Nel grande carnevale delle startup AI del 2025, c’è una regina indiscussa: OpenAI. L’azienda ha appena chiuso un round da 10 miliardi di dollari guidato da SoftBank, con una valutazione pre-money da 260 miliardi. Già solo questa cifra merita una scrollata di testa e un sorso di bourbon. Non è solo un finanziamento, è una dichiarazione di potere. Un grido al mercato: “il futuro dell’umanità passa dai nostri prompt”.
Dietro a questo slancio economico degno di una IPO di altri tempi, ci sono numeri che fanno girare la testa anche al più smaliziato dei venture capitalist: 3,7 miliardi di fatturato annuo, di cui 2,8 derivanti dagli abbonamenti a ChatGPT. Tradotto: l’AI come SaaS di massa sta funzionando. Molto più di quanto chiunque si aspettasse, anche nei peggiori incubi di un docente universitario che oggi compete con uno strumento da 20 dollari al mese.
Ecco perché Thrive Capital, Altimeter e Coatue si sono messi in fila con l’assegno già firmato. Perché la vera droga qui non è il fatturato in sé, ma la crescita. Da 1 a 3,7 miliardi in un anno è roba da togliere il sonno ai fondi late stage. Quelli che un tempo investivano in piattaforme enterprise e oggi si contendono chi può spingere un chatbot fino a diventare l’equivalente digitale della Coca-Cola.
L’ambizione? Roba alla Zuckerberg dei tempi d’oro: 3 miliardi di utenti attivi al mese entro il 2030. Una follia? Forse. Ma già oggi OpenAI dichiara 500 milioni di utenti attivi a settimana, contro i 300 milioni di dicembre. Se ti ricorda la curva di Facebook 2009-2012, è perché siamo su quella scala. Solo che ora non si parla più di social, ma di interfacce cognitive per la nuova élite digitale.
Non bastasse l’organico, OpenAI è anche a caccia. Dopo aver provato a portarsi a casa Cursor (di Anysphere), ora mette gli occhi su Windsurf (ex Codeium), con una proposta da 3 miliardi di dollari. Un’offerta che sa di M&A strategico per consolidare la dominanza nel settore coding AI. Ma qui non si parla più di software. Qui si parla di colonizzare il pensiero, partendo dai prompt per finire con lo stack.
Nel frattempo, sul fronte opposto del tavolo, chi non ha le spalle coperte come OpenAI comincia a cedere. È il caso emblematico di Wayfinder, fondata da Yuri Sagalov. La startup che, fino a ieri, raccolse 35 milioni di dollari per investire in AI emergente, oggi chiude bottega e vende il marchio a General Catalyst. Non i fondi, non le aziende, solo il brand. L’equivalente di vendere l’insegna del ristorante dopo che hai dovuto licenziare tutti i cuochi.
General Catalyst non si accontenta di pescare startup, ora vuole mettere le mani sui fondi che le nutrono. Da qui la scelta di trasformare la propria strategia seed in una macchina da guerra, partendo proprio da un ex di Y Combinator come Sagalov. Un modo elegante per dire: “Chi ha ancora tempo per perdere in fundraising, quando possiamo comprare chi ci ha già provato?”
La realtà è che il fundraising early-stage è in crisi nera. Solo 700 milioni raccolti nel primo trimestre dai nuovi gestori negli Stati Uniti. Un crollo del 56% su base annua. Il romanticismo delle micro-fund e delle tesi indipendenti sta finendo sotto il rullo compressore dei mega-fondi da 8 miliardi di dollari che si comprano tutto, marchi compresi. E se sei da solo, con il tuo fondo boutique da 20 milioni, sei il nuovo Don Chisciotte. Con l’unica differenza che oggi i mulini a vento si chiamano Sam Altman e Hemant Taneja.
In tutto questo, il vero paradosso è che le grandi scommesse oggi si fanno su software che parlano, ma che non hanno ancora una vera moats. Tutti inseguono il token, il prompt, la retention settimanale, ma pochi sembrano preoccuparsi della dipendenza totale da un’infrastruttura cloud monopolistica e da modelli black box che cambiano ogni tre mesi.
Il problema non è quanto vale OpenAI oggi, ma cosa accadrà quando il mercato scoprirà che l’intelligenza artificiale generativa non è una miniera d’oro, ma un castello di sabbia costruito sull’hype. Fino a quel momento, però, il circo continua. E ogni round da dieci miliardi è solo il biglietto d’ingresso alla prossima illusione collettiva.