Al Festival dell’Innovability quel teatro vicino al BAr dei Daini a metà tra marketing ambientale e fiolosofia tecnologica Mario Nobile (un Illuminato), direttore dell’AGID, ha sparato tre cartucce apparentemente innocue ma potenzialmente esplosive se solo avessimo la polvere da sparo (leggasi: visione, capitale, coraggio).

La prima riguarda la semplificazione delle regole. E qui viene da chiedersi: com’è possibile che nel 2025 dobbiamo ancora parlare di “snellire la burocrazia”? In realtà, la normativa italiana è progettata come una ragnatela per bloccare sul nascere ciò che non si riesce a controllare. Ogni innovatore che ha provato a scalare un progetto in Italia si è ritrovato a combattere con mille regolamenti incrociati, interpretazioni divergenti tra enti locali, e una PA in cui il cloud è ancora percepito come una minaccia alla “custodia” dei faldoni cartacei. Se semplificare le regole diventa il primo punto di un’agenda digitale, significa che siamo ancora in pre-produzione, mentre il resto del mondo ha già caricato la V2 in beta pubblica.

Il secondo punto è lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nei settori di eccellenza del Made in Italy. Qui la teoria è impeccabile: vestire l’AI con abiti italiani, cuciti addosso alle filiere agroalimentari, alla moda, al design, alla manifattura di precisione. Ma il problema è culturale: ci manca un middle layer di imprenditori tecnici e investitori pazienti, capaci di capire che l’AI non è un totem mistico, ma un set di strumenti da adattare ai flussi produttivi. Non basta parlare di “eccellenze”: serve una filiera di competenze, dati di qualità, modelli verticalizzati, e soprattutto use case credibili che generino valore, non solo slide da convegno.

Il terzo punto tocca l’argomento tabù: la sensibilizzazione degli imprenditori italiani verso il digitale. Tradotto: i soldi vanno ancora in mattoni, vigne e automobili d’epoca. Il digitale? Spesso percepito come un costo, non come un investimento strategico. Eppure, proprio qui Nobile accenna a qualcosa che potrebbe cambiare le carte: i “Mecenati Digitali”, ovvero quelle rare figure che, come i Medici nel Rinascimento, decidono di finanziare la trasformazione culturale e tecnologica di un intero sistema-Paese. Non è solo questione di investimenti, ma di visione. Di scommettere su datacenter, AI, edge computing, cybersecurity, e — sì — anche sulla sovranità dei dati.

E qui arriviamo alla parte più interessante, quella “copertina” di Nobile in cui si parla di due assi strategici: aumentare i datacenter globali e utilizzare l’AI per ridurre sprechi e ottimizzare risorse. Suona bene, quasi utopico, ma non è fantascienza. L’AI può davvero rivoluzionare la logistica, il consumo energetico, l’agricoltura di precisione, la manutenzione predittiva. Ma tutto questo è inutile se non abbiamo dove far girare gli algoritmi. I datacenter sono le cattedrali moderne, e l’Italia ha bisogno di costruirne di più, meglio e ovunque. L’IDA – Italian Datacenter Association lancia l’allarme da tempo, ma sembra che il suono della corrente elettrica disturbi ancora chi vive di ideologie e non di infrastrutture.

Servono mecenati, sì. Ma anche ingegneri, architetti digitali, urbanisti della rete, progettisti di sovranità tecnologica. Perché senza le fondamenta che oggi si chiamano datacenter, connettività, policy snelle, capitali pazienti e mentalità internazionali qualsiasi AI non farà altro che generare slide, non valore.

Grazie Mario!