Quando un’azienda storica della difesa italiana affida a un manager con background da innovatore una linea strategica chiamata Hypercomputing Continuum, la sensazione è chiara: il tempo dei bulloni è finito, ora servono bit che volano più veloce dei jet.
Simone Ungaro, neo-condirettore generale Strategy & Innovation di Leonardo, lo dice senza girarci attorno: «Puntiamo a guidare la transizione verso la realizzazione di tecnologie multidominio interoperabili per la sicurezza globale».
Tradotto per chi mastica più Wall Street Journal che white paper ministeriali: Leonardo non vuole più solo partecipare alla trasformazione tecnologica della difesa, vuole esserne il regista.
Il progetto LHyC (Leonardo Hypercomputing Continuum) è la nuova linea di business creata ad hoc per intercettare il crocevia tra AI, cloud distribuito, edge computing e high performance computing. Non è una velleità da piano industriale: è una necessità esistenziale per restare rilevanti in un mercato in cui la guerra si combatte (e si vince) prima nei datacenter che nei deserti.
Ungaro, con un pedigree costruito tra industria 4.0 e digitalizzazione sanitaria, non è uno da slide motivazionali. La sua visione è pragmatica, ingegnerizzata:
«Si tratta di estendere le capacità computazionali e analitiche non solo a tutto Leonardo, ma anche agli ecosistemi esterni. Parliamo di simulazioni ingegneristiche avanzate, manutenzione predittiva, intelligenza artificiale a supporto del decision making operativo e analisi massiva di dati geospaziali». (Il Sole 24ore)
Ogni nodo computazionale è un moltiplicatore di valore, ogni algoritmo una leva per scalare la supply chain in verticale, orizzontale e diagonale.Negli Stati Uniti, i media specializzati non sono rimasti indifferenti al salto quantico di Leonardo. Defense News ha parlato di un “ambizioso tentativo europeo di sfidare il predominio americano nel comando e controllo multidominio”.
Breaking Defense sottolinea invece la natura “dual use” della piattaforma: militare e civile, difensiva e commerciale, adattabile tanto ai teatri di guerra quanto alle smart cities.
Una logica tipicamente statunitense che oggi anche Leonardo sembra voler adottare: creare tecnologia con un piede nel Pentagono e uno in Nasdaq.E infatti, dietro la narrativa della “transizione tecnologica per la sicurezza globale”, si intravede un secondo livello di lettura: la nuova linea LHyC è anche un tentativo di rendere
Leonardo meno dipendente dai cicli di procurement statale e più agile nell’attirare capitali e partnership dal mondo privato, dove la guerra è quella per la market share.
Come insegnano Palantir e Anduril, l’AI non si presenta in divisa, ma in abito da startup.La scommessa è audace ma necessaria. Perché se oggi i confini si difendono con radar e missili, domani saranno i protocolli interoperabili, i modelli predittivi e le architetture neurali a decidere chi comanda e chi obbedisce.
In questo contesto, Leonardo non vuole restare il subfornitore europeo delle big tech della difesa, ma diventare the next big thing. Con LHyC, si punta a realizzare un continuum dove ogni dato è un asset, ogni processo un flusso integrato e ogni decisione un’esecuzione algoritmica. Il futuro della difesa? Un cluster computazionale distribuito, autonomo, consapevole.
Non più “chi ha il missile più grosso”, ma chi ha l’algoritmo più efficiente. E chi lo sa monetizzare.> Leonardo presenta LHyC, la nuova business unit dedicata all’hypercomputing
Per un’azienda cresciuta nel Novecento con le viti aeronautiche, è una metamorfosi darwiniana. Ma l’alternativa, nel mondo post-2024, è diventare irrilevanti e Leonardo ha scelto di combattere. Con il silicio.