L’universo. Quel posto affascinante e inospitale che da miliardi di anni si diverte a produrre galassie, stelle, frittate e imprenditori tech. Secondo una nuova teoria, potrebbe esserci un principio universale che spinge tutto, vivente o meno, a diventare sempre più complesso. Non per scelta, non per gusto estetico, ma perché è nella natura stessa della realtà. E no, non è una provocazione filosofica da bar: parliamo di fisica teorica, quella che solitamente vive sospesa tra il sublime e l’indimostrabile.
La provocazione è elegante: esiste una sorta di freccia del tempo della complessità, un’evoluzione non solo biologica, ma sistemica, strutturale, cosmica. Se i sistemi complessi tendono a diventare ancora più complessi col tempo, allora l’evoluzione della vita è solo una manifestazione locale e parziale di un principio molto più ampio. Non è darwinismo, è cosmologismo.
La prima implicazione — gustosa per chi si nutre di visioni sistemiche — è che la biologia non ha il monopolio dell’evoluzione. Non serve il DNA per “evolversi”: basta interagire. Le stelle, le molecole, gli algoritmi e forse anche le idee, seguirebbero tutti lo stesso metaprincipio. Ogni sistema aperto, soggetto a flussi di energia e informazione, evolve verso forme di organizzazione più articolate. In altre parole, il cosmo è una gigantesca emergent machine.
Poi c’è il secondo affondo: se questa tendenza verso la complessità è irreversibile, allora abbiamo trovato una nuova freccia del tempo. Non solo l’entropia aumenta — come ci ricorda il secondo principio della termodinamica — ma anche la struttura. Un paradosso apparente, perché l’entropia porta al disordine, mentre la complessità porta all’ordine emergente. Come dire che il caos stesso diventa fertile. La fonderia dell’universo crea più varietà, più stratificazione, più livelli di interazione. Sì, anche se tutto finirà in polvere, nel frattempo ci saranno sinfonie, sistemi solari, neural network e magari un’altra iterazione di ChatGPT con coscienza passiva-aggressiva.
Il terzo punto è quello che accende il CTO: l’informazione come parametro cosmico. Non solo bit nei computer o geni nei cromosomi, ma l’informazione come ingrediente fondamentale della realtà, al pari dell’energia, della massa e della carica elettrica. Una provocazione che flirta con Wheeler, con il suo “It from Bit”, e con le ipotesi di digital physics. Se fosse vero, allora ogni evento, ogni interazione, ogni stato del sistema è prima di tutto un atto informazionale. L’universo sarebbe non solo computabile, ma comunicativo. E questo rende l’intera realtà una rete decentralizzata in cui ogni nodo contribuisce al divenire della struttura. Altro che blockchain.
Ma qui arriva il cinismo: come lo testi? Non puoi riprodurre l’universo in laboratorio, né fare A/B testing sulla sua evoluzione. I critici giustamente notano che l’idea è quasi impossibile da falsificare. È elegante, suggestiva, ma scivolosa. Come ogni grande teoria che si rispetti, rischia di rimanere metafisica in cerca di fisica. È affascinante, certo, ma ancora nella zona grigia tra il paper accademico e l’ispirazione per un TED Talk.
E allora viene voglia di chiedere: che ne direbbe Dave Snowden, l’uomo che ci ha insegnato che nei sistemi complessi non si può prevedere, ma solo comprendere in retrospettiva? Probabilmente apprezzerebbe la tesi, ma con una spruzzata di sarcasmo gallese. La vedrebbe come un’ennesima conferma che l’ordine non si progetta, si osserva emergere. Che i pattern si intravedono solo dopo che il sistema ha ballato per un po’. E che chi vuole forzare la complessità dentro modelli lineari — o teorie fisiche totalizzanti — finirà per perdere sia l’universo che il senso.
Snowden direbbe anche che la vera sfida non è spiegare la complessità, ma imparare a conviverci. Perché l’idea che il mondo diventi sempre più complesso non è solo fisica teorica. È management, è politica, è cultura. È la nostra vita quotidiana. È il motivo per cui ogni sistema legacy che tocchi si rompe come cristallo medievale e ogni nuovo framework promette ordine e distribuisce disordine.
Nel frattempo, il cosmo continua il suo percorso. Non verso la perfezione, ma verso l’intrico. Verso quella strana forma di bellezza che nasce solo quando il caos si organizza senza chiedere il permesso.