Luciano Floridi colpisce ancora. Uno di quegli intellettuali che riesce a trasformare una cattedra in un laboratorio di alchimia digitale, dove filosofia, AI e ingegneria sociale si impastano in qualcosa che a metà tra l’etica e il project management distopico. Il suo nuovo articolo, firmato con un dream team di cervelloni internazionali, non è solo un esercizio accademico: è una proposta molto concreta, molto seria, e vagamente inquietante. Un passo più vicino all’algoritmo che si credeva Rousseau.
Il titolo sembra innocuo, quasi educato: A Replica for Our Democracies? Ma dietro il punto interrogativo si nasconde la vera proposta: creare digital twins gemelli digitali delle comunità deliberative per simulare, testare, ottimizzare, correggere e magari anticipare le decisioni politiche prima che vengano prese nel mondo reale. Tipo: “Facciamo decidere prima agli avatar e vediamo come va”. Se funziona, poi magari lo facciamo davvero.
E qui viene il punto. Floridi non propone un dibattito filosofico, propone una piattaforma sperimentale in cui simulare la democrazia. Ma non simulare nel senso di esercitarsi alla cittadinanza. Simulare nel senso ingegneristico: modelli computazionali, machine learning, agent-based modeling, sistemi multi-agente con intelligenze artificiali profilate in base a dati reali, comportamenti digitali, preferenze politiche. E poi li fai interagire, discutere, votare, deliberare. E tu, il progettista, osservi. Modifichi una variabile, cambi il facilitatore, limiti il tempo di parola. Vedi cosa succede. E ottimizzi.
Siamo nel regno del design istituzionale computazionale, un mondo dove il cittadino reale, con la sua carne, il suo disincanto e il suo cinismo, è surclassato da agenti virtuali simulati, iper-razionali, iper-reagenti, programmati per fare quello che noi raramente facciamo: ragionare.
Ora, attenzione: Floridi non vuole sostituire le persone. Questo lo dice, e lo ribadisce. Anzi, specifica che questi gemelli digitali dovrebbero essere “noisy”, non perfetti, rappresentativi ma non identici. Quindi niente Black Mirror, almeno per ora. Ma la questione rimane: chi scrive le regole di questa simulazione? Chi decide quando l’output è “valido”? Chi calibra l’algoritmo che decide se la democrazia ha deliberato bene o no?
Nel paper, i problemi vengono elencati con l’eleganza di un disclaimer legale: rischi di bias, problemi etici, privacy, il pericolo del “controllo centralizzato”, il rischio di overfitting democratico. Ma la soluzione proposta è sempre più raffinata: modelli misti, multistrato, co-simulazione, reti neurali, agenti AI dotati di “memoria, intenzionalità e apprendimento”. Tradotto: stiamo costruendo un’IA che simula noi, meglio di noi. E lo fa per aiutarci a fare meglio la democrazia, perché evidentemente, noi da soli non ce la facciamo più.
Quello che colpisce non è solo la sofisticazione tecnica. È la visione. Floridi immagina un mondo dove le deliberazioni non sono più dibattiti ma processi iterativi, remixabili in tempo reale, in cui le idee sono moduli da comporre, scomporre, ottimizzare. Come nei software open source, dove ogni proposta è un “fork”, ogni argomento un “pull request”. La democrazia diventa una piattaforma agile, e il cittadino un dev.
Affascinante? Sì. Necessario? Forse. Preoccupante? Molto.
Perché dietro tutto questo ottimismo computazionale si intravede un’idea antica e pericolosa: quella che la politica, alla fine, sia un problema tecnico, non umano. E che, come ogni problema tecnico, abbia una soluzione ottimale. Magari non oggi, magari non domani, ma un giorno sì — con abbastanza dati, abbastanza potenza di calcolo, e abbastanza Floridi.
E invece no. La democrazia non è ottimizzabile. È sporca, lenta, irrazionale, a volte suicida. Ma è anche l’unico spazio in cui l’errore umano è parte del processo, non un bug da correggere. E forse, invece di costruire gemelli digitali per capire cosa fare, dovremmo accettare che non tutto ciò che può essere simulato deve essere implementato.
Ma si sa, Floridi non è tipo da farsi frenare dal dubbio. Il suo è un illuminismo post-algoritmico, e questo paper è la sua Critica della ragion deliberante. Se la democrazia avrà un futuro in versione 5.0, molto probabilmente, sarà in un laboratorio a Yale. Tra due agenti AI che discutono di bilancio partecipativo mentre un sociologo sorseggia caffè e aggiusta un coefficiente di disaccordo.
Benvenuti nella democrazia come dovrebbe essere. O come un algoritmo pensa che dovrebbe essere.
Articolo originale A Replica for our Democracies? On Using Digital Twins to Enhance Deliberative Democracy