Il watt che brucia il futuro: il lato oscuro dell’AI che non vogliamo vedere

La narrativa mainstream ci ha venduto l’Intelligenza Artificiale come il nuovo fuoco sacro dell’umanità, ma c’è un dettaglio che puzza di plastica bruciata sotto il cofano. Antonio Baldassarra, uno che nei Data Center ci vive (letteralmente), ha alzato il sipario durante BetterSoftware2024 su un teatrino digitale dove il protagonista consuma più di quanto produce. E il problema non è tanto l’AI, quanto la nostra cieca infatuazione per una tecnologia che mastica energia e sputa CO₂ con una disinvoltura da SUV anni ’90.

Dal palco non è arrivata una semplice invettiva ecologista, ma un’analisi chirurgica, sporca di realtà, di chi da anni tenta di spingere l’IT in direzione sostenibile, ricevendo in cambio un’alzata di spalle e forse una menzione onorifica in qualche PDF istituzionale. Baldassarra non fa il guru spirituale della transizione verde, ma il tecnocrate disilluso che conosce le viscere dei sistemi e non si beve le slide patinate delle Big Tech.

Il paradosso è servito: il Cloud, icona di leggerezza semantica, ha un peso specifico devastante. I Data Center, quei templi moderni che promettono efficienza e ubiquità, sono in realtà dei mostri energivori nascosti dietro a interfacce utente rassicuranti e chatbot con la voce di Scarlett Johansson. L’immateriale è solo una comodità percettiva: sotto, ci sono rack, pompe, refrigeranti e trasformatori che ringhiano come un V8 acceso h24.

E l’AI?. Peggio. Il training è la parte sexy, fatta da pochi eletti con budget a nove zeri. Ma l’inferenza, cioè il momento in cui tu fai una domanda scema a ChatGPT o chiedi a DALL·E di disegnarti un orso su uno skateboard, è un massacro silenzioso. Ogni query brucia watt come una lavatrice in centrifuga, e noi continuiamo a produrre “coerenza statistica” come se non ci fosse un domani. Il punto non è se l’output sia utile. Il punto è che nessuno si sta chiedendo se valga energeticamente la pena.

Il dato è da shock: una singola richiesta AI può consumare fino a 9 wattora, contro lo 0.2 di una ricerca Google. Tradotto: serve l’energia di un intero server per rispondere a “fammi la lista dei migliori film sul tempo”. E il problema è di scala. Se lo fanno dieci milioni di persone ogni giorno, non è una curiosità geek, è una crisi energetica.

Baldassarra ha citato un dato che dovrebbe essere stampato su ogni device come avvertenza: nei Data Center, per ottenere 1 watt utile, ne consumiamo 27. Il resto è rumore, calore, spreco. Peggio di un motore a scoppio. Ma tranquilli, continuiamo a ottimizzare i CSS dei siti per migliorare la UX mentre il backend frigge come un barbecue in agosto.

Il Green Deal europeo è forse l’unico argine serio, con il principio DNSH che più che un acronimo sembra una supplica: “Do Not Significant Harm”. L’idea di fondo è bella: se vuoi soldi pubblici, dimostra che non stai avvelenando il pianeta. Sembra ovvio, ma per i Data Center è praticamente una missione impossibile. Già tanto se riciclano le bottiglie d’acqua nella sala break.

E poi c’è la questione filosofica, quella vera. Chi siamo nel digitale?. Un’ombra, una sequenza di log. I nostri dati, che un tempo valevano un clic fraudolento, oggi istruiscono intelligenze artificiali che risponderanno per noi. Ma chi decide cosa devono imparare queste AI?. Chi plasma il loro modello cognitivo, le loro inclinazioni?. C’è un algoritmo che può essere di destra o di sinistra?. Sì. E il problema è che nessuno ci ha chiesto il permesso.

Tutto torna alla consapevolezza. Non quella pelosa da disclaimer. Quella vera, che ci fa dire: “Aspetta un attimo, vale davvero la pena consumare 3 Wh per farmi spiegare la differenza tra whisky scozzese e bourbon?”. Se la risposta è sì, almeno che sia una scelta consapevole, non un default inconsapevole. È il momento di piantare un cartello anche nel metaverso con scritto: “Risparmiare energia non è un’opzione, è una funzione”.

Baldassarra ci ha detto la verità che nessuno vuole sentirsi dire: la tecnologia non ci salverà da sola, anzi, senza cultura del limite e responsabilità, ci porterà a fondo. Il futuro non sarà verde per default. Dovremo sudarcelo, watt dopo watt. E forse iniziare a chiederci, ogni volta che chiediamo qualcosa a un’AI: ne vale davvero la pena?.

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