Il Digital Europe Programme, come lo chiama Bruxelles in uno slancio di creatività anglofona, è l’ennesima colata di miliardi che l’Unione Europea decide di investire per scrollarsi di dosso l’etichetta di vecchia zia lenta della trasformazione digitale. È stato pensato per rendere l’Europa meno dipendente dai cugini americani (Big Tech) e meno vulnerabile alle grinfie digitali di chi, come la Russia, ha capito prima e meglio come si combattono le guerre anche nei cavi di rete.

Parliamo di un pacchetto da oltre 8,1 miliardi di euro, già stanziati all’interno del bilancio pluriennale 2021-2027. Roba seria, in teoria. In pratica, stiamo cercando di correre dietro a un treno che è già passato. Il programma si concentra su cinque aree strategiche: supercalcolo, intelligenza artificiale, cybersicurezza, competenze digitali avanzate e diffusione massiva delle tecnologie digitali, anche e soprattutto tra le PMI e le pubbliche amministrazioni. Esattamente quei settori dove l’Europa ha sempre balbettato tra mille progetti pilota e piani strategici con acronimi inquietanti.

Key Figures. / The DIGITAL Dashboard / Programme in a Nutshell

Ecco il punto: il COVID-19 ha solo scoperchiato il vaso di Pandora digitale dell’Europa. Abbiamo capito tardi che dipendere da Zoom per fare le call di governo o da Google Meet per insegnare agli studenti non è una gran strategia di resilienza digitale. Poi è arrivata la guerra in Ucraina, e tutto è diventato terribilmente più serio. Supply chain fragili, vulnerabilità nei server, software russi nei ministeri, e tutta quella roba che fa sudare freddo i CISO (Chief Information Security Officer) dei nostri apparati pubblici.

Nel settembre 2023, per non farsi mancare nulla, il programma ha esteso la sua portata anche ai semiconduttori, grazie all’inserimento della Chips for Europe Initiative. Il tutto sotto l’ombrello del Chips Act, il tentativo europeo di produrre in casa un po’ di quei microchip che oggi arrivano per lo più da Taiwan, Sud Corea o Stati Uniti. Il problema è che, al netto delle ambizioni, in Europa non abbiamo ancora né le fonderie né il know-how sufficiente per diventare davvero competitivi. Ci stiamo provando, però. Con un certo ritardo e una discreta confusione strategica.

Uno dei punti chiave del programma è la rete degli European Digital Innovation Hubs (EDIH). Teoricamente sono centri di eccellenza che dovrebbero aiutare le imprese e la pubblica amministrazione a digitalizzarsi, facendo da ponte tra le tecnologie esistenti e il loro utilizzo concreto. In pratica? Alcuni sono brillanti, altri sono vetrine vuote. Il solito approccio “a macchia di leopardo” che caratterizza ogni iniziativa europea quando esce dai corridoi di Bruxelles.

Naturalmente, DIGITAL non lavora da solo. Fa parte di quella costellazione di programmi europei dai nomi sempre più indistinguibili: Horizon Europe, Connecting Europe Facility, Recovery and Resilience Facility, fondi strutturali, STEP, eccetera. Una giungla regolatoria dove l’innovazione deve prima sopravvivere a un bando, poi a tre audit, poi alla rendicontazione finale. Se tutto va bene, ottieni una pacca sulla spalla e, con un po’ di fortuna, anche il famoso STEP Seal, un bollino di qualità che ti permette – guarda caso – di accedere ad altri fondi.

L’intento c’è, il budget pure, le priorità sono azzeccate. Ma manca la cosa più importante: la capacità operativa di fare sistema e il coraggio politico di prendere decisioni rapide. Mentre gli altri fanno, noi studiamo. Poi regoliamo. Poi tassiamo. E solo alla fine, se resta tempo, innoviamo.

Prima di entrare nel merito, ecco il riepilogo dei risultati chiave in formato tabellare, con tutte le cifre aggiornate:

Risultato ChiaveDatoDettagli
Supercomputer operativi3Finanziati da EuroHPC, nella top 10 mondiale per potenza ed efficienza energetica nel 2023
Digital Innovation Hubs151Operativi in tutti i Paesi UE, Islanda, Liechtenstein e Norvegia; copertura del 90% delle regioni europee
Centri di test per AI4Grandi strutture operative in agrifood, sanità, manifattura, smart cities
Serie di immagini su piattaforma oncologica>200.000Riguardanti circa 20.000 individui, 36 dataset, 9 tipi di cancro sulla piattaforma Cancer Image Europe
Centri nazionali per la cybersicurezza27Uno per ciascun Stato membro UE, attivi dal 2023 con focus su cooperazione e competenze locali
Iscritti a master e corsi digitali2.517Master in salute digitale, ingegneria civile; corsi su AI, cybersecurity, IoT, blockchain, quantistica, robotica
Sperimentazioni sul Digital Identity Wallet250 enti pubblici/privatiTest su 11 casi d’uso: patente digitale, e-prescription, titoli di studio, ID per PA
Interventi nelle scuole da parte dei Safer Internet Centres>12.000Attività educative, consulenze e risorse per studenti, docenti, famiglie in 25 centri attivi

Budget

Budget programming (million EUR) (*):

2021202220232024202520262027Total
Financial programming1 130.51 232.81 340.81 249.31 088.1985.61 049.88 076.8 
NextGenerationEU00000000
Decommitments made available again (*)N/AN/AN/A0
Contributions from other countries and entities30.531.340.1101.9
Total1 161.01 264.11 380.91 249.31 088.1985.61 049.88 178.7

(*) Only Article 15(3) of the financial regulation. (**) The Chips Act is included.

Multiannual cumulative implementation rate at the end of 2023 (million EUR)(*):

Implementation2021-2027 BudgetImplementation rate
Commitments3 802.18 178.7 46.5%
Payments1 684.020.6%

(*) Chips Act is included.

Budget performance – outcomes

Questi numeri non raccontano solo buone intenzioni, ma il tentativo dell’UE di strutturare un sistema digitale federato, scalabile e misurabile, che si sottragga una volta per tutte all’illusione delle scorciatoie tecnologiche all’americana o all’autoritarismo algoritmico alla cinese.

Sotto la vernice delle dichiarazioni di principio e delle foto-opportunity, il programma Digital Europe 2021-2027 ha iniziato a produrre risultati tangibili. E no, non parliamo di slide con “vision e mission” scritte in Helvetica su sfondo blu UE, ma di numeri concreti, strutture reali, formazione specialistica e infrastrutture digitali che cominciano ad assumere una certa gravità sistemica. Finalmente. Perché fino a ieri il confronto con le superpotenze digitali era da David contro Golia. Solo che Golia aveva già brevettato il fiondone a idrogeno.

Nel 2023 sono entrati in funzione tre supercomputer finanziati dal programma EuroHPC, e non stiamo parlando di rottami sovvenzionati con etichette green. Sono nella top 10 globale per potenza ed efficienza energetica, a dimostrazione che quando vuole, l’Europa può investire in infrastrutture che contano davvero. Non solo per fare girare il meteo o l’ultima simulazione climatica, ma per sostenere AI, ricerca medica e cybersicurezza con una massa di calcolo che fa sudare anche i cinesi.

Ma la potenza bruta non basta. Perché se non riesci a trasformarla in soluzioni per aziende, pubbliche amministrazioni e cittadini, resta solo un giocattolone costoso. Qui entrano in scena i 151 European Digital Innovation Hubs: centri distribuiti praticamente ovunque (90% delle regioni europee coperte), pensati per aiutare PMI, enti pubblici e startup ad adottare tecnologie avanzate. Non il classico “centro di ricerca” dove si fa brainstorming per decenni, ma strutture operative, con task precisi, KPI misurabili e un mandato chiaro: portare il digitale dove serve, quando serve.

Nel campo dell’Intelligenza Artificiale, invece, si è passati al concreto grazie all’attivazione di quattro grandi centri di testing per AI affidabile. Settori strategici come agroalimentare, sanità, manifattura e smart cities sono i primi beneficiari. Tradotto: se hai un algoritmo promettente ma nessun modo per testarlo su larga scala, ora hai una sandbox reale in cui provare, validare e scalare. La buzzword è “trustworthy AI”, ma il punto è: possiamo finalmente competere senza dover chiedere permesso a Google o Amazon.

Sul fronte sanitario, il progetto Cancer Image Europe è qualcosa che sarebbe piaciuto perfino a Asimov: oltre 200.000 serie di immagini mediche, riferite a 20.000 pazienti e 9 tipologie di cancro, aggregate e standardizzate in un’unica piattaforma accessibile a livello europeo. Dati, dati e ancora dati: la materia prima su cui ogni algoritmo di AI medica serio dovrebbe allenarsi. E per una volta, anche il GDPR sembra non aver intralciato tutto.

Capitolo cybersicurezza: 27 Centri Nazionali di Coordinamento creati in ciascun Stato membro. Coordinamento, accesso alla ricerca, supporto alla strategia nazionale e — cosa fondamentale — cooperazione transfrontaliera. Perché gli hacker non conoscono frontiere, ma le burocrazie sì. Un salto di qualità che porta la sicurezza informatica europea fuori dalla sfera della “preoccupazione teorica” e la trasforma in capacità operativa distribuita.

L’educazione digitale non è stata dimenticata: 2.517 studenti e partecipanti hanno già intrapreso master in settori strategici come salute digitale, ingegneria civile, AI, blockchain, quantistica e via dicendo. Per una volta, l’offerta formativa non è pensata solo per chi ha 18 anni e sogna di lavorare per Meta, ma anche per professionisti che devono aggiornarsi con corsi brevi e intensivi.

Il pilastro identitario? La European Digital Identity Wallet, che 250 enti pubblici e privati stanno testando in 11 casi d’uso concreti: patente digitale, credenziali sanitarie, titoli di studio, accesso ai servizi pubblici. La parola chiave è interoperabilità. Basta con l’anarchia delle app e dei certificati PDF. L’Europa vuole una soluzione comune, sicura e riconosciuta ovunque.

Infine, un dettaglio che molti trascurano, ma che incide eccome: 12.000 visite scolastiche da parte dei Safer Internet Centres nel 2023, a beneficio di studenti, insegnanti e genitori. Sì, perché la consapevolezza digitale parte dai banchi di scuola, non dai convegni.

Certo, molti di questi risultati derivano da progetti avviati nella programmazione 2014-2020, quindi è giusto riconoscere che la burocrazia UE ha i suoi tempi biblici. Ma se il digitale europeo inizia finalmente a essere qualcosa di tangibile, misurabile e (per una volta) credibile, il merito è anche di chi ha iniziato il lavoro senza aspettare che fosse trendy.

La palla ora passa alla governance. Perché le infrastrutture ci sono, i fondi anche, le strategie pure. Serve solo una cosa: la volontà politica di non mandare tutto in tilt con un cambio di commissario o una tornata elettorale.

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Perché in questo programma, più che i bit, conta sapere dove mettere le crocette nei form.