Mentre Pechino inserisce l’intelligenza artificiale nei programmi scolastici obbligatori per i bambini di sei anni, Washington cerca di rincorrere la corsa globale all’AI con un’operazione di facciata mascherata da piano educativo. Con una firma rapida e teatrale, Donald Trump ha appena approvato un ordine esecutivo per espandere l’educazione all’intelligenza artificiale, proclamando una nuova iniziativa nazionale e istituendo una task force dedicata. Tutto molto patriottico, tutto molto 2025. Ma sotto la patina di slogan altisonanti, emergono i soliti difetti strutturali di una politica scollegata dalla realtà del sistema educativo americano.

L’ordine esecutivo, firmato a gennaio durante il suo secondo mandato (sì, Trump è tornato), ribalta le restrizioni in materia di AI introdotte durante l’era Biden. Al centro del progetto troviamo la “White House Task Force on AI Education”, presieduta dal direttore dell’Ufficio per la Politica Scientifica e Tecnologica. Tra i membri figurano alti funzionari dei dipartimenti dell’Energia, dell’Agricoltura, dell’Istruzione e del Lavoro, oltre a David Sacks, consigliere speciale della Casa Bianca per l’AI e le criptovalute. Una cabina di regia composta da figure politiche e tecnocrati, con il compito di rendere gli studenti americani “partecipanti fiduciosi nella forza lavoro assistita dall’AI”.

In teoria, un passo avanti. In pratica, un salto nel buio. Perché la stessa amministrazione che ora predica l’alfabetizzazione AI ha appena tagliato, a marzo, i fondi al Dipartimento dell’Educazione. Qui non si parla di spiccioli, ma di riduzioni significative che rendono più che legittimo il dubbio: come si implementa un piano educativo nazionale high-tech in un sistema scolastico cronicamente sottofinanziato?

La strategia prevede anche un “Presidential AI Challenge” per esaltare studenti e insegnanti, incentivare l’adozione tecnologica a livello geografico e stimolare partnership tra pubblico e privato, accademia, industria e filantropia. Una sinfonia ben scritta sulla carta, ma priva di strumenti reali per essere suonata. Si ordina al Segretario dell’Istruzione di dare priorità alla formazione AI nei grant per la formazione docenti, e alla National Science Foundation di focalizzare la ricerca sull’applicazione dell’AI nell’istruzione. Ma senza soldi, senza linee guida, senza infrastruttura digitale diffusa nelle scuole, tutto questo suona più come una pubblicità elettorale che come una rivoluzione educativa.

E mentre gli Stati Uniti arrancano con task force e proclami, la Cina ha già standardizzato l’educazione all’intelligenza artificiale nelle scuole primarie. Non come esperimento pilota, ma come obbligo di sistema. È una differenza culturale, certo, ma soprattutto una questione di visione a lungo termine. Pechino non aspetta i fondi. Pianifica, decide e implementa.

Trump parla di “preparare i giovani americani a guidare la tecnologia AI del futuro”. Una frase che suona potente ma che, in assenza di investimenti concreti e strutture operative, resta solo uno slogan. È la politica dell’annuncio, il classico fuoco d’artificio mediatico senza carburante. Eppure, in un’epoca dove l’AI è il nuovo petrolio, il rischio è che l’America si ritrovi spettatrice mentre altri guidano il convoglio.

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