Le grandi aziende tecnologiche cinesi stanno facendo a gara per colonizzare il nuovo Eldorado dell’intelligenza artificiale: il Model Context Protocol (MCP), lo standard aperto che promette di trasformare gli agenti AI da semplici chiacchieroni in sistemi autonomi connessi, operativi e capaci di interagire con il mondo reale, come se avessero finalmente trovato la loro porta USB-C per agganciarsi alla realtà. Il paragone non è casuale, visto che è proprio Ant Group a usare questa metafora per spiegare MCP.
In pratica, MCP consente agli agenti intelligenti – come il sempre più citato Manus sviluppato da Butterfly Effect – di collegarsi a servizi esterni, fonti dati e strumenti terzi. E non solo per recuperarne passivamente i contenuti, ma per agire in modo autonomo, creare flussi operativi, rispondere ai comandi naturali dell’utente, completare task e ricalibrarsi con feedback continui. Se fino a ieri l’AI generativa era un pappagallo di lusso, oggi comincia ad assomigliare a un assistente reale. Forse troppo.
Ant Group ha lanciato la sua “MCP server for payment services”, integrando direttamente la sua piattaforma Alipay nel nuovo paradigma. Ora un utente può pagare, verificare transazioni o richiedere rimborsi parlando normalmente, senza dover toccare una riga di codice o fare tap compulsivi sullo schermo. L’intelligenza artificiale interagisce con la piattaforma, accede alle API e compie azioni. Il tutto nel recinto controllato del MCP, che impone regole e perimetri precisi. In parole povere: l’AI non fa tutto quello che vuole, ma tutto quello che può fare… in sicurezza, su richiesta, e secondo protocollo.
La posta in gioco non è solo commerciale, è strutturale. MCP è nato solo nel novembre scorso, presentato dalla startup americana Anthropic, ma in pochi mesi si è trasformato nel nuovo gold standard dell’integrazione AI. Permette agli agenti di interfacciarsi con repository, strumenti aziendali, ambienti di sviluppo e altre fonti vive. L’intelligenza si sposta così dal “cervello” al “corpo operativo”: pensa, pianifica, agisce. Non più prompt e risposte, ma obiettivi e risultati.
Alibaba Cloud non ha perso tempo e ha spalancato le porte a una MCP Marketplace, disponibile tramite la sua piattaforma ModelScope, che offre più di 1.000 servizi pronti all’uso. C’è di tutto: strumenti di mappatura, piattaforme collaborative (Slack, Google Workspace), repository cloud, motori di ricerca, e chi più ne ha più ne colleghi. Si configura il servizio, si aggancia all’agente AI, e via: si parte con l’automazione.
Baidu non resta a guardare e promette un’ondata di applicazioni basate su MCP. Lo scenario che si profila è quello di un ecosistema di agenti intelligenti operativi, che si muovono su reti di connessioni standardizzate, in grado di collegare le LLM (modelli linguistici) con strumenti, dati e interfacce reali. È la differenza tra un’enciclopedia parlante e un project manager digitale. Se la prima ti spiega come fare una landing page, il secondo te la crea.
La visione è chiara, e la frase del CEO di Butterfly Effect, Red Xiao Hong, lo riassume con inquietante lucidità: l’agente AI “è più simile a un essere umano, perché non solo risponde, ma interagisce, raccoglie feedback e li riutilizza per decidere cosa fare dopo”. Un chatbot imita una conversazione. Un agente costruito su MCP prende decisioni operative.
E qui il cinismo del veterano tech non può non farsi sentire: se metti insieme intelligenze artificiali capaci di agire, protocolli standard per collegarle a tutto ciò che esiste online, e un mercato cinese che non aspetta altro che automatizzare qualunque cosa… il futuro non è più quello che era. È una distesa di API collegate da cervelli digitali, che non si limitano a parlare: fanno, imparano, migliorano. E, soprattutto, non dormono mai.