OpenAI, che molti vedono ancora come la startup ribelle dell’intelligenza artificiale generativa, sembra invece pronta a diventare una delle aziende più redditizie del decennio. I numeri che emergono dai documenti riservati ottenuti da The Information parlano chiaro: si prevede che i ricavi annui dell’azienda passeranno da 13 miliardi di dollari nel 2025 a 125 miliardi nel 2029. Sì, hai letto bene, quasi un +1.000% in quattro anni. Con margini lordi che dovrebbero schizzare al 70%, non stiamo più parlando di una startup, ma di una macchina da guerra che ha trovato il modo di monetizzare l’intelligenza artificiale come nessun altro.

E la chiave di questa crescita? Il solito cocktail di visione futuristica e cinismo imprenditoriale. OpenAI non si accontenta più di vendere API o abbonamenti basic al proprio ChatGPT. Sta costruendo un vero e proprio ecosistema in cui l’utente non paga solo per accedere a un modello linguistico, ma per un intero arsenale di agenti intelligenti, software autonomi capaci di svolgere compiti in autonomia, come programmare, rispondere a domande da dottorato o gestire flussi di lavoro complessi. E non sono economici: si parte da 2.000 dollari al mese e si arriva a 20.000. Un SaaS? No, questo è più simile a un consulente McKinsey alimentato da GPU.

Nel 2029, solo gli abbonamenti a ChatGPT dovrebbero valere 50 miliardi di dollari l’anno. Per dare un’idea della scala, attualmente gli abbonamenti portano circa 8 miliardi, ma con oltre 20 milioni di utenti paganti e 600 milioni di attivi mensili, la macchina sta già carburando come un razzo Falcon 9. Il business API, quello più classico, dovrebbe crescere da 2 a 22 miliardi nello stesso periodo. Ma il vero salto quantico sarà nel mercato degli agenti AI, che dovrebbe valere da solo 29 miliardi di dollari. E non è finita: pubblicità, shopping integrato e altre forme di monetizzazione sono già in fase di test.

Il retroscena finanziario è altrettanto interessante. Con una valutazione che ora tocca i 300 miliardi grazie all’ultimo round da 40 miliardi di dollari, OpenAI è già a tutti gli effetti una delle aziende più costose del pianeta, senza essere quotata in borsa. Supportata da Microsoft e SoftBank, ha costruito un mo(n)stro a metà tra startup tecnologica e holding finanziaria. I capitali non mancano, e nemmeno l’ambizione.

Sam Altman, il CEO dal sorriso sornione e la postura da profeta dell’algoritmo, ha dichiarato che il recente lancio del generatore nativo di immagini integrato in ChatGPT ha portato un milione di nuovi utenti in un’ora. Un’ora. E mentre gli altri giocano con le stable diffusion e i modelli open source, OpenAI sta scrivendo il prossimo capitolo del capitalismo cognitivo, dove l’attenzione dell’utente si converte in dollari, i dati diventano carburante e gli agenti AI prendono il posto degli esseri umani nei processi produttivi.

Il punto qui non è più se l’AI diventerà mainstream. Lo è già. La vera domanda è chi riuscirà a impacchettare meglio il cervello artificiale e venderlo a pacchetti da 20K al mese. E per ora, OpenAI sembra avere un vantaggio che nemmeno il miglior venture capitalist avrebbe potuto immaginare.