Nel cuore di Pechino, sotto i riflettori di una presentazione aziendale con toni più da show business che da tech conference, Kuaishou ha lanciato Kling AI 2.0, definendolo – senza mezzi termini – “il modello di generazione video più potente al mondo”. Lo ha detto con tono trionfale Gai Kun, vicepresidente senior dell’azienda, mentre tutto il resto dell’industria dell’IA video globale stava probabilmente trattenendo il respiro, cercando di capire se fosse una sparata di marketing o la verità nuda e cruda.

Nel frattempo, numeri alla mano, Kling sta già scrivendo le sue regole. Oltre 22 milioni di utenti nel mondo, 168 milioni di video generati, più di 344 milioni di immagini sputate fuori da un’intelligenza artificiale che si nutre di prompt come un influencer si nutre di like. Sì, numeri da piattaforma mainstream, non da progetto sperimentale.

Il contesto in cui questo annuncio arriva è tutt’altro che tranquillo: l’intelligenza artificiale generativa sta vivendo la sua fase di corsa all’oro e la Cina è determinata a non restare indietro. Dopo le mosse di ByteDance con il suo video-AI e di Alibaba, la battaglia si è trasformata in un vero e proprio far west, con le big tech che si sparano a colpi di prompt e modelli proprietari. Kling 2.0 non è solo una risposta a OpenAI con il suo Sora, o a Google con il suo Veo 2: è un grido di battaglia digitale made in China.

Kuaishou, che gioca nel campionato della breve-forma contro TikTok (sì, sempre ByteDance), non si è accontentata di restare a guardare. Kling AI 2.0 promette di eccellere nella comprensione dei prompt, nella qualità dei movimenti, nella coerenza delle immagini generate e nella resa estetica. Tradotto in linguaggio per adulti: i video sono finalmente guardabili. E persino belli.

Il punto è che Kling non parte da zero. La versione precedente del modello era già in cima alle classifiche globali per l’image-to-video e seconda solo a Veo 2 per il text-to-video. Roba seria. Ora, con il 2.0, il salto di qualità è nel controllo del movimento e nella gamma espressiva. Più naturalezza, più intensità, più impatto visivo. Gai Kun lo ha definito “punchy”. E se non fosse stato un VP in cravatta, avrebbe potuto dire “spacca”.

Ma non è solo questione di algoritmi. Kuaishou ha annunciato anche “NextGen”, un progetto che offre fondi, tecnologia e visibilità agli artisti che usano Kling per creare contenuti da cinema. Un modo elegante per dire: “Vi diamo l’arma, ora fateci la rivoluzione”. In un contesto dove le piattaforme si contendono non solo gli utenti, ma anche i creatori, questa mossa è tanto strategica quanto necessaria.

Certo, tutta questa potenza non è gratis. A differenza dei chatbot, l’accesso alle funzionalità avanzate di Kling segue il solito modello freemium: gratis il giocattolo base, ma se vuoi i superpoteri, prepara la carta di credito. Un modello perfettamente in linea con la nuova religione dell’IA: dare l’illusione della democratizzazione, ma tenere il potere nelle mani di chi può pagare.

Il panorama si fa interessante. OpenAI, Google, ByteDance, Alibaba, Tencent, Kuaishou, e una galassia di startup cinesi come Zhipu AI e Shengshu Tech si stanno affrontando in un’arena globale in cui l’unico vero giudice è l’attenzione dell’utente finale. Non è più una corsa alla tecnologia. È una corsa alla rilevanza. E come ha detto Gai Kun, è una “run for life”. Nessuno vuole essere il secondo. O peggio, il dimenticato.

Nel frattempo, il pubblico si gode lo spettacolo. O meglio, se lo genera da solo.