L’industria finanziaria, per anni paralizzata dalla sindrome dell’eccesso di cautela regolatoria, ha finalmente rotto gli argini. Da timorosa osservatrice a protagonista entusiasta, ha deciso di buttarsi nella piscina stavolta profonda – dell’intelligenza artificiale generativa. Moody’s, con la sobrietà americana che la contraddistingue, lo conferma: il settore finanziario è pronto a flirtare sul serio con la GenAI, e i numeri parlano chiaro.
Secondo Statista, nel 2023 il settore ha investito 35 miliardi di dollari in AI, cifra destinata a quadruplicarsi entro il 2028 raggiungendo i 126,4 miliardi. Non stiamo parlando di esperimenti da laboratorio, ma di un nuovo modello operativo in cui le macchine smettono di suggerire per iniziare a decidere.
Cristina Pieretti, General Manager per le soluzioni GenAI di Moody’s, lo dice senza mezzi termini: l’AI non è più un copilota, è un collega digitale. In questa nuova divisione del lavoro, l’intelligenza artificiale si prende carico di compiti critici come la generazione di report di rischio finanziario, l’analisi macroeconomica e la valutazione competitiva aziendale. Tutto ciò con una velocità e una granularità che renderebbero invidioso qualsiasi analista umano, caffeina compresa.
Moody’s ha già sviluppato 35 di questi “agenti digitali”, ognuno con una personalità distinta, compiti assegnati e accesso a set di dati proprietari. Alcuni di questi agenti sono addestrati per analizzare i segnali macroeconomici, altri si concentrano sulle performance delle singole aziende, mentre altri ancora incrociano i benchmark per comprendere il posizionamento competitivo. Nessuno di loro dorme. E nessuno di loro fa pause caffè.
In un mondo in cui i microsegnali fanno la differenza tra profitto e perdita, la capacità di reagire in tempo reale è oro. O meglio, è alfa. Pieretti sottolinea che il vero salto quantico non è l’efficienza – quella è già vecchia scuola – ma la capacità dell’AI di automatizzare il processo decisionale stesso. Portfolio management, allocazione del capitale, valutazione del rischio geopolitico: la GenAI comincia a operare non più come suggeritore, ma come soggetto attivo.
Certo, non è tutto rose e ETF. Il rischio più temuto è quello della cosiddetta hallucination, ovvero quando l’AI, pur di compiacere il prompt, inventa dati. Moody’s lo sa, e ha messo in campo un’architettura di mitigazione che combina vincoli di codifica, tuning della creatività e layering di modelli diversi per ridurre al minimo l’imprevedibilità. In un settore dove la verità non è un’opinione ma un bilancio certificato, l’invenzione è peggio del fallimento.
La partnership con Amazon Web Services ha permesso a Moody’s di scalare queste applicazioni GenAI, sfruttando diversi modelli per adattarsi ai vari contesti. Non sorprende che la Cina sia considerata un “mercato chiave”, come ha dichiarato Jensen Huang, CEO di Nvidia, durante la sua visita a Pechino. Nonostante il ban americano sui chip AI verso la Cina, la fame di intelligenza artificiale di Pechino resta inarrestabile, e Wall Street lo sa.
Intanto, il World Economic Forum e Accenture confermano che il settore finanziario è il più veloce nell’adozione di AI rispetto a tutti gli altri. Se prima l’obiettivo era fare di più con meno, ora il mantra è: fare cose nuove che prima erano impensabili.
La GenAI permette un’interazione più umana con i dati, attraverso linguaggio naturale, abbattendo le barriere d’accesso a un settore notoriamente ermetico. Più che una rivoluzione tecnologica, si tratta di un’evoluzione antropologica.
In pratica, se prima dovevi essere un CFA per capire dove mettere i tuoi soldi, oggi ti basta parlare con un bot ben addestrato. Che ti risponde in tempo reale, con più contesto di quanto il tuo consulente finanziario abbia mai avuto. E senza provvigioni.
Benvenuti nella nuova era della finanza, dove l’intelligenza artificiale non fa consulenza, fa carriera.