Se c’è una cosa che Adobe sa fare — oltre a spremere gli abbonamenti mensili come se fossero limoni — è trasformare una necessità tecnica in una dichiarazione di intenti. Oggi tocca all’autenticità dei contenuti, una di quelle parole che suonano bene nelle conference call con gli investitori e che, nella pratica, potrebbero davvero cambiare qualcosa per i creatori di contenuti digitali. Parliamo della nuova web app Content Authenticity in beta pubblica, una piattaforma che promette di ridare identità — e controllo alle immagini che galleggiano nel mare magnum del web.

Adobe ha preso il suo sistema di Content Credentials e gli ha dato un’interfaccia accessibile, funzionale, e soprattutto indipendente dagli altri software della suite Creative Cloud. Questo vuol dire che non serve essere utenti di Photoshop o Illustrator per marchiare digitalmente le proprie creazioni: basta un account Adobe e un po’ di JPEG o PNG. E se ti stai chiedendo “e i RAW?”, ti toccherà aspettare. Adobe dice che supporto a video, audio e file di grandi dimensioni è “in arrivo”. Tradotto: ci stiamo lavorando, magari tra qualche aggiornamento.
La tecnologia alla base? Una sorta di metadato invisibile ma resistente, che si incolla all’immagine come un sigillo notarile del XXI secolo. Ci puoi infilare di tutto: social, portfolio, siti personali, e persino lo storico delle modifiche. Perfetto per capire non solo chi ha creato l’opera, ma anche se è passata sotto le grinfie di qualche IA generativa. Una nota interessante è la possibilità di applicare tag di opt-out per evitare che le immagini vengano fagocitate dagli algoritmi affamati di contenuti. Non che questo fermerà OpenAI o Google, ma è un primo “NO” detto con stile.
La ciliegina su questa torta di buona volontà? L’integrazione con LinkedIn per verificare l’identità. Un tocco quasi vendicativo, visto che X è stato uno dei fondatori dell’iniziativa Content Authenticity nel 2019, prima di saltare giù dal carro e trasformare la verifica utenti in un badge a pagamento. Adobe, nel suo screenshot promozionale, ci tiene a indicare X ancora come “Twitter”. Una frecciatina sottile ma ben assestata.
E se pensi che tutto questo sia riservato ai professionisti, ti sbagli. Anche l’utente medio può usare l’estensione per Chrome e controllare se una foto online è autentica, o se è stata ritoccata, magari da un’intelligenza artificiale. Utile in un’epoca dove una bambina in giardino potrebbe essere una creazione di Firefly Ultra, piuttosto che tua nipote in posa per il primo giorno di scuola.
Parlando di Firefly 4, Adobe non si è fermata all’autenticità. Ha aggiornato la sua piattaforma generativa con la quarta generazione di modelli text-to-image, dividendoli tra versioni rapide e leggere e modelli più potenti, capaci di gestire dettagli complessi. A colpo d’occhio, i risultati sono ottimi, anche se qualche ombra sbagliata tradisce ancora il tocco siliconico. Ma l’ulteriore passo è l’apertura verso i modelli concorrenti: OpenAI, Google, Runway, e altri saranno accessibili dalla stessa interfaccia Firefly. Ovviamente, Adobe precisa che i suoi modelli sono “commercialmente sicuri”, gli altri… beh, usateli “solo per sperimentare”. Una strategia a metà tra inclusività e controllo del brand.
Intanto, Photoshop e Illustrator si aggiornano con nuove funzioni generative, miglioramenti AI-driven e un piano ambizioso: trasformare l’agente creativo di Adobe in un assistente personale che impara il tuo stile. Una sorta di intern creativo digitale, ma senza pause caffè o pretese salariali.
Insomma, Adobe si posiziona come paladino dei creatori, vendendo al contempo gli strumenti che servono a dominare (e proteggere) l’universo visivo del futuro. Un equilibrio cinico ma efficace, in puro stile Silicon Valley: ti do gli strumenti per non farti rubare il lavoro… ma te li faccio pagare caro, prima o poi.