Donald Trump, nell’ombra e senza fanfare, starebbe da mesi vagliando l’idea di far fuori Jerome Powell, l’attuale presidente della Federal Reserve. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo il classico gioco di sussurri e voci filtrate da ambienti “vicini ai fatti” la liturgia consolidata del potere quando vuole testare la temperatura dell’acqua senza sporcarsi le mani. Ma la temperatura, stavolta, rischia di bollire tutto.

L’ex presidente, che già in passato ha più volte criticato Powell per la sua gestione dei tassi d’interesse, ora sembra pronto ad affondare il colpo qualora tornasse alla Casa Bianca nel 2025. La sua antipatia nei confronti del numero uno della Fed non è una novità. Trump voleva tassi a zero, o meglio negativi, in pieno stile giapponese-decadente. Powell, invece, ha resistito – almeno quanto ha potuto –alla tentazione di trasformare la politica monetaria americana in un casino di Las Vegas. E questo, a Trump, non è mai andato giù.

Il potenziale licenziamento di Powell non è solo una questione personale, ma una vera e propria bomba nucleare sulla già fragile credibilità delle istituzioni americane. Il mercato, al momento, sembra ignorare l’odore di zolfo: l’S&P 500 sale dello 0,13%, con l’indifferenza tipica del tossicodipendente che ha appena ricevuto la sua dose di liquidità. Ma sotto la superficie, l’inquietudine si taglia col coltello.

Elizabeth Warren, la senatrice progressista e critica feroce di Wall Street, ha lanciato l’allarme: “Licenziare Powell farebbe crollare i mercati”. E, per una volta, non è retorica politica. Perché se davvero un presidente iniziasse a silurare il capo della banca centrale per ragioni politiche, apriremmo la porta a un’era dove la Fed diventerebbe un’appendice della West Wing. Altro che indipendenza della banca centrale. Altro che stabilità.

Nel mondo della finanza globale, la Federal Reserve è il pilastro che tiene in piedi l’illusione del controllo. Sfondare quel pilastro con un licenziamento politico equivarrebbe a togliere l’ultimo tappo di una diga già traballante. Il dollaro potrebbe perdere ancora più attrattiva come valuta di riserva, i mercati obbligazionari implodere, la fiducia degli investitori – soprattutto quelli esteri – vacillare pericolosamente.

E dietro tutto questo? Il ritorno di una presidenza che non gioca a scacchi, ma a Risiko. Dove ogni mossa serve a consolidare potere e punire i nemici, anche a costo di far saltare in aria il tavolo. Powell è diventato, suo malgrado, un simbolo. Non di ortodossia monetaria – che già sarebbe discutibile – ma di resistenza a un populismo finanziario che considera ogni ostacolo alla crescita come un tradimento.

La situazione è fluida, come dicono quelli che vogliono sembrare calmi mentre sentono puzza di bruciato. Ma una cosa è certa: se il 2024 porterà Trump di nuovo alla Casa Bianca, Powell potrebbe avere i giorni contati. E con lui, forse, anche la parvenza di una Fed indipendente.

La partita è appena iniziata. Ma stavolta il banco rischia di saltare.