Mentre l’Occidente si distrae con il teatrino della politica interna e i mercati annaspano tra trimestrali tiepide e annunci fumosi sull’IA, Goldman Sachs decide di mandare in trasferta i suoi analisti più svegli per vedere con i propri occhi cosa sta bollendo nella pentola asiatica. Il risultato? Un vero schiaffo morale a Silicon Valley e Washington D.C.: la Cina è avanti. Di brutto. E non solo in un settore, ma in un ecosistema industriale che copre tutto, dai chip fotonici agli eVTOL, passando per robotaxi, server AI, e smartphone dal design impietosamente competitivo.
Il Private Tech Tour 2025 di Goldman è una sorta di via crucis high-tech da Shanghai a Shenzhen, con tappa a Guangzhou, durante il quale i cervelloni della banca d’investimento incontrano 19 aziende selezionate in otto settori critici. Ma la vera notizia non è l’elenco – peraltro interessante – delle società visitate. La notizia è che Goldman torna con un messaggio chiaro: l’Asia, e in particolare la Cina, non sta più inseguendo. Sta guidando. E non ha intenzione di aspettare che l’Occidente si svegli.
La lista delle aziende visitate sembra uscita da un pitch deck da miliardi. Landspace, che sforna razzi riutilizzabili a propellente liquido. Sicoya e Macrochip, che producono laser CW per applicazioni in fotonica al silicio, una delle tecnologie chiave per la nuova era del computing e delle telecomunicazioni. Deeproute AI, GigaAI e Rhino.ai, che stanno letteralmente ridisegnando il concetto stesso di mobilità urbana. Aeroht, affiliata di Xpeng, con i suoi veicoli volanti che non sono più fantascienza, ma hardware funzionante. E ancora MetaX, ZStack, xFusion, che alimentano i data center cinesi con potenza di calcolo ottimizzata per i carichi IA. Il quadro che emerge è quello di una Cina che ha smesso di copiare e ha iniziato a costruire.
Il punto più interessante non è tanto che la Cina abbia aziende forti nei singoli comparti, quanto che queste aziende condividono un ecosistema di produzione altamente integrato, ottimizzato, e soprattutto… cinese. La co-evoluzione di hardware e software, l’integrazione verticale, la capacità di passare dalla R&D alla produzione in serie in tempi da Formula 1 industriale: tutto questo è ciò che l’America ha perso per strada negli ultimi vent’anni, ingolfata com’è nella burocrazia delle IPO, nei lobbisti delle Big Tech e nella miopia dei CEO trimestrali.
Le raccomandazioni di Goldman parlano chiaro. Per chi ha soldi da mettere a lavoro, i nomi giusti non sono più quelli californiani. Sono Landmark e VPEC per la fotonica. Horizon Robotics e Pony AI per la guida autonoma. Montage e SICC per i semiconduttori. E per i più pigri che vogliono investire senza troppi pensieri? Transsion. Sì, proprio loro, quelli che fanno smartphone da 100 dollari che dominano i mercati africani. Perché non tutto il futuro è alimentato da chip da 100W e reti neurali. A volte è fatto di margini solidi e supply chain ben oliate.
Marc Andreessen, uno dei pochi venture capitalist ancora capaci di leggere il mondo senza gli occhiali rosa dell’ideologia, ha lanciato un altro avvertimento. Secondo lui, droni, automobili e robot stanno per diventare le nuove piattaforme universali, succedendo agli smartphone come interfaccia dominante tra uomo e mondo digitale. E la Cina, guarda caso, controlla già queste filiere. Nel frattempo, negli USA, a parte Elon Musk, nessuno sta nemmeno provando a integrare verticalmente queste tecnologie. Tesla, xAI, SpaceX: tre facce dello stesso impero industriale, l’unico ancora capace di competere. Tutti gli altri? Dipendenti da fornitori esterni, divisi da silos organizzativi, lenti come processi di procurement del Pentagono.
Nel frattempo, la guerra commerciale made in Trump ha il merito, almeno, di aver sollevato la questione: se l’America non ricostruisce la sua capacità produttiva avanzata, è destinata a diventare cliente a vita della Cina. Per la Casa Bianca, il reshoring non è più una strategia industriale: è una misura di sicurezza nazionale. Ma qui non bastano incentivi o tax credit. Serve una visione. Serve un’industria. Serve un’Asia americana. E quella, al momento, esiste solo nella testa di Musk. O nelle presentazioni dei banchieri che, per capire dove va il mondo, hanno dovuto prendere un volo per Shanghai.