TSMC ha appena calato un asso grosso quanto un wafer da cena natalizia. Altro che chip, qui parliamo di porzioni formato famiglia di potenza computazionale, cucinate a puntino per l’intelligenza artificiale affamata di elettroni e silicio. Il colosso taiwanese, padrone incontrastato del foundry globale, ha annunciato l’arrivo della sua tecnologia A14 prevista per il 2028, promettendo un miglioramento delle prestazioni del 15% a parità di consumo rispetto all’attuale generazione N2, oppure un risparmio energetico del 30% mantenendo la stessa velocità. Roba da far sbiancare i condensatori.

Ma il vero piatto forte, quello che fa gola a chi lavora con l’IA generativa e i modelli multimiliardari di parametri, è il cosiddetto “System on Wafer-X”. Qui non parliamo di chip, ma di interi sistemi serviti su un unico wafer. TSMC ha intenzione di intrecciare insieme almeno 16 chip di calcolo massicci, aggiungendo memoria, interconnessioni ottiche e tecnologie di alimentazione capaci di sparare migliaia di watt come fossero prosecco in discoteca.

Nvidia, che oggi si bea dei suoi GPU composti da due chip cuciti insieme, prevede di portare a quattro il numero nel 2027 con Rubin Ultra. TSMC sta invece apparecchiando una tavola in cui le portate sono impilate una sull’altra, con la grazia di un Jenga al plutonio. Il messaggio è chiaro: il futuro dell’AI non è più solo nel chip singolo superveloce, ma nella sua capacità di dialogare, cooperare e dissipare calore come un oracolo quantistico in cerca di senso.

E non parliamo solo di slide e promesse in PowerPoint. TSMC ha già piantato i pilastri per questo impero del silicio nel deserto dell’Arizona, con sei fabbriche di chip, due impianti per l’impacchettamento e un centro R&D che suona come una Manhattan Project 2.0, ma questa volta per l’era dell’intelligenza sintetica. Il fatto che Nvidia e AMD siano già clienti, rafforza il concetto che Phoenix non sarà solo un posto per cuocere uova sul cofano della macchina, ma un hub strategico della computazione mondiale.

Kevin Zhang, uno dei due co-COO dell’azienda (perché uno solo evidentemente non basta), ha sottolineato come non si tratti solo di portare silicio avanzato negli USA, ma anche di evolverlo. Ogni nuova generazione di chip ha bisogno di un contesto che la nutra: alimentazione ad alta densità, interconnessioni ultraveloci e partner disposti a giocare secondo le regole TSMC. Non è più solo una corsa alla miniaturizzazione, ma una danza sincronizzata tra fisica dei materiali, termodinamica e diplomazia industriale.

Intel, dal canto suo, giura di essere pronta al sorpasso tecnologico. Lo diranno la prossima settimana con il solito entusiasmo da evangelisti del silicio, ma la realtà è che oggi il campo di battaglia non è più solo chi fa il chip più piccolo, ma chi lo sa impacchettare meglio. In un mondo dominato da AI che divorano energia e bit a colazione, chi controlla la supply chain della potenza e del packaging ha il coltello dalla parte del wafer.

E come dice Dan Hutcheson di TechInsights, non si sceglie più un foundry solo perché ha il nodo più fine. Si valuta il customer service, il prezzo, la capacità di allocazione dei wafer, e quanto bene riescano a dirti “sì” senza farti aspettare sei mesi. Perché alla fine, il futuro dell’AI non sarà scritto da chi ha i migliori transistori, ma da chi sa cucinare il miglior piatto di transistor con condimento ottico e contorno di memoria ad alta larghezza di banda.

Hai fame di futuro? TSMC sta già apparecchiando la tavola.