Martedì, Nvidia ha acceso l’allarme rosso nei mercati dichiarando un colpo da 5,5 miliardi di dollari sulle sue finanze, un’anticipazione tutt’altro che digeribile per Wall Street. Il motivo? Le nuove, ennesime, restrizioni imposte dal governo degli Stati Uniti sulla vendita di chip per l’intelligenza artificiale e altre attrezzature hi-tech verso la Cina. Un déjà vu geopolitico che si trasforma, ancora una volta, in un bagno di sangue finanziario.
Il titolo Nvidia ha perso subito quota, lasciando sul terreno un secco 6% nelle contrattazioni after-hours. Non è una flessione qualsiasi: è un termometro emotivo, un segnale di panico sotto la superficie dorata del Nasdaq. Il gigante dei semiconduttori ha spiegato che l’onere è legato a inventario, impegni di acquisto e riserve associate ai chip H2O, quei gioiellini di silicio creati su misura per i clienti cinesi. Insomma: una Ferrari costruita per un mercato che ora rischia di finire sotto embargo. Non il massimo del timing.
Secondo The Information, aziende cinesi avevano già fatto incetta di chip H2O, ordinandone per un valore di almeno 16 miliardi di dollari nel primo trimestre dell’anno. Un’orgia di acquisti, dettata dal timore – evidentemente fondato di nuove barriere da Washington. Il dettaglio tecnico interessante è che Nvidia contabilizza i ricavi solo post consegna. Questo crea un paradosso contabile: ordini da record, entrate in forse. È come vendere biglietti per un concerto che potrebbe non andare mai in scena. Tutto dipende se i camion dei chip riescono a varcare i confini, o se saranno fermati da qualche doganiere con la foto di Xi Jinping sulla lista nera.
Il tempismo della rivelazione non è casuale. Arriva dopo una settimana esplosiva nei corridoi di Washington. NPR ha raccontato come Nvidia avesse ottenuto, temporaneamente, una sospensione delle restrizioni sui chip H2O grazie a un improbabile deus ex machina: Donald Trump, durante una cena con Jensen Huang. A quanto pare, quando non twitta, il tycoon riesce ancora a mettere bocca sulla politica estera tecnologica degli USA, anche se non è tecnicamente presidente.
E mentre l’incertezza morde i margini, Huang prova a cambiare la narrativa. In settimana ha annunciato un investimento strategico nella produzione interna dei chip AI per server. Made in USA, stampigliato a fuoco su ogni wafer. Un tentativo, più mediatico che industriale, per corteggiare la politica americana e forse anche per allungare il ciclo vitale di Nvidia al riparo dai fantasmi cinesi. Ma la verità è che senza Pechino, i bilanci perdono più di qualche punto percentuale.
La situazione è un classico esempio di decoupling mal riuscito: una strategia di separazione high-tech tra due superpotenze che finiscono per soffocare le stesse aziende che dovrebbero rappresentare l’avanguardia del dominio digitale occidentale. Le sanzioni ai chip colpiscono sì la Cina, ma nel breve termine fanno più male a Nvidia, a Wall Street e agli azionisti americani che ai competitor asiatici.
Morale: quando il governo USA gioca a fare il gendarme tecnologico, il rischio è che finisca per arrestare se stesso.