Quando un colosso come Google inizia a regalare qualcosa, è il momento di preoccuparsi. A partire da oggi, gli studenti universitari negli Stati Uniti possono accedere gratuitamente al piano Google One AI Premium, un servizio normalmente venduto a 20 dollari al mese, fino al 30 giugno 2026. Una mossa che suona tanto come beneficenza digitale, ma che odora pesantemente di colonizzazione dell’ambiente accademico.

Per aderire, basta iscriversi entro il 30 giugno 2025 usando un’email .edu, cioè l’equivalente tecnologico del lascia passare imperiale nel mondo universitario americano. Google, bontà sua, promette anche di avvisare via email prima della scadenza, così gli studenti potranno “cancellare in tempo”. L’intenzione dichiarata? Aiutare gli studenti a “studiare in modo più intelligente”. L’intenzione reale? Intrappolarli nel proprio ecosistema prima che imparino a leggere la concorrenza.

Dentro questo pacchetto AI Premium ci stanno 2TB di storage cloud e accesso al meglio (o al peggio, a seconda di come la si vede) dell’arsenale AI di Google. Gemini Advanced, l’anti-ChatGPT Plus, funzioni di Deep Research che trasformano saggi accademici in podcast (perché leggere è superato), e integrazioni in Docs, Sheets e Slides che faranno impallidire qualsiasi tutor in carne e ossa. Poi ci sono NotebookLM Plus, il nuovo Veo 2 per creare video da testo e Whisk, un giocattolo che mescola testo e immagini in qualcosa che probabilmente farà inorridire chiunque insegni semiotica.

È il tipico approccio da spacciatore: la prima dose è gratis. Ed è una dose potentissima, perché prende uno dei pubblici più strategici e vulnerabili gli studenti universitari e lo lega mani e piedi a strumenti che sembrano innocui ma in realtà definiscono il modo in cui penseranno, scriveranno, comunicheranno, cercheranno.

Certo, OpenAI e Anthropic stanno facendo lo stesso. Ma Google è diverso, perché ha un impero da difendere: la ricerca sul web, che l’intelligenza artificiale generativa sta lentamente cannibalizzando. Se ChatGPT o Claude diventano la nuova barra di ricerca, per Google è game over. E allora l’unica soluzione è infiltrarsi prima, trasformare ogni studente in un consumatore, ogni aula in un’estensione del proprio laboratorio di training dati.

La domanda che ci interessa davvero però è: perché solo gli Stati Uniti?

Perché non regalare questo strumento anche agli studenti europei, asiatici, africani, sudamericani? Forse perché lì non c’è una concorrenza diretta forte? O forse perché i regolatori locali non si fidano troppo di regalini a lungo termine da parte delle Big Tech? In Europa, per esempio, il GDPR rende la raccolta dati molto più costosa e meno redditizia. E magari in India o Brasile gli studenti non valgono (ancora) abbastanza per giustificare l’investimento gratuito.

O forse, più banalmente, il problema è che il dominio .edu è facilmente verificabile e standardizzato, mentre nel resto del mondo il caos delle email universitarie rende più complicato tracciare, profilare, fidelizzare. Ma se è davvero una questione tecnica, allora è solo questione di tempo. Perché quando si tratta di agganciare nuove generazioni, Google non lascia nulla al caso. E ogni studentessa in Europa è solo un clic lontana dall’essere inglobata nel Panopticon AI, anche se ancora non lo sa.