Non è una doccia fredda. È una glaciazione. Nvidia, il colosso americano dei chip AI, si ritrova improvvisamente a fare i conti con un colpo basso da Washington che rischia di cancellare quasi il 10% del suo fatturato globale. Un licensing obbligatorio per esportare gli H20 in Cina – chip già “castrati” per evitare restrizioni precedenti – suona più come una mossa geopolitica che una protezione tecnica. Risultato? ByteDance, Tencent e Alibaba – tutti affamati di potenza di calcolo – ora dovranno fare i conti con un futuro in cui Nvidia scompare dagli scaffali, e l’unica alternativa realistica è il “fai da te” made in China.

Nvidia si è già vista tagliare fuori in passato, ma con l’H20 aveva trovato un compromesso: un chip “legalmente accettabile”, depotenziato ma ancora abbastanza potente da servire gli LLM cinesi. Ora però il sipario cala di nuovo. Si parla di un impatto da 5,5 miliardi di dollari. Roba da convocare il consiglio d’amministrazione con whiskey e calmanti. E mentre Nvidia si lecca le ferite, le Big Tech cinesi non si piangono addosso: stanno correndo. Non per scelta, ma per necessità.

DeepSeek, la startup di Hangzhou, sta rapidamente diventando l’equivalente AI di una Tesla in un mondo di cavalli. I suoi modelli open source stanno invadendo il mercato interno con la velocità di un virus ma senza dover pagare royalty a un fornitore americano. Di fronte a questa corsa, ByteDance e Tencent avevano aumentato le ordinazioni H20 per tener testa all’innovazione. Ora si ritrovano col serbatoio mezzo vuoto e la dogana chiusa.

E qui entra in scena il piano B: l’ecosistema di chip cinesi. Huawei, Cambricon, Hygon. Nomi che fino a ieri erano visti come “tentativi goffi” di imitare i big occidentali, oggi diventano patrioti del silicio. Huawei con la sua serie Ascend può non avere la potenza bruta di un H100, ma vanta una verticalità ecosistemica che piace a Pechino: hardware, framework, e cloud. Cambricon, con un focus ossessivo sull’efficienza energetica, si propone come soluzione per modelli lightweight.

Alibaba poi sta facendo la mossa da scacchista esperto: lancia AIStack, un’infrastruttura enterprise che promette costi bassi e autonomia. La T-Head, divisione chip design del gruppo, è pronta a coprire il gap lasciato da Nvidia. E nel frattempo Ant Group ha già dimostrato che si può addestrare un LLM su GPU locali tagliando i costi del 20% senza perdere il sonno.

Dietro il pragmatismo, però, si intravede una narrativa molto più profonda: la Cina non vuole solo sostituire Nvidia. Vuole renderla irrilevante. La spinta all’autosufficienza nei semiconduttori, iniziata dopo la guerra commerciale e accelerata con le sanzioni contro Huawei, oggi diventa esistenziale. I chip non sono più componenti. Sono simboli di sovranità.

Il rischio per Nvidia è che la Cina, spinta nell’angolo, riesca davvero a costruirsi un ecosistema closed loop, che funziona abbastanza bene da non far rimpiangere le prestazioni di punta. Non sarà perfetto, non sarà sexy, ma sarà cinese. E da lì non la smuove più nessuno.

Il colpo di grazia? Se DeepSeek o altri riuscissero a scalare e industrializzare un’alternativa open source ad alta efficienza, non solo per la Cina ma per altri paesi stanchi della compliance USA, il domino cadrebbe anche fuori dai confini della Muraglia. Nvidia perderebbe non solo un mercato, ma il vantaggio di essere “l’unico fornitore possibile” per la corsa AI.

Una partita geopolitica fatta a colpi di transistor, dove la potenza di calcolo non è più solo un vantaggio tecnico, ma una leva diplomatica. E dove ogni chip è una scheggia di potere globale.