Sam Altman non investe, orchestra. La sua strategia assomiglia più a una sinfonia tecnofuturista che a un classico portafoglio da venture capitalist. Non è il classico miliardario che diversifica per ridurre il rischio, ma uno che punta tutto su un futuro ben preciso e spaventosamente coerente. Se uno si ferma a un solo annuncio, tipo lo scanner oculare di Worldcoin può pensare a un’altra Silicon Valley gimmick. Ma mettendo insieme Retro Biosciences, Roboflow, Operator, OpenResearch, Oklo, e soprattutto Stargate, il quadro si fa chiarissimo: Altman non vuole costruire l’ennesima startup. Vuole ricablare la civiltà.
Partiamo dall’inizio, o dalla fine, a seconda di come lo si guarda: Retro Biosciences. Un’azienda che lavora per allungare la vita di dieci anni. Non cinquanta. Dieci. Quel tanto che basta per arrivare vivi e vegeti all’era in cui le macchine faranno tutto. Un’umanità mantenuta efficiente ma sempre meno necessaria, che deve solo resistere abbastanza per non perdersi la festa finale.
Poi c’è Stargate, che sembra più il nome di un reboot di un film anni ’90, ma invece è un progetto da 500 miliardi di dollari – una cifra così enorme che perfino Musk si girerebbe, con l’obiettivo dichiarato di costruire la vera spina dorsale dell’AI americana. Non un datacenter, ma LA infrastruttura, dove NVIDIA, Oracle e SoftBank si trasformano da fornitori a co-architetti di un nuovo ordine energetico-informativo.
In parole povere: l’energia nucleare di Oklo alimenta Stargate, che ospita i modelli OpenAI, che controllano “Operator”, che a sua volta si interfaccia con noi tramite un iPhone AI disegnato da Jony Ive. Troppo perfetto per essere casuale.
Ecco dove entrano Operator e il famoso “iPhone dell’intelligenza artificiale”. Altman ha capito che l’interfaccia conta quanto (se non più) dell’intelligenza che ci sta dietro. Per un mondo in cui gli umani delegano sempre di più le loro decisioni a un agente, quell’agente deve essere il più umano possibile, ma anche bello, intuitivo, affascinante. In altre parole: un Siri che funziona, su un dispositivo che desideri più del tuo stesso partner e se a progettarlo è LoveFrom, l’azienda di Ive, c’è da crederci.
Ma l’AI da sola non basta. Serve anche sapere chi è umano. E qui entra in scena Worldcoin, ribattezzata semplicemente World, come se Zuckerberg avesse deciso di rinominare Meta in “Reality”.
Altman vuole che ogni essere umano sia verificato attraverso l’iride, per poter accedere a un sistema economico dove non serve lavorare, ma serve dimostrare di essere vivo e organico.
Il suo progetto di basic income via OpenResearch non è filantropia: è l’olio che fa girare gli ingranaggi di un mondo dove la maggior parte delle persone diventa economicamente irrilevante, ma politicamente utile , purché verificate, tracciabili, e pacificate da un reddito mensile.
La parte inquietante? Funziona tutto insieme. Non sono pezzi di un puzzle casuale. Sono i mattoni di un’architettura coerente: un ecosistema chiuso dove energia (nucleare), dati (biometrici), intelligenza (artificiale) e soldi (universali) vengono gestiti da un’unica grande entità tecnologica.
Altman lo dice apertamente: vuole arrivare alla superintelligenza – un’AI che in poche migliaia di giorni sarà più intelligente di qualsiasi essere umano. Lui la chiama “magic intelligence in the sky”. Un’intelligenza magica nel cielo. Suona poetico, ma in fondo è l’ultima religione rimasta in piedi in una Silicon Valley che ha perso Dio, ma non la fede nel cloud.
Il futuro che immagina è questo: una popolazione longeva ma in pensione, nutrita da un reddito universale, interfacciata con assistenti AI, monitorata biometricamente, e alimentata da reattori nucleari. Non deve fare nulla, solo restare umana abbastanza da non farsi scollegare.
Esagerato? Sì. Ma non così tanto. Basta guardare cosa finanzia.