza tante cerimonie.

Dietro la corsa all’intelligenza c’è una trasformazione più profonda: l’auto sta diventando una piattaforma, un’estensione del nostro smartphone. Huawei, ad esempio, ha presentato HarmonySpace 5, un “cockpit intelligente” basato su una combinazione di DeepSeek e il suo Pangu AI. La promessa? Esperienze multimediali su misura, playlist generate on-the-fly, film suggeriti in base all’umore del traffico. Il tutto, ovviamente, in uno spazio che somiglia sempre più a un salotto hi-tech.

Anche iFlytek si è fatto vedere: la sua piattaforma “intelligent agent” permette ai costruttori di personalizzare l’interfaccia AI secondo i propri gusti, come se fosse un menù à la carte dell’intelligenza artificiale. Più open source, meno black box. Un’AI alla portata dell’OEM.
Prima si cercava di capire cosa dice il conducente, ora si tratta di fare quello che chiede. Aggiungendo la chicca di un futuro in cui l’auto regola autonomamente il consumo della batteria in base allo stile di guida – praticamente il sogno di ogni pendolare nevrotico.
E nel frattempo, Tesla osserva. Da fuori. Con la sua FSD parcheggiata metaforicamente in un vicolo cieco della burocrazia cinese. Il messaggio, però, è chiaro: chi vuole vendere auto in Cina dovrà parlare la lingua – non quella di Confucio, ma quella degli LLM. E chi guida, nel frattempo, sarà sempre meno solo… e sempre più ascoltato.