Mentre Elon Musk twitta con la leggerezza di un ventenne in pieno trip da caffeina, Tesla si gioca il futuro sull’azzardo più grande mai fatto dal mondo automotive: i robotaxi, ovvero veicoli a guida autonoma supervisionati da remoto, in fase di test in Texas e California. Il programma, se tutto andrà come previsto (sì, come no), dovrebbe vedere la luce pubblicamente entro l’estate. Ma questa non è una semplice evoluzione dell’app per richiedere una corsa. È un tentativo disperato di ribaltare un trimestre disastroso, con vendite a picco e una concorrenza cinese che macina terreno come un rullo compressore.

La scena è già surreale: impiegati Tesla che si prenotano un passaggio su un’app etichettata Robotaxi, salgono su Model Y guidate da software FSD (Full Self Driving), mentre un povero cristo sul sedile anteriore è lì, pronto a intervenire quando l’algoritmo decide di improvvisare. La supervisione umana è ancora obbligatoria, ma Musk promette che la prossima release sarà veramente senza conducente, anche se sorvegliata da remoto. Il che, tradotto, significa che invece di un autista sul sedile anteriore, ci sarà un tecnico in pigiama davanti a uno schermo a chilometri di distanza.

Finora, il test ha prodotto oltre 1.500 corse e 24.000 chilometri percorsi. Numeri interessanti, ma che nel mondo reale valgono meno di una conferenza stampa di Meta. Il tutto mentre Waymo e altri competitor hanno già ottenuto autorizzazioni per operare robotaxi in città come Austin, rubando a Tesla la narrativa dell’innovazione.

Elon, intanto, prova a distrarre l’opinione pubblica con battutine sulla “quantità assurda di Tesla che girano in tondo ad Austin”. Simpatico, se non fosse che dietro l’ironia si nasconde una crisi esistenziale da leadership tecnologica. Anche il Cybercab, veicolo-fantasma due posti senza volante né pedali, promesso per il 2026, pare più un trailer di Black Mirror che una proposta industriale concreta. Ma a Musk piace così: lanciare l’idea, alimentare il feticismo tecnologico, e poi… si vedrà.

Il problema vero è che la regolamentazione non è un algoritmo aggiornabile con una patch. Le autorizzazioni per una vera operatività su larga scala richiederanno anni, e nel frattempo Tesla deve combattere su più fronti: margini in calo, perdita di fiducia degli investitori e una concorrenza cinese che ormai non copia più, ma innova più in fretta e meglio.

L’app Robotaxi, simile a Uber o Lyft, è solo la vetrina patinata di un’infrastruttura ancora tutta da costruire. La città di Austin è coinvolta nei dialoghi regolatori, ma l’unico via libera vero, finora, è quello per trasportare i propri dipendenti. Per il grande pubblico, ci vorranno ancora molte promesse, molti tweet e, probabilmente, un paio di figuracce in mondovisione.

Nel frattempo, Musk ha dichiarato che ridurrà il suo coinvolgimento con il governo americano per tornare a concentrarsi su Tesla. Una mossa che sa di rientro forzato dopo aver toccato il fondo. Perché senza una rivoluzione commerciale, senza una flotta autonoma funzionante e autorizzata, Tesla rischia di passare da game changer a nota a piè di pagina nella storia dell’auto elettrica. E questo, per un visionario narcisista come Elon, sarebbe l’unico fallimento davvero inaccettabile.