La notizia è secca, quasi banale: Google sta integrando Photos con Gemini, il suo nuovo assistente AI. Ma attenzione: è solo per “un gruppo selezionato di utenti invitati”.
L’effetto è quello di una festa a cui non sei stato chiamato, ma dalla strada vedi tutto attraverso le finestre.La vera questione non è cosa fa, ma cosa promette di diventare.
L’integrazione, attualmente in rollout graduale su Android e iOS, permette a Gemini di accedere al tuo archivio fotografico e di rispondere a richieste del tipo “mostrami le foto con Mario al lago di Como” oppure “quando ho rinnovato il passaporto?” o ancora “che cavolo ho mangiato a Barcellona l’anno scorso?”.
Il punto non è la magia tecnologica – quella è già data per scontata ma il livello di intimità algoritmica che stiamo regalando a un’entità che non ci conosce ma ci analizza meglio di nostra madre.Dietro la parvenza di utilità, infatti, si nasconde l’ennesimo scivolamento di senso.
Gemini non è un semplice assistente vocale con accesso a un motore di ricerca: è un’interfaccia che pretende di capire chi sei in base a ciò che guardi, dove sei stato, con chi, e perfino cosa avevi nel piatto.
Se prima Photos era il tuo archivio visivo personale, ora diventa la memoria attiva dell’AI, un sistema capace non solo di riconoscere volti e luoghi, ma di estrarre senso, pattern, relazioni.
Poi c’è la solita retorica dell’invito esclusivo, tipica delle piattaforme che vogliono far salire l’hype senza dire troppo. Tradotto: è ancora in beta, non funziona sempre, ed è un A/B test mascherato da anteprima VIP.
Google non lancia più feature, le semina e vede cosa cresce.Tecnicamente è affascinante, certo. Stiamo parlando di NLP che interagisce con i metadati visivi, riconoscimento facciale abbinato a parsing semantico, time-stamping che diventa timeline narrativa.
Ma l’inquietudine arriva subito dopo la fascinazione: quanto siamo disposti a cedere del nostro passato pur di risparmiare 10 secondi in una ricerca? Se Gemini è il tuo nuovo archivista personale, allora il prezzo è la trasparenza totale della tua memoria visuale.
La questione privacy, come al solito, è relegata in qualche paragrafo nascosto delle note ufficiali, mentre l’enfasi è tutta sull’efficienza. Ma forse dovremmo iniziare a chiederci: è davvero utile che un algoritmo sappia cosa abbiamo mangiato in vacanza?
O è solo un altro passo verso il feed perfetto in stile “ricordi di oggi” che ci aiuta a dimenticare di essere stati noi a scegliere?Il futuro dell’assistenza AI, se passa da qui, sarà sempre più simile a uno specchio.
Ma non uno specchio onesto: uno specchio che riflette quello che pensa tu voglia vedere. E che usa la tua cronologia per vendertelo meglio.