Se il futuro dell’intelligenza artificiale cinese fosse un’arena di gladiatori, Baidu oggi avrebbe appena sguainato due spade affilate e low-cost. Alla sua conferenza per sviluppatori a Wuhan, Robin Li co-fondatore, CEO e oratore instancabile per oltre un’ora ha presentato Ernie 4.5 Turbo e X1 Turbo, i nuovi modelli AI che promettono una cosa molto semplice e spietatamente capitalistica: fare meglio, spendendo meno.

Non si tratta di evoluzioni minori. Ernie 4.5 Turbo si propone come alternativa multimodale al DeepSeek V3, costando il 40% in meno. X1 Turbo invece si posiziona come killer della R1 di DeepSeek, con un prezzo che è un quarto rispetto al suo concorrente diretto. E Li non lo nasconde: “L’essenza dell’innovazione è abbattere i costi”. Come dire: meno poesia e più margine operativo lordo.

Dietro l’enfasi sul risparmio c’è una strategia molto più profonda: la democratizzazione dell’AI per una nuova ondata di applicazioni, non tanto l’ennesima rincorsa al modello foundation più muscoloso. È una visione che ribalta il culto dell’algoritmo dominante e punta invece su un ecosistema di micro-rivoluzioni software, costruite su fondamenta accessibili e scalabili.

La mossa arriva in un momento tatticamente perfetto. Dal primo aprile, Ernie Bot è diventato gratuito in Cina. L’app, nota localmente come “Wenxiaoyan”, è il volto popolare di una strategia che mira a recuperare slancio dopo che Baidu, primo big tech cinese a lanciare un LLM nel 2023, ha visto l’onda lunga di ChatGPT erodere il proprio vantaggio competitivo con l’arrivo di start-up come DeepSeek.

Ma ora, con la doppietta Turbo e la nuova ondata di incentivi, Baidu vuole tornare padrone del gioco. Alla conferenza, Li ha annunciato la terza edizione della sua competition per sviluppatori, mettendo sul piatto 70 milioni di yuan (quasi 10 milioni di dollari) in finanziamenti. L’obiettivo dichiarato è quello di aiutare gli imprenditori a costruire app AI. Quello reale? Creare una giungla di use-case che rendano i modelli Baidu onnipresenti, anche laddove ChatGPT & Co. non arriveranno mai.

Nel frattempo, l’azienda lavora sottotraccia su un altro fronte fondamentale: l’hardware domestico. Baidu ha attivato un cluster AI composto da 30.000 processori progettati dalla sua sussidiaria Kunlun. Tradotto: addio dipendenza da Nvidia o dai capricci geopolitici USA. Questo cluster allena modelli con parametri che vanno dalle decine ai centinaia di miliardi, un’infrastruttura che punta a sostenere la crescita interna e garantire una certa autonomia strategica.

L’integrazione dell’AI nei servizi già esistenti ha cominciato a dare frutti. La piattaforma documentale Wenku e il cloud NetDisk, entrambi potenziati dall’intelligenza artificiale, sono esplosi in utenti attivi mensili: 97 milioni e 80 milioni rispettivamente. Huiboxing, la piattaforma che trasforma brevi dirette live in show animati da host virtuali, viene oggi utilizzata da esportatori cinesi colpiti dai dazi statunitensi per incrementare le vendite online in patria.

Il messaggio finale di Robin Li è semplice: nel futuro prossimo, non vincerà il miglior modello. Vincere sarà un gioco di accoppiamenti intelligenti tra modelli e applicazioni. Un Darwinismo algoritmico in cui a dominare saranno gli ecosistemi, non i muscoli computazionali.

In questo scenario, Baidu vuole essere il creatore della giungla. Non solo fornendo gli strumenti, ma garantendo che siano economici, accessibili e profondamente integrabili. La vera AI “Made in China” non sarà un monolite, sarà un’invasione silenziosa fatta di migliaia di app che ti semplificano la vita. E ti leggono nel pensiero, con uno sguardo turbo.